Visualizzazione post con etichetta Dylan Horrocks. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Dylan Horrocks. Mostra tutti i post

venerdì 16 gennaio 2015

Dylan Horrocks e la magia del Fumetto

DYLAN HORROCKS è un autore neozelandese che ho sempre seguito con grande attenzione sin dai tempi del suo splendido Hicksville (edito nel 2003 dalla mai troppo lodata Black Velvet dell'amico Omar Martini) e che ho avuto il piacere e l'onore di coinvolgere, anni fa, per il "mio" Alan Moore: Ritratto di Uno Straordinario Gentleman.
Dopo una lunga assenza e una "dolorosa" parentesi come sceneggiatore per testate edite dalle major americane, Horrocks fa il suo ritorno, come autore completo, con Sam Zebel e La Penna Magica, annunciato in uscita il prossimo Febbraio per Bao Publishing. Un'anteprima del volume è disponibile qui.

Nel seguito potete leggere un'intervista all'autore condotta da Paul Gravett, uno dei massimi esperti mondiali di Fumetto, e pubblicata sul suo sito qualche giorno fa.

L'intervista è stata tradotta e appare su questo blog con il permesso di Gravett e Horrocks che ringrazio.

L'intervista completa, unitamente a un'interessante introduzione, in Inglese, può essere letta qui.
Il sito ufficiale di Dylan Horrocks: qui.
Dylan Horrocks
Intervista a cura di Paul Gravett. 

Paul Gravett: In Hicksville hai immaginato un’incantevole, sobria, remota e probabilmente inottenibile utopia per il Fumetto, in Sam Zabel e La Penna Magica, invece, hai utilizzato un avatar per esplorare la realtà, meno idilliaca, di fare fumetti, più o meno, per soldi. Quali sono stati gli ostacoli e i dilemmi che hai dovuto affrontare per ritrovare la strada e tornare a fare fumetti? Come sei stato in grado di superare le difficoltà?
Dylan Horrocks: Dopo Hicksville ho trascorso diversi anni a scrivere fumetti commerciali per la Vertigo e la DC [ad esempio su testate come Batgirl dal N. 39 al N. 57, una run di 19 episodi, e su Hunter: The Age of Magic per una miniserie e venticinque albi, N.d.T.]: è stata un’esperienza affascinante (e mi ha permesso di pagare un sacco di bollette!) ma mi ha quasi ucciso come autore. Scrivevo in una voce che non era la mia e spendevo un sacco di tempo sentendomi intrappolato nelle fantasie altrui. Alla fine avevo quasi perso la mia voce autoriale e anche la mia fede, che mi aveva sostenuto per tutta la vita, nelle storie e nell’arte. Non riuscivo più a fidarmi delle storie. Sam Zabel e La Penna Magica è stato il mio tentativo di trovare una via d’uscita.

Il mondo e i fumetti sono cambiati tantissimo da quanto serializzasti Hicksville, in bianco e nero, su Pickle. Ora Sam Zabel è stato proposto a puntate sul web, a colori, per poi essere pubblicato in contemporanea in volume da editori di tutto il mondo. Qual è il tuo parere su questi cambiamenti, in meglio e in peggio?
Mi ricordo quando, negli anni '80, le fotocopiatrici si diffusero e divennero accessibili a tutti portando alla nascita dell'editoria indipendente, dei mini-comics e delle fanzine. Sembrava una rivoluzione. Ma Internet ha portato la cosa su un livello completamente diverso. Non sorprende che molti editori e rivenditori abbiano problemi ad adattarsi ma l'aspetto per me più importante è l'esplosione di nuovi autori, completamente diversi tra loro, che hanno scelto il fumetto e lo stanno portando, online, in tantissime nuove direzioni. Vivendo in una minuscola nazione, praticamente alla fine del mondo, sono particolarmente consapevole delle possibilità offerte da Internet nel dare visibilità a disegnatori e scrittori prima marginalizzati, non solo per via della nazionalità, ma anche di genere, identità sessuale, appartenenza etnica e quant'altro.
Ovviamente non è tutto rose e fiori. I governi e le multinazionali stanno facendo del loro meglio per mettere Internet sotto il loro controllo, e le cose stanno cambiando rapidamente. Sono tempi interessanti... L'altro grande cambiamento nel mondo del Fumetto sin dai tempi di Pickle è stata l'ascesa del graphic novel. Vent'anni fa l’idea che i fumetti sarebbero stati recensiti regolarmente su riviste importanti e nominati nei principali premi letterari sembrava un’utopia quanto Hicksville. Fatico ancora a crederci. E mi piace ancora scoprire qualche strano fumetto auto-prodotto e pinzato a mano andando in giro per le mostre dedicate all’editoria indipendente…
Osamu Tezuka, il “Dio” del Manga, una volta disse che viviamo in un’epoca in cui il fumetto è come l’aria. In parte era un ammonimento sui potenziali effetti inquinanti sul fumetto stesso. Che cosa ne pensi di questa sua preoccupazione?
Non mi preoccupo dell’effetto sui fumetti piuttosto mi preoccupo per le storie e l’arte in generale. Noi viviamo e respiriamo queste cose (e per questo la metafora di Tezuka è meravigliosa): danno forma e filtrano le nostre esperienze, pensieri ed emozioni, la nostra visione politica ed etica, la religione e la scienza. Non riesco a capire gli scrittori e i disegnatori che non provano un’ansia vertiginosa per via del potere che hanno le immagini e le storie. È una cosa che mi spaventa da morire. Ma, cielo, amo così tanto le storie…

Parlando di anedonia, una parte di me vorrebbe ancora riuscire ad apprezzare i miei supereroi preferiti. Personalmente il grande problema morale è l’ingiustizia perpetrata dalla Disney e dalla Time-Warner-AOL nei confronti dei (co-)creatori di questi personaggi tanto da macchiare indelebilmente le loro saghe senza fine. Gli accordi extra-giudiziari oppure le cause legali respinte non sono di alcun aiuto. Potremmo mai davvero far ritorno a quei territori della fantasia?
Nello stesso periodo in cui ho iniziato a scrivere Sam Zabel e La Penna Magica, ho tenuto una conferenza a Christchurch sul futuro della letteratura in Nuova Zelanda. Ero nel pieno della mia crisi creativa e così, invece di concentrarmi su fumetti o romanzi, ho parlato di Dungeons and Dragons e di altri giochi di ruolo fantasy, della creazione di mondi immaginari come una vera e propria forma d’arte e di come fossero un modo per sfuggire alle seduzioni del racconto strutturato. Successivamente, una persona del pubblico disse che da aveva giocato ossessivamente a D&D ma che un giorno improvvisamente capì che non si divertiva più. Non riusciva più a sospendere l’incredulità e improvvisamente gli sembrò tutto così stupido. Con tono triste disse: “A volte vorrei che potessimo accendere e spegnere la nostra post-modernità a comando.” Non so se sia un problema di post-modernità o semplicemente il fatto che si diventa vecchi, ma capisco quello che intendeva dire. Ci sono giorni in cui farei di tutto per poter tornare indietro. Ma poi inizio a disegnare e, in un certo senso, lo faccio.

Mi preoccupa e mi interrogo sul lavaggio del cervello che i bambini, al giorno d’oggi, subiscono da Spider-Man, Batman e compagnia bella, sin dalla culla o dal passeggino e dai vestitini che indossano. Sono uno stupido?
Saresti stupido a non preoccuparti e interrogarti. Ma questo non significa che sia davvero un problema. Forse è una cosa meravigliosa? Eppure… eppure…  

Soltanto in America ci sono due multinazionali globali determinate a diffondere un limitato numero di marchi in tutto il mondo. È vero che ci sono altre realtà di lunga durata, con brand importanti da altre parti come Monica in Brazil, i Pokemon in Giappone, Blake & Mortimer in Francia e Belgio, Tex, Diabolik e Dylan Dog in Italia… suppongo Beano e Judge Dredd in Inghilterra… ma questi non sono stati imposti in tutto il mondo né dominano completamente il mercato locale in cui si rivolgono. Dovremmo preoccuparci di questa tendenza? Le cose cambieranno o queste storie interminabili non avranno mai fine?
Quello che trovo più difficile da capire è il fatto che questi personaggi che dominano il nostro immaginario collettivo sono tutti dei brand. Mi sentirei meglio se Batman e Capitan America fossero nel pubblico dominio. Una paio di secoli fa, le principali icone culturali erano patrimonio di tutti. Le icone odierne sono trattate come delle proprietà private non dai loro creatori né dagli innumerevoli fan che hanno investito così tanto in loro ma da enormi aziende. Mi piace quando i fan invertono questa relazione e prendono il possesso creativo attraverso il cosplay o la fanfiction. E spesso è proprio lì che si trovano le versioni più interessanti dei più popolari supereroi. Un esempio è Steve Rogers, American Captain, splendido webcomic del neozelandese Robyn Kenealy.  
Né tu né Zabel potete costringere voi stessi ad affermare, nel libro, che “siamo moralmente responsabili per le nostre fantasie” ma ovviamente, grazie alla magia dei fumetti, quella inespressa possibilità tuttavia si mostra direttamente sulla pagina. Inoltre usi il fumetto per mostrare le fantasie erotiche di Sam e allo stesso tempo per confrontarti con esse e metterle in discussione.
Non ho mai voluto che La Penna Magica presentasse una risposta semplicistica a quella domanda. Il libro si apre con due citazioni contraddittorie: una di Yeats, l'altra dell'attrice pornografica (e autrice) Nina Hartley. Queste due frasi, messe insieme, danno inizio a un dialogo, un dibattito.  E il libro porta avanti quella conversazione: espandendola, proponendo punti di vista diversi e complicandola, sollevando nuove domande. Non voglio che il lettore scopra le mie risposte, voglio che esplori quelle domande da sé. Per provare il piacere e il potere della fantasia, anche domandandosi che cosa sia veramente. Non mi fido delle risposte semplici. Penso semplicemente sia una discussione importante da affrontare.

Sei contrario alla censura nei fumetti da parte dello stato o da sistemi di autoregolamentazione? E all'auto-censura? Ti sei censurato su La Penna Magica?
Credo che i pericoli della censura di stato o di sistemi di autoregolamentazione sui fumetti siano superiori a qualsiasi beneficio.
L'auto-censura è un aspetto più complesso. Ci sono pagine in La Penna Magica che ho ridisegnato diverse volte perché, nella prima versione, sentivo d'essermi spinto troppo in là. Volevo trovare il giusto equilibrio, il giusto tono.
Ma ho anche permesso che la storia mi portasse in direzioni che mi hanno fanno sentire a disagio perché sentivo l’esigenza di essere sincero. Sono affascinato dagli artisti che si concedono d’essere indulgenti perché si immergono in profondità nelle loro fantasie e desideri. Sono come speleologi che esplorano le profondità della nostra mente e del nostro corpo come se fossero delle grotte. Ma mi preoccupa quello che scopriremo laggiù in fondo? Credo che dobbiamo sempre riportarlo in superficie e condividerlo con tutti? Questi sono aspetti più complicati.

Mi chiedo se la libertà di fantasticare non scada facilmente in triti cliché e non rafforzi gli stereotipi. Si tratta di aspetti condivisi, populisti e profondamente instillati nelle nostre culture che forse è difficile smuovere o abbattere, no? È inevitabilmente più semplice attenersi a prospettive appaganti piuttosto che metterle in discussione o contraddirle?
Non credo che sia necessariamente un problema. La ripetizione di tropi e cliché familiari è un elemento chiave dell’arte e del racconto popolare; è parte di come esploriamo la nostra cultura e noi stessi, facendo ritorno sugli spessi percorsi ancora e ancora, conoscendone intimamente ogni più piccola sfumatura. Questi luoghi noti possono essere interessanti e rivelatori, e anche curativi e dare conferme. Naturalmente, metterli in discussione è altrettanto rivelatorio ma non credo neghi il loro valore.   
Per me, la cosa più importante è il fatto che una specifica fantasia sia sincera. Anche se uno scrittore, un fumettista o un pornografo non fa nient’altro che ripetere i soliti cliché, se lo fa perché è quello che arriva dal suo io più profondo, allora credo che probabilmente sarà interessante e potente. Ma se invece si tira in ballo soltanto quello che pensa voglia il mercato, o quello che il suo editor gli chiede, suppongo d’essere meno interessato alla cosa. Se mi stai dando in pasto una fantasia che soddisfa un desiderio, allora è meglio che sia qualcosa che l’artista desidera, altrimenti non sembrerà autentica. È molto difficile mentire sul desiderio. Intendiamoci, le persone si ingannano continuamente fingendo falsi orgasmi. Per cui… chi può dirlo? 
Credo che tu stia lavorando anche a un graphic novel erotico. Qual è la “bussola morale” che stai seguendo? Qual è la tua opinione su fumetti erotici/pronografici come quelli, ad esempio, di Manara o Lost Girls di Moore e Gebbie e sul potenziale inesplorato dell’argomento in ambito fumettistico?
Lost Girls mi piace molto. Su Manara il giudizio è più complicato ma non posso negare la sua ossessiva risolutezza. C’è una lunga tradizione di fumetti erotici, che risale fino alle origini del Fumetto stesso, ma sono ancora dell’opinione che l’argomento abbia enormi potenzialità.
La sessualità è così complicata, così importante, così affascinante, così piacevole e disturbante – e la nostra ambivalenza nell’esplorarla così estrema – che mi stupisce come tutti non ne scrivano.
Qual è la mia “bussola morale”? Scrivere e disegnare è come muoversi su territori inesplorati. Se non sai dove stai andando, una bussola può solo aiutarti tantissimo. È importante tenere gli occhi sul terreno…

[Dylan Horrocks sarà tra gli ospiti dell’Australian & New Zealand Festival of Arts che si terrà a Londra dal 28 al 31 Maggio.]

Tutte le illustrazioni usate in questo post sono opera di Dylan Horrocks.
L'intervista può essere letta, in Inglese, sul sito di Paul Gravett: qui.


Le interviste precedenti:

venerdì 5 aprile 2013

I fumetti ti spezzeranno il cuore (forse no)

Jack Kirby (Jacob Kurtzberg, USA, 1917-1994) ritratto da Dylan Horrocks
L'articolo che segue è stato postato da Dylan Horrocks, sul suo sito, il 15 Marzo scorso.
Tradotto e pubblicato in questa sede con il permesso dell'autore che, sentitamente, ringrazio.
Horrocks è noto in Italia soprattutto per Hicksville, autentica gemma del Fumetto contemporaneo, edito da Black Velvet Editrice.

Il pezzo originale può essere letto qui, e fa parte di una serie di sketch dedicati ai Grandi della Nona Arte che include anche Hergé, Tove Jansson e George Herriman. Ovviamente, non sarà sfuggito a nessuno, sin dal ritratto in apertura, il protagonista qui è... il Re, JACK KIRBY!!!

"Questo sketch svela il 'dietro le quinte' della citazione che apre Hicksville. Mi fu raccontato da James Romberger, un illustratore e fumettista il cui splendido graphic novel Seven Miles a Second (scritto dall'attivista e artista David Wojnarowicz) è stato ristampato di recente da Fantagraphics.
Negli anni Ottanta, Romberger incontrò Kirby ad una convention a New York. Kirby prese gentilmente visione dei lavori di Romberger e poi gli dette un consiglio: 'Ragazzo, sei uno dei migliori. Ma porta le tue opere alle gallerie d'Arte. Non fare fumetti. I fumetti ti spezzeranno il cuore.'
Romberger seguì il consiglio di Kirby per anni, esponendo principalmente in gallerie e, a contorno, disegnando fumetti per riviste alternative e letterarie, occasionalmente per editori commerciali. Quando la prima edizione di Seven Miles a Second fu pubblicata dalla Vertigo nel 1996, Romberger menzionò nella sua scheda biografica che, una volta, Kirby gli disse 'i fumetti ti spezzeranno il cuore.' Appena letta quella frase, sapevo che avrei dovuto usarla in Hicksville. Sono grato a Romberger per aver successivamente condiviso con me la storia completa e vi invito caldamente ad acquistare il suo straordinario libro realizzato insieme a Wojnarowicz.
In ogni caso, dopo aver disegnato questo sketch, mi sono sentito così triste che ho dovuto disegnare ancora Kirby, ma questa volta da giovane, alla vigilia della II Guerra Mondiale, quando i comics americani erano una novità e lui era uno degli artifici della creazione, dal nulla, della loro mitologia, all'inizio della sua straordinaria carriera. Per cui eccolo qui..."[Dylan Horrocks]
Il giovane Kirby nella versione firmata Dylan Horrocks
Il 16 Marzo James Romberger inserisce un commento all'articolo, precisando meglio il racconto di Horrocks.
"Uh, sono sorpreso di vedere questa storia diffusa in questo modo e con un disegno fatto come se fosse visto attraverso i miei occhi. Kirby non mi sembrò così triste quando mi disse quelle parole. Era più realista e piuttosto brioso, era il Kirby anziano ma ancora vigoroso dei primi anni '80. La volta successiva che lo incontrai, diversi anni dopo, mi sembrò un po' in tono minore. E non ebbi occasione di parlarci. Da parte sua era più interessato a raccontare a mia moglie Marguerite storie sulla guerra e una folla di curiosi si formò intorno a lui. Mi ritrovai distante da lui e non riuscii più a sentire la sua voce roca e così mi misi a parlare con Roz."

I fumetti ti spezzeranno il cuore... forse no.
Lunga  vita al Re!!!

martedì 19 giugno 2012

opinioni sul fare fumetti... [2]

Ben Affleck legge Madman. Da In cerca di Amy.
Succedono un sacco di cose nel Fumettomondo. E, lo confesso, fatico a starci dietro, soprattutto in real-time. Leggo tante cose in giro, veloce. Forse troppe. Forse pecco col "campionamento" ripromettendomi una seconda lettura integrale che, sempre più spesso, non arriva. Mi scuserete. Non si "vive" di solo Fumetto, azzardo.
Comunque, ritrovo un file con qualche appunto. Forse merita d'essere condiviso. Forse qualche vicenda è già superata e io sono all'oscuro degli sviluppi... Ma, sono solo abbozzi di riflessioni, note a margine, uno zibaldone caotico. Idee per post magari più articolati. Ma tant'è...

Era Aprile e... mi ha colpito la lettera aperta che Carmine Di Giandomenico ha indirizzato alla Panini riguardo le edizioni italiane delle sue storie, scritte e/o disegnate, per la Marvel Comics e il conseguente "trattamento" riservatogli dall'editore modenese. Conosco Di Giandomenico, autore di grande talento e persona generosa, da parecchi anni (probabilmente sin dagli esordi) e ho avuto il grande piacere e l'onore della sua partecipazione a diversi progetti da me ideati e a lui va la mia sincera solidarietà per il suo "amaro sfogo". Nemo propheta in patria.

In una recente intervista, Andrea Plazzi, nome che non necessita certo di presentazioni, ha dichiarato: "Il fumetto sta molto bene creativamente ma non è ancora chiaro se e per quanti (autori, editori, professionisti dell’editoria in genere) resterà un lavoro." Uhmmm... meditare gente, meditare.

Altro giro, altro "sfogo". Raul Cestaro, una delle "matite" Italiane più talentuose, insieme al fratello gemello Gianluca, qualche giorno fa ha scritto su Facebook: "All'estero non so, ma qui in Italia, è il ragionare sