Quest'intervista - condotta da Brad Stone con la collaborazione di Jennifer Granick - è originariamente apparsa su Comicbook Resources a
fine ottobre 2001, ed è stata condotta poco prima dell'uscita del
film su From Hell nei cinema americani.
Pubblicata su Ultrazine.org a gennaio 2002 (traduzione di Daniele Tomasi & smoky man)
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Da sin.: Jennifer Granick, Alan Moore e Brad Stone. |
Perché hai scelto di entrare nel mondo dei comics e di diventare uno scrittore di fumetti?
Alan Moore: Stavo morendo di fame.
I
fumetti mi sono sempre piaciuti. Sin da quando avevo 6 o 7 anni. Ho
scoperto i fumetti americani all'età di 7 anni. Più tardi sono arrivato
ad apprezzare il fumetto come forma artistica, e mi sono reso conto che
sebbene con gloriose eccezioni come Will Eisner e Harvey Kurtzman, era
un campo ancora largamente inesplorato. Le opere migliori erano ancora
di là da venire.
E stavo lavorando per un subappaltatore della
compagnia del gas. Un meschino lavoro d'ufficio. Era la fine degli anni
'70. Sono passato per un serie di lavori veramente miserabili dopo il
mio precipitoso allontanamento dal ginnasio in cui stavo.
Perché sei stato espulso?
Spacciavo
acido. Erano gli anni '60. Avevo 17 anni. Spacciarlo a scuola era molto
meglio del piano A, che era gettarlo nel serbatoio dell'acqua.
Avrebbero dovuto tenerlo in considerazione. Invece il direttore non
condivise per nulla il mio divertimento per l'accaduto. E non solo mi
espulse da scuola, ma contattò tutti gli altri licei, università e
scuole d'arte, e scrisse loro che ero stato un orrendo cancro per la
morale di tutti i suoi allievi, e che non mi avrebbero dovuto ammettere.
E
poi, naturalmente, quando ho iniziato a cercare lavoro, mi chiedevano
le referenze scolastiche. Lui voleva essere sicuro, sin da quando avevo
17 anni, che non avrei mai fatto nulla per il resto della mia vita. Un
po' troppo duro per un diciassettenne.
Okay, quindi ero un diciassettenne sociopatico.
Il direttore dov'è ora? E' riuscito a vedere il tuo successo?
Si è impiccato. Qualche mese dopo. Non ho nulla a che fare con questo.
Ma
sì, quello fu il punto di non ritorno, la fine della mia carriera
scolastica che non mi lasciò con molte possibilità di scelta. I soli
lavori che potessi ottenere erano lavori che chiunque avrebbe potuto
avere, anche con una fedina penale sporca. Sai, chiamate di lavoro nei
cantieri o addetto alle pulizie negli hotel. E poi una posizione
precaria in lavori d'ufficio, che erano pagati poco ma almeno erano al
coperto.
E poi verso i 24 anni mi sono sposato. E pensavo... beh,
nella vita ho sempre voluto fare qualcosa di creativo, come scrivere. E
se non lo faccio ora, mi ritroverò semplicemente a fare questi lavori
miserabili a 50 anni, con un sacco di rimpianti. E questo mi ha
terrorizzato. Perciò ho deciso che avrei lasciato il lavoro e cercato di
fare un vero tentativo come artista.
Appena lascio il lavoro, mia
moglie mi annuncia che il risultato del test di gravidanza è positivo e
che aspettiamo un bambino. A quel punto avevo una decisione da prendere:
mollare un lavoro sicuro e mettermi in una terribile situazione
d'instabilità con un bambino in arrivo. D'altra parte sapevo che una
volta che il bimbo fosse arrivato e mi avesse guardato con i suoi
occhioni affamati non avrei mai avuto il coraggio di lasciare il lavoro.
Così mi offrirono di riprendermi a lavoro, ma dissi no e me ne andai.
Passai
circa un anno all'amorevole mercé del sistema d'assistenza sociale
britannico. E poi finalmente riuscii ad ottenere un lavoro facendo una
striscia settimanale a mezza pagina su un giornale inglese. Stavo
lavorando come disegnatore e avevo dei dubbi sulla mia adeguatezza come
artista. Stavo facendo una piccola striscia umoristica su uno dei
giornali locali a Northampton. Questo mi faceva guadagnare 2 sterline in
più alla settimana rispetto a quanto prendevo dall'assistenza sociale.
Era una buona scusa per fare di me stesso un uomo onesto.
E
lentamente capii che non ero un granché come disegnatore e che non avrei
potuto disegnare abbastanza in fretta da viverci. Ma avevo raggiunto un
certa padronanza nel raccontare una storia per immagini. Perciò mi misi
in contatto con un amico, Steve Moore, nessun legame di parentela tra
noi, che era scrittore di fumetti dall'età di 16 o 17 anni. Gli chiesi
di spiegarmi come redigere un soggetto base, come sistemarlo. E mandai
un paio di scritti alla Marvel inglese, alla rivista 2000 A.D. magazine.
Tutto iniziò da lì e più o meno va ancora avanti.
Che cosa pensi oggi dei tuoi primi lavori: V for Vendetta, Swamp Thing, Watchmen? Ti piace rileggerli di tanto in tanto?
Sono molto orgoglioso di quei lavori. Ero molto più giovane. Almeno ho detto cose in cui credevo. Perciò ne sono orgoglioso.
V for Vendetta
è uno dei primi lavori con David Lloyd, è dove ho iniziato a capire
parecchio su come raccontare una storia. Era molto essenziale. David
insistette per non usare alcun baloon di pensiero né effetti sonori. La
cosa sul momento mi sembrò un'imposizione, ma una volta che iniziammo a
fare in quel modo, pensai che rendesse la storia più naturalistica, più
credibile.
In
Swamp Thing ci sono dei numeri che sono migliori di altri. Ma ce ne sono alcuni che sono davvero buoni.
Dopo Watchmen e Miracleman dicesti di aver portato il genere supereroistico ai suoi limiti.
Ho detto un sacco di cose strane. Dopo
Watchmen penso
di aver detto che non sentivo più il genere supereroistico come il modo
migliore per raccontare storie di un certo spessore. Che se avessi
voluto fare una storia sull'ambiente sarebbe stata migliore senza la
presenza di un mostro della palude, se avessi voluto fare una storia
sulla politica sarebbe stato meglio non avere a che fare con un gruppo
di supereroi.
Credo che l'icona del supereroe abbia ancora una
considerevole forza. Ha trasformato la mia giovinezza. E' un talismano
dell'immaginazione. [I supereroi] sono stati un modo potente di aprire
stanze nella mia immaginazione quando ero bambino. Sono stati molto,
molto importanti per me. E il fatto che tu possa usarli per raccontare
storie allegoriche o di qualunque tipo non significa che tu debba farlo.
Batman: The Killing Joke,
che ancora vende e che, per opinione comune, fu la principale fonte di
ispirazione per il primo film di Batman, per quello che può valere, è un
albo terribile. Voglio dire... non significa nulla! Parla di Batman e
del Joker, e dice che si, psicologicamente Batman e il Joker sono due
facce delle stessa medaglia. E allora? Lo sai già. Ma non incontrerai
mai qualcuno anche solo lontanamente simile ad uno dei due. Non
incontrerai mai qualcuno che è uscito di testa in quel modo.
Quali erano i supereroi che ti interessavano durante l'adolescenza?
Quasi tutti. Devi tenere a mente che a Northampton, Middle England, vivevo in una zona chiamata
Boroughs.
Era la zona più povera della città. Davvero degradata. Mi piaceva, ma
era una sorta di squallido quartiere vittoriano. Non avevamo una stanza
da bagno. Non avevamo un gabinetto interno. Avevamo l'elettricità, ed
era più di quello che aveva mia nonna. Lei aveva il gas. Parlandone ora
suona un po' dickensiano, è un mondo così diverso.
In quel contesto
io leggevo i fumetti inglesi. Ma i fumetti inglesi parlavano di scolari
discoli, parlavano di cose per me familiari. Per questo non mi
interessavano molto. Ripensandoci adesso, capisco che gran mole di
fantastici lavori contenessero. Ma avevo 7 anni, ed ero affascinato da
Flash, Action Comics, Detective Comics. E non perché c'era un tizio che
correva a super velocità. Non era questa la cosa importante. Erano a
colori. Ed erano ambientati in America. E non era semplicemente
l'America, ma l'America dei fumetti. Che pensavo fosse simile a quella
reale.
Ricordi quelle panoramiche di città che Carmine Infantino
disegnava su Flash negli anni '60? Ora so che non c'era nulla in America
al tempo che assomigliasse a tutto quello. Era una specie di mondo
fantascientifico, con quegli edifici altissimi... ed era a colori. Al
contrario i fumetti inglesi al massimo avevano dei toni di rosso e rosa.
Questo era il meglio che si potesse avere.
E questo ti ha
portato a creare il mondo fantastico di Tom Strong, Promethea e Top Ten
(tutti pubblicati da America's Best Comics, una sezione della D.C.
Comics).
Fu mentre parlavo di Carmine Infantino che capii
all'improvviso che nei primi fumetti di Flash, le meravigliose,
grandiose piazze asettiche, quei palazzi altissimi che sembravano
bicchieri da cocktail... quella non era la realtà. Era una visione di
come l'America poteva o avrebbe potuto essere. Perciò ho deciso, quando
stavo per iniziare la linea ABC, che avrei ambientato tutto in America
ma visualizzata a modo mio, delineando un'America inesistente. Ma che
fosse evocativa e intensa, tanto che la gente avrebbe voluto che fosse
così. Perciò ecco Tom Strong e Millennium City, con tutte quelle funivie
e quei ponti.
Che cosa ti ha ispirato nella realizzazione de La Lega degli Straordinari Gentiluomini (che fa incontrare personaggi letterari vittoriani come Allan Quaiterman, il Capitano Nemo e Mina Harker di Dracula)?
Penso
sia divertente non poter citare personaggi che non facciano parte della
letteratura vittoriana. Questo ha ridefinito il lavoro, quando l'ho
capito è diventato un punto di partenza molto più gradevole. Ho
immaginato "Dunque, quando Nina... e Mr. Hyde, nella Rue Morgue..." ed
ho pensato "però, è divertente... puoi fare delle situazioni come
questa, mischiare tutte queste cose...". Nel secondo numero ho inserito
tutti i personaggi della letteratura pornografica del periodo. Si
ritrovano nella stessa storia dei personaggi che non dovrebbero stare
assieme. Non so perché ciò mi piaccia cosi tanto. E' come attraversare
follemente questo quartiere letterario ed abbattere le staccionate che
separano le storie dei diversi personaggi. E quindi puoi trovare il
mostro di Frankenstein che si aggira nel mezzo di Piccole Donne. Se
questo è quel che sogni.
La maggior parte dei personaggi è molto
fedele all'originale. Di Allan Quatermain ho le storie originali. Lui è
un vigliacco, uno sbruffone e con la tendenza all'abuso di droghe. Nemo è
una sorta di fanatico Sikh. Questo tendi a dimenticarlo quando lo vedi
interpretato da James Mason. O qualcuno simile. E ti dici "oh, certo,
era un tizio occidentale". La verità su Nemo è che si tratta di un
fanatico indiano Sikh, un genio scientifico che, comprensibilmente, odia
gli inglesi. Si trattava di mettere insieme tutti questi personaggi, e
pensai "sarebbe divertente metterli assieme come un gruppo di
super-eroi. E poi ci serve una donna, ci dovrebbe essere qualche donna
geniale nella vita di Sherlock Holmes. L'unica donna per cui abbia
tempo." Ma era un po' in ombra. Allora pensai a Mina Harker. La
ritroviamo cambiata dall'avventura con Dracula, ha divorziato da
Jonathan ed è diventata una suffragetta. Ed inoltre indossa quella
sciarpa...
Nella prima serie della LdSG ci sono alcune allusioni alla possibilità che lei sia un vampiro.
No,
no, le cose stanno cosi. Lei e Quatermain si stanno chiaramente
innamorando. Io voglio mostrare questa scena in cui lei per la prima
volta si toglie la sciarpa. E non ha piccoli, netti segni di puntura.
Sono come il morso di un vero pipistrello vampiro. I denti sono lame
seghettate, non lame di rasoio. Segano... e sfregiano [A.M. simula con
un gesto]. E' come se impugnassi due lame dritte. Loro aprono delle
vaste ferite da cui possono cibarsi. Ed io o pensato che quando Mina si
toglie la sciarpa, l'intera gola è di tessuto cicatrizzato. E' orribile.
E lei si vergogna. E lei dice, all'incirca "non proprio le due piccole
punture della mitologia popolare". Credo possa essere una scena molto
potente. Ed erotica, in un modo particolare. Lei ha vissuto tutto
questo, ecco perché ha lasciato Jonathan [Harker]. Perché Jonathan è
cosi insipido, e voglio che lei dica, quando scopriremo perché è cosi
traumatizzata: "A causa di ciò che quel demonio ti ha fatto?" [dirà
Quatermain] e lei risponde "no, l'ho amato, e li ho aiutati ad
ucciderlo". E questo è tutto ciò che lei dice a riguardo.
Vedi LdSG come una serie che prevede un seguito?
Si, la seconda serie è tutto "Mars Attack". Il primo numero Kevin [O'Neill] l'ha già finito.
Tutto
avviene su Marte. L'intero primo numero si svolge su Marte. Inizia con
una inquadratura ravvicinata di un tappeto, e poi ci si muove indietro.
Quindi ti accorgi che c'è qualcuno in piedi sul tappeto. Poi capisci che
il tappeto non si trova sul pavimento, ma è sospeso in aria. Quindi
realizzi che sta svolazzando sopra un canyon, dove vi sono bufere di
sabbia. E c'è questa figura sopra un tappeto volante che percorre un
canyon con due lune [sullo sfondo]. Questo è Gulliver Jones, guerriero
di Marte, che nelle storie originali è arrivato sul pianeta con un
tappeto volante. E quindi lo vedi incontrare... beh, sarebbe John
Carter, ma questo personaggio è ancora sotto copyright, quindi non
useranno molto i loro rispettivi nomi.
Conosco parecchie storie
marziane. Penso vedrete John Carter di Marte, vedrete Gulliver Jones,
vedrete le storie marziane scritte da Michael Moorcock. Ne ho eliminato
una ambientata su Marte dopo il 1898. Perché quella è ancora nel futuro.
Vi ho inserito la razza di CS Lewis, i Thorns. Dovrebbero essersi
trovati su Marte in quel momento, se li si considera reali. Quindi ho
[usato] CS Lewis, Wells, Gulliver Jones e Michael Moorcock.
Marte è proprio la Parigi di quel periodo. Chiunque fosse "qualcuno" si trova lì.
Giusto.
Ho ipotizzato che tutte queste razze possano essere esistite. I
marziani di H. G. Wells, quelli non sono di Marte. Sono originari di
qualche altra galassia. E tentarono di conquistare Marte ma furono
respinti dall'unione dei gruppi della resistenza marziana. E fu allora
che vennero sulla Terra. E' spiegato nella sezione finale, dove ci sono
le storie di solo testo. Io non volevo fare un'altra storia "pulp" di
solo testo. L'idea mi ha stancato. Quel che ho deciso è che, nell'intera
parte finale del fascicolo, almeno nel primo numero, si spiega il
mondo, continente per continente, e diciamo estensivamente, attraverso
gli "archivi" di questa porzione dei servizi segreti britannici che è la
Lega dei Straordinari Gentiluomini. Risale sino al XVII secolo. Quando
parla del XVII secolo, c'è (cita) un gruppo di agenti conosciuti solo
come "gli uomini di Prospero". Erano condotti da questo Duca di Omnium,
che apparentemente era uno stregone benevolo, e tra le persone del
gruppo è presente Christian da "A Pilgrim's Progress" ["il
Pellegrinaggio del Cristiano" o "Il viaggio del pellegrino" (1678), di
John Bunyam]. Abbiamo raccolto testi dalle annotazioni di tutte queste
persone, da tutti i loro rapporti sui posti ove sono stati. Abbiamo
compilato un almanacco, il mondo fittizio, quello che non esiste, ed è
piuttosto esaustivo. E' una Inghilterra dove esiste una Vacaville Hall,
ci sono numerose rovine del periodo di re Artù, che era un periodo
storico reale. E ho scritto questa descrizione piuttosto commovente
dello stato di degrado della tomba di Sir Lancillotto. Poi attraversiamo
la Francia e l'Europa. E l'America, l'Africa, l'Asia. E le regioni
polari. E sto cercando di trovare in tutti questi libri di riferimento
ulteriori regioni immaginarie, cercando di decidere dove si trovano
alcune di loro. Voglio inserire anche un riferimento a Conan.
Sembra che tu ti sia divertito parecchio con questo lavoro.
Da matti, sì.
A che punto sei arrivato con le sceneggiature?
Sto
scrivendo molte testate, e quindi non sono molto avanti con nessuna.
Sto lavorando al secondo episodio. Ho appena finito il primo numero ...
siamo entrambi circa al metà del secondo. [Il disegnatore] Kevin
[O'Neill] si è preso una meritata vacanza al momento, e probabilmente
appena sarà tornato gli darò delle altre pagine.
Parlaci della
ideazione di "Top Ten" [una storia stile NYPD, nota serie televisiva
crudamente realistica, riguardante una stazione di poliziotti supereroi
in un mondo ove chiunque possiede poteri sovrannaturali].
Ricordo
quando ero ragazzino, nei primi anni '60. E Batman aveva un computer.
Inseriva informazioni e riceveva delle schede perforate. Mr. Fantastic,
"l'Agente dell'Uncle" [serie televisiva di spionaggio], tutti questi
supereroi avevano dei computer. Facevano parte delle loro supercapacità.
Adesso chiunque ha un computer. E presto tutti voleremo, se dobbiamo
credere alle previsioni. In confronto alle condizioni del 1960, ora
siamo tutti dei supereroi, e tuttora non possiamo risolvere i nostri
problemi. Abbiamo ancora delle catastrofi, anche se possiamo generare
più energia di calcolo di quanta persino Isaac Asimov abbia mai
immaginato. Questo è il fascino di Top 10. E' una fantastica città piena
di gente incredibile, con l'atmosfera di una moderna metropoli. Ero un
appassionato di "Homicide" [altra serie televisiva poliziesca, N.d.T.] e
di NYPD. E ragionavo riguardo ai [fumetti sui] gruppi di supereroi, sul
perché non funzionano. Mentre Steven Bocho [l'autore di NYPD, N.d.T.]
sembra capace di gestire molto bene gruppi numerosi di personaggi. E
così ci ragionavo sopra. Perché non funzionano i gruppi? "Hill Street"
[altra serie tv poliziesca, sempre di Bocho, N.d.T.] funziona. Come
sarebbe se potessi avere una serie su dei poliziotti supereroi? - a quel
punto si accese la lampadina. Potrebbe essere davvero divertente e
potresti parlare di roba di cui non puoi parlare negli albi di
supereroi. Come i pregiudizi sui robot. Joe Pi [un robot poliziotto] -
sono molto contento di lui. E divertente giocare sulle tipologie. Nella
serie successiva, se ci sarà, si sposteranno a Tin Town. Tutti i robot
hanno delle ruote dentate attorno al collo. E c'è Malcolm Ten, un robot
che ha le proprie idee su come vengono trattate le macchine, e che dice a
Joe Pie: "Non stai tradendo i tuoi fratelli?".
Quali sono gli ostacoli alla produzione ulteriore di Top Ten?
Ecco,
la Wildstorm di Jim Lee è stata comprata dalla DC. E' sempre precaria.
Io non lavoro con le briglie, ovviamente io sono un articolo di valore
nel mondo del fumetto. Se inizio a sentirmi schiacciato, io mi sollevo
sputando sangue nero e con serpenti che mi escono dalla bocca. Io sono
potenzialmente esplosivo. Non mi fido di loro. In qualunque momento
qualcosa può accadere e ferirmi abbastanza da farmi mollare tutto. Io
non voglio farlo all'infinito. Ma altri 12 numeri di Top 10? Non puoi
impedire ai pensieri ed alle idee di formarsi. Voglio trovare un modo di
farli uscire dalla mia testa.
E riguardo all'altro tuo fumetto supereroistico, Tom Strong?
Volevo
fare qualcosa di delicato. E' una scrittura rilassata. Qualcosa
riguardante la semplicità, che sembra essere ciò che la gente gradisce.
Sorprendentemente continuo a ricevere lettere che chiedono di inserire
un matrimonio interrazziale. Non ci sono molte coppie miste nel fumetto.
Sin dal 1939, tranne negli X-Men, ma li c'era dell'ambiguità, non si è
mai verificato. Che vergogna. Quanto è arretrato questo mezzo
espressivo.
Quindi l'altro titolo che sembra essere molto
vicino al tuo cuore è Promethea [che esplora il fascino che su Moore
stesso ha la magia ed il territorio dove le idee ed i miti prendono
forma].
Sì, è una declamazione magica finemente celata che è
finita con l'assomigliare un po' ad un albo a fumetti. Mi diverte
davvero molto.
Perché sei tornato ai supereroi?
Sono
stato lontano dal fumetto delle maggiori case editrici per un po' di
tempo. Senza aver idea di come fossero i lettori. E le persone alla
Image Comics erano molto entusiaste che io lavorassi per loro. E poiché
avevo già detto che non avrei lavorato per la DC e la Marvel... Ci sono
delle persone molto in gamba, come Jim Valentino [Shadowlink Inc.], Jim
Lee [ImageComics]... Sostanzialmente quel che dissero [fu]: "Vorresti
fare qualche fumetto per noi?". Io dissi sì, giusto per vedere se ne ero
capace. Detti uno sguardo ad alcuni di quei fumetti. Pensai "non c'è
una storia. Non c'è un personaggio. Sono stato lontano per cinque anni,
ed i fumetti si sono mutati in qualche bizzarro ibrido mutante
supersteroideo con cui non ho alcuna familiarità". E sembra che tutti i
disegnatori richiedano sempre grandi vignette a piena pagina ogni due o
tre pagine così da poter esibire la loro abilità. Ecco... quindi
trascorsi un lungo periodo cercando di tirare fuori quello che i lettori
volevano, quello che quel nuovo pubblico voleva, ciò che gli sarebbe
piaciuto. Il che era totalmente stupido. Voglio dire, in qualche modo
devo aver riversato la mia arroganza nel luogo sbagliato. Perché in
effetti il mio lavoro non è capire quel che loro vogliono. Il mio lavoro
è dir loro cosa vogliono. E quando me ne sono ricordato, l'ho percepito
capisci,
ho creato 1963, con cui mi sono divertito molto. Ma non era molto serio, rivoluzionario. Poi mi sono spostato sul materiale di
Supreme. Era divertente.
Io
ho sempre definito la magia come una arte oscura, che manipola la
realtà. E tu hai introdotto il concetto della magia come una sorta di un
regno delle idee, dove le idee sono vive e gli dei sono reali.
Nella magia c'è una parte oscura, ma c'è molta più radiazione, più luce. E riguarda semplicemente il mondo delle idee.
Cosa ha acceso il tuo interesse nella magia?
Quel che mi ha fatto interessare alla magia è stato una vignetta da
From Hell
in cui William Gull stava dicendo qualcosa riguardante il fatto che la
mente umana è un luogo dove tutti gli dei ed i mostri della mitologia
umana sono indiscutibilmente reali, in tutta la loro epicità e
mostruosità. E dopo averlo scritto ho pensato "oh merda, è vero. In base
a questo ora dovrò rielaborare la mia intera esistenza". Non c'è modo
di smentirlo. Ho pensato di stare scrivendo uno stupendo dialogo per un
cattivo della letteratura gotica. Gli dei ed i mostri esistono senza
ombra di dubbio e sono reali. Perché se non esistono, come mai tante
persone sono morte per loro, e tante cose che hanno cambiato la storia
sono state fatte in nome di questi dei che non esistono? Se non esistono
come hanno ucciso così tanti di noi in loro nome? In quel momento stavo
per compiere 40 anni. Ho pensato, "beh, potrei avere una crisi di mezza
età, ed annoierei a morte tutti continuando a pensarci, a cosa è
dovuto, cosa significa? Oppure potrei andare fuori di testa in modo
spettacolare, il che almeno sarebbe molto più divertente per chi mi sta
attorno. E più preoccupante. E mi andava bene. Perché stavo terminando i
modi di far preoccupare le persone. Avresti dovuto vedere le loro facce
quando dissi "diventerò un mago". Metà di loro erano spaventati,
pensavano fossi impazzito, e l'altra metà era spaventata pensando che
non lo fossi.
Mi sembra che in prevalenza la scienza non accetti che
ci sia qualcosa che effettivamente succede nelle nostre menti e voglia
basare tutto su elaborate prove di laboratorio. Ma la mente è l'unica
cosa di cui abbiamo una esperienza diretta. Non percepiamo il mondo in
via diretta. Percepiamo le nostre percezioni. Elaboriamo questi puzzle
fatti di luce sulla nostra retina, di onde sonore nei nostri timpani, le
superfici sui nostri polpastrelli. Ed istante dopo istante componiamo
tutto questo su un grande schermo che è la realtà. Questo è ciò che
vediamo. Se abbiamo un difetto in uno qualunque dei nostri sistemi
percettivi ciò diventerà parte della nostra realtà. Penso che la magia
fosse un tentativo di capire se il mio rapporto con la realtà potesse
evolvere verso territori differenti.