lunedì 19 aprile 2021

È stato molto bello...

... ma si chiude. Finisce qui la fumosa avventura.

Questo blog dovrebbe restare online. Non verrà più aggiornato.

(Forse sarebbe stato il caso di scrivere qualche riga in più ma... NO, si chiude!)
THE END

(smoky saluti a tutti, belli & brutti!) 
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martedì 13 aprile 2021

Alan Moore 2020: Intervista - Seconda Parte

Alan Moore visto da Maicol&Mirco
Nel seguito potete leggere la Seconda Parte della traduzione dell'intervista INTEGRALE ad Alan Moore precedentemente apparsa in versione ridotta sul n. 116 di Scuola di Fumetto.
L'intervista originale, a cura di Peter Moerenhout, è stata pubblicata nel giugno 2020 sulla rivista belga Stripgids n.7. Le risposte di Moore sono state ricevute da Peter a gennaio 2020.
 
 
Nota: i ritratti mooriani a corredo di quest'articolo fanno parte della mia fumosa collezione. Un sentito grazie a tutti gli artisti che negli anni hanno contribuito a questa raccolta. Potete vedere la gallery, completa o quasi, QUI e QUI.
Alan Moore visto da Eleonora Antonioni
Peter Moerenhout: 7. Restando in tema: posso capire che tu non senta il bisogno d'essere “compreso” completamente o di assecondare i lettori quando lavori, in solitaria, ad un romanzo come Jerusalem. Ma The Show è qualcosa di completamente diverso. Ho letto che è stato finanziato dal British Film Institute, dalla National Lottery e da Lipsync ed è, di certo, un lavoro di squadra. Si tratta di un processo collaborativo: qual è il tuo approccio?
Alan Moore: Tra gli elementi che hanno plasmato la scrittura di The Show c'è stata la consapevolezza che un lungometraggio è qualcosa di completamente diverso da un corto. Paradossalmente con un corto puoi dilungarti quanto vuoi, ci sono un sacco di occasioni per indugiare in sequenze d'atmosfera e cose simili. Inoltre, l'estetica consolidata di un cortometraggio indipendente permette d'essere più sperimentali e ambigui nella narrazione e si può fare un maggior uso delle coincidenze e della casualità.
Per un lungometraggio, la scelta è stata quella di affidarmi a una modalità di narrazione molto precisa e veloce che cercasse la massima lucidità e restasse nei limiti delle due ore permesse dal nostro budget. Non è stato affatto un impedimento e penso che il risultato di queste limitazioni sia una godibilissima pellicola commerciale che mantiene lo stesso livello di stranezza degli Show Pieces dando la sensazione che le due ore del film passino piuttosto velocemente.
Hai perfettamente ragione riguardo il processo collaborativo: in ambito cinematografico è piuttosto diverso da quanto avviene nei fumetti. Quando faccio fumetti mi confronto fondamentalmente con un solo altro collaboratore e, una volta che ho finito di impostare le tavole con le relative vignette e di scrivere i dialoghi, ho un'idea piuttosto precisa di come saranno le pagine nella versione finale e come sarà l'esperienza di lettura. Sebbene non mi descriverei come un maniaco del controllo va detto che questa metodologia di lavoro è, come minimo, facilmente controllabile.
Quando si lavora ad un film ci sono così tante persone che contribuiscono all'opera con il loro talento che una simile previsione di quello che succederà non è né appropriata né possibile. Credo che sia più utile pensare a una sceneggiatura cinematografica come alla planimetria e prospetto per un nuovo edificio, in cui fai del tuo meglio per presentare un progetto funzionale ed elegante e, accettando le considerazioni pratiche e i contributi dei tuoi collaboratori, il risultato sarà sempre una specie di sorpresa, una costruzione spesso migliore di quella che avresti potuto concepire da solo.
Un'altra grande differenza è che quando finisco un fumetto non ricevo uno splendido abito e delle scarpe realizzate appositamente per me: ecco un altro dei tanti vergognosi difetti e barbarie del mondo dei comics.

8. In un’intervista hai dichiarato che il film potrebbe portare a una serie televisiva. Ci sono novità in questo senso?
Ho abbozzato una scaletta provvisoria per una serie composta da cinque stagioni da sei episodi ciascuna e poi ho concentrato il tutto in una sintetica presentazione di 400 parole davvero ben scritta, ma questo è tutto per il momento. Ci sono dei soddisfacenti archi narrativi per tutti i personaggi e abbiamo cercato di fare in modo che in The Show non ci fossero personaggi minori e che tutti gli attori fossero diretti con l’indicazione di recitare come se l’intero film li ponesse al centro. D’altra parte è così che ognuno di noi agisce nella vita reale, siamo noi i protagonisti... per cui credo che ci siamo imbattuti in una nuova e fantasiosa forma di realismo.
Riguardo la serie tv, tutta la storia è completa e sapevamo sin dall’inizio del progetto, circa una decina d’anni fa, quale sarebbe stata la scena finale dell’ultimo episodio. Credo che quello che stiamo proponendo sia qualcosa di creativamente coeso e innovativo, ma forse dovremo aspettare l’uscita del film perché la gente possa capirne il potenziale.
 
9. Hai completato la sceneggiatura per The Show cinque anni fa. Anche La tempesta devi averlo finito di scrivere da parecchio. A cosa hai lavorato nel frattempo? Che cosa ci riserva il futuro?
Ho concluso l’ultimo numero de La tempesta, e con esso la mia carriera fumettistica, approssimativamente due giorni prima di iniziare quella di attore idolo delle donne e quattro giorni prima di cominciare quella di pensionato che se ne va in giro trascinando i piedi. Detto ciò, lo scorso anno ho speso un po’ di tempo a lavorare con Kevin a del materiale extra per l’edizione in volume de La tempesta, pubblicato da poco, incluso correzioni di bozze e simili. Come già menzionato, ho scritto una dettagliata, seppur provvisoria, scaletta per la serie televisiva di The Show e ho avuto numerosi confronti con Mitch riguardo i progressi del film.
L’anno scorso sembra anche che abbia scritto una quantità inusuale di introduzioni e postfazioni: c’è stato un eccellente libro, di prossima uscita, su Oscar Wilde e l’anarchia; una nuova e affascinante biografia sul mercuriale Malcolm McLaren; un’introduzione per la prima antologia realizzata dal gruppo di scrittura del nostro Hope Centre, il locale centro di assistenza per senzatetto ed emarginati di Northampton; una postfazione, di cui sono molto fiero, per il catalogo delle recente mostra su William Blake che si è tenuta alla Tate Gallery e... probabilmente ho dimenticato qualcos’altro.
Riguardo le opere di narrativa, sono stato molto contento di scrivere un racconto, direi un po’ lunghetto, per il rilancio autorizzato di PS Publishing della New Worlds di Michael Moorcock: è la mia rivista preferita di sempre e sin da ragazzo ho sognato di poter scrivere per loro. La storia che ho ideato, che si sviluppa nel primo femto-secondo dell’Universo, si intitola The Improbably Complex High-Energy State. Successivamente, ho scritto un testo di lunghezza simile per il prossimo numero della rivista del Northampton Arts Lab, che sarà un antologico dedicato alla fantascienza: si intitola Location, Location, Location e parla dello scottante problema di quale luogo sceglierà Gesù per andare a vivere a Bedford quando ritornerà sulla Terra dopo l’imminente e certa apocalisse. Un altro racconto, a cui sto lavorando, We Plough the Stars and Scatter, è un racconto fantascientifico ambientato (ancora, mi hai beccato!) nel Northamptonshire, nella Repubblica di Gran Fatturazione del 2062. Ho incontrato Tony Bennett, l’editore di Knockabout, per discutere del completamento e della pubblicazione del volume The Moon & Serpent Bumper Book of Magic, ma il progetto probabilmente più importante è l’opera dedicata a John Dee che avevo precedentemente abbandonato ma su cui ho ripreso a lavorare, questa volta in collaborazione con l’eccellente musicista Howard Gray. Ho scritto un altro dei brevi intermezzi che punteggiano il racconto, un dialogo operistico tra il mago morente e la figlia fedele Katherine. Ho fatto alcune apparizioni pubbliche, per lo più nella mia città natale, e ho girato dei brevi video per diverse cause a cui tengo, tra queste uno per Extinction Rebellion. E, ovviamente, ho rilasciato un considerevole numero di interviste.
Alan Moore visto da Massimo Giacon
10. Ho sempre considerato le storie (alcune) come un modo per migliorare il mondo. Tu hai scelto un approccio più diretto, combattendo le ingiustizie sociali a Northampton o supportando iniziative a favore dei meno fortunati. Non molto tempo fa hai incitato le persone a votare per il partito laburista, il minore tra due mali. Sei coinvolto in progetti analoghi al momento?

Considerando l'attuale stato d'emergenza in cui versa Northampton, si tratta sempre meno di istanze sociali o di azione politica ma piuttosto del contributo di ognuno, giorno per  giorno. Ovviamente metterò a disposizione le mie energie e il mio nome per qualsiasi causa meritoria, ogni volta che mi sarà possibile, ma al momento dobbiamo concentrarci su cose del quotidiano come rifornire il banco alimentare e tenere aperti i centri sociali e le biblioteche.
L'aspetto più rassicurante è vedere che chiunque abbia ancora un po' di cuore che batte nel petto sta cercando di fare qualcosa per tenere vivo un minimo di umanità. Le donne che lavorano in una caffetteria nel centro di Northampton, in cui vado di tanto in tanto, hanno deciso, di propria iniziativa, di dare gratuitamente caffè e porridge ad alcuni senzatetto del posto. L'ultima volta che ci sono andato erano al telefono con uno dei centri di accoglienza per senza dimora per poter fornire lo stesso supporto alle persone del centro e mi sono offerto di aiutarle per quanto potessi.
C'è un momento per prendere posizione e parlare pubblicamente su temi globali – e di fatto, di questi tempi accade ogni giorno – ma c'è anche un momento in cui occorre guardare le rovine causate da quegli stessi problemi planetari che vengono trascinate fino alla tua strada, sull'uscio di casa. L'attivismo politico sta diventando sempre più parte del quotidiano, come lavare i piatti o portare fuori i bidoni della differenziata, e personalmente credo sia soltanto una buona cosa.
Dobbiamo capire che il peso di questo momento storico ricade esattamente su di noi, come individui, e dobbiamo gestire questo peso, per quanto possibile, con la dovuta calma ed efficienza. Oggi, più che mai, il globale e il locale sono la stessa cosa, e riparare l'uno implica riparare l'altro.

11. Alcune persone dicono che gli scrittori dovrebbero essere responsabili per le loro opere. Dovrebbero scrivere cose che rendono il mondo un posto migliore o che diano al lettore la possibilità di crescere come persone. (Le opere di un simile scrittore sarebbero ovviamente legate alla sua visione del mondo). Essere responsabile potrebbe voler dire semplicemente scrivere per intrattenere. Qual è la tua opinione in merito?
Penso che la responsabilità sia una delle chiavi più importanti della condizione umana, sia come individui che come specie. Credo che il termine “responsabilità di” spesso equivalga a “potere su”: se ci assumiamo la responsabilità della nostra vita e delle nostre azioni possiamo scoprire che finalmente abbiamo potere sulle nostre vite e azioni. Se ci assumiamo la responsabilità del mondo e del contesto in cui viviamo, possiamo scoprire che abbiamo maggior potere sul mondo e un agire più efficace in quel contesto.
Tutto questo è particolarmente vero per l'Arte. Credo che gli artisti abbiamo una responsabilità verso il mondo e aggiungerei che - sebbene ogni opera d'arte si sforzi d'essere, quanto più possibile, attraente e piacevole - se l'obiettivo di un artista è nient'altro che il semplice intrattenimento allora siamo ben lontani da questa responsabilità.
Questo non significa che un artista stia facendo qualcosa di sbagliato – è sempre meglio intrattenere la gente piuttosto che mentire, avvelenarla o derubarla – ma semplicemente che, come artista, è possibile fare delle cose straordinariamente giuste. L'Arte, nelle sue molteplici forme, è l'inarrestabile motore che ha guidato le idee e, di conseguenza, la cultura dell'umanità attraverso la Storia.
Credo che oggi gli artisti dovrebbero assumersi la responsabilità del mondo così come è diventato e darci delle visioni illuminanti che possano curarne il cuore malato. Se non sono in grado di farlo dovrebbero, per lo meno, cercare di non contribuire alla cultura di un intrattenimento soporifero e d'evasione in cui, usando le parole di Neil Postman, “ci divertiamo da morire” e ce ne stiamo ad armeggiare sui nostri dispositivi mentre l'Australia brucia.

12. Negli ultimi dieci anni ogni volta che hai aperto bocca per parlare di cultura o temi sociali, alcuni hanno cercato in ogni modo di dipingerti come un eremita arrabbiato. Ovviamente lo fanno per fare più click o per vendere più copie e agendo in questo modo non fanno che confermare quello che tu dici su cultura e società. Le persone vengono travolte da titoli simili ogni giorno nella frenesia del sensazionalismo. Sappiamo tutti che c'è in ballo molto di più. Non si tratta solo di cultura ma del nostro stesso modo di vivere che avrebbe bisogno di un miglioramento. Alcuni pensano che l'umanità e la cultura siano oramai condannate e hanno smesso di fare qualcosa per invertire la rotta. Mi rendo conto che sia un compito arduo ma dal momento che hai interpretato Dio in The Show (sebbene una versione piuttosto scarmigliata, divago) e che in diverse occasioni hai espresso le tue opinioni sulle vicende del mondo, credo ti possa chiedere: cosa pensi della situazione mondiale? Possiamo essere salvati? Come?
Credo che una delle funzioni del supereroe sia da compensatore di codardia, una immagine potenziata di sé per persone che, nella vita reale, non hanno mai preso una decisione giusta che avrebbe potuto causargli delle conseguenze dirette, persone che evitano qualsiasi battaglia in cui non hanno un enorme vantaggio strategico come essere  nati sullo sventurato pianeta Krypton o possedere una pistola nascosta.
Quello che sto dicendo è che una parte dei lettori di fumetti sono dei perfetti, comuni rappresentanti della classe media e non vogliono avere problemi. Sono stati allevati con cura in abitazioni in cui espressioni come “sindacato”, “sciopero”, “crumiro” e “solidarietà tra lavoratori” non facevano parte del vocabolario e si sentono titolati a godere del loro intrattenimento passivo senza alcun conflitto etico.
Di certo non vogliono sentirsi complici del più grande furto nei confronti di una singola persona in tutta la storia dell'umanità – mi riferisco a qualcosa come trenta miliardi di dollari rubati a Jack Kirby – mentre sono in coda per vedere l'ultimo film degli Avengers.
Dopotutto è molto più semplice liquidare chiunque sollevi simili questioni come un rabbioso relitto piuttosto che affrontarle per davvero o pensare alla complicità di ciascuno. L'aspetto divertente di questa storia, davvero pigra dal punto di vista etico, dell' “eremita arrabbiato” è che probabilmente è una delle ragioni per cui non esco più di casa.
Riguardo l'attuale situazione del mondo, ricordo che durante la preoccupante ascesa della destra religiosa e fondamentalista negli anni '80 pensavo che probabilmente si trattasse di una convulsione da panico originata dal fatto che la religione era oramai in declino da qualche secolo, le sue certezze avevano subito dei colpi mortali dai progressi della cosmologia e della paleontologia: l'idea di Dio stava evaporando portando con sé la visione del mondo di molte persone e il pilastro fondante della loro identità.
Erano in uno stato di negazione, rancorosa e atterrita, rispetto a come percepivano l'inevitabile sviluppo dei tempi e così insistevano affinché la complessità del mondo venisse di nuovo racchiusa in termini semplici che fossero in grado di comprendere.
Lo stesso dicasi per la virulenta crescita del nazionalismo di estrema destra negli anni '80 e '90: quelle persone sentivano che le nuove tecnologie di comunicazione, tra gli altri fattori, stavano rendendo i confini nazionali obsoleti e sempre meno rilevanti; stavamo andando verso un mondo transnazionale e poiché la nazionalità era il cardine della loro identità, in qualche modo cercavano di resistere a questa tendenza con delle esplosioni di violenza razzista. Dopo tutto, una delle poche cose su cui i reazionari possono fare affidamento con successo è sulla reazione. Personalmente incomincio a vedere molte similitudini tra questi due esempi e la situazione attuale.
È evidente che ci stiamo avvicinando a un fondamentale cambio di paradigma nello sviluppo della civiltà umana, il terzo, secondo i futurologi Alvin e Heidi Toffler.
Alan Moore visto da Jacen Burrows
Il primo di questi cambi di paradigma o “ondate”, secondo i Toffler, è avvenuto con la scoperta dell'agricoltura che modificò ogni aspetto della vita umana e pose le basi per la nascita delle grandi civiltà.
La seconda ondata avvenne alla fine del XV secolo con l'avvento della stampa e l'inizio dell'industria. Ancora una volta, questo cambio di paradigma, nato dall'inarrestabile incedere della Storia, cambiò il mondo, anche se, mentre questo avveniva, era difficile che le persone se ne rendessero conto.
La Guerra Civile americana, ad esempio, combattuta nominalmente per principi morali e per mettere fine alla schiavitù, può essere vista, in retrospettiva, come l'ideologia del Nord industriale che rimpiazza quella del Sud agricolo, spinta solamente dalle inarrestabili correnti della Storia. Lo stesso si potrebbe dire per la Rivoluzione Russa, occorsa circa cinquant'anni dopo, con la visione del lavoro industriale da parte dei bolscevichi che travolge il feudalesimo agricolo del regime zarista. Ancora una volta una istituzione monolitica che era rimasta in piedi per centinaia di anni era stata spazzata via quando aveva tentato di restare immobile di fronte all'impeto dello sviluppo tecnologico.
La terza ondata, il terzo massiccio e dirompente cambio di paradigma, sta avvenendo ora, col capitalismo industriale che va in crisi a causa delle pressioni di una nuova era per la quale non abbiamo ancora un valido nome ma che possiamo solamente etichettare, senza comprenderla, come “post-industriale”.
Credo che i sostenitori della destra non sarebbero così brutalmente aggressivi se non fossero così terrorizzati, per le stesse precise ragioni che terrorizzavano i fondamentalisti degli anni '80 e i nazionalisti di estrema destra degli anni '90: possono sentire il terreno, il mondo e la visione su cui hanno basato le loro preziose identità, mancargli sotto i piedi come la sabbia risucchiata dalla bassa marea.
Qualcosa di strano e nuovo è in arrivo, e la risposta dei conservatori è sempre quella di ritirarsi in una sorta di caustica nostalgia, una richiesta di ritorno a un’epoca più semplice e luminosa in cui erano più giovani e c’erano meno immigrati. Ho la sensazione che questa gente sia dalla parte sbagliata della Storia e anche se, quasi sicuramente, causeranno un’incredibile quantità di disastri inutili prima di mollare la presa, alla fine spariranno come è accaduto per i cacciatori-raccoglitori della preistoria o col Vecchio Sud. L’unico elemento che complica enormemente questa prognosi è l’attuale situazione ambientale perché probabilmente non avremo il lusso di poter attendere l’evolvere degli eventi come per i primi agricoltori o i primi industriali. Ognuno di noi deve cercare di cambiare e adattarsi a questo scenario in rapida evoluzione, prestare maggiore attenzione ai legami che ci uniscono, e lavorare sodo, facendo tutto il possibile per costruire un futuro che significhi un pianeta vivibile per noi, i nostri figli e i nostri nipoti. A chi si è arreso in preda allo sconforto per la propria impotenza, dico che questo è il modo più sicuro per garantire che si realizzino le catastrofi che temono e la responsabilità sarà tanto loro quanto di chi le perpetra. E se alla fine dovessimo soccombere di fronte a questo tsunami di nazisti dall’improbabile capigliatura almeno l’avremo fatto da autentici esseri umani capaci di distinguere il bene dal male e di tenere la propria posizione.

Voglio però chiarire una questione nella categoria di “cose che salveranno il mondo” e riguarda un’immagine di Glicone, la mia divinità personale, che sta girando su internet con la scritta "Glicone ci salverà". Non per rovinare la festa a qualcuno ma no, non lo farà. Come potrebbe farlo? È soltanto il pupazzo usato da un ventriloquo del I secolo. Non è Mighty Mouse! Al massimo possiamo sperare che, meditando con intelligenza sul complesso di simboli che rappresenta, Glicone potrebbe semplicemente considerare di donarci la saggezza necessaria per... salvarci da soli.

    E con questo si è fatta mezzanotte e sono pronto per una tazza di rigenerante Lemsip e un paio di sigarettine per svagarmi un po' prima di andare a letto.
Spero che le risposte sopra siano adatte al tuo scopo e che tu e i tuoi cari possiate passare un buon anno.
Cordiali saluti,
Alan
 
 
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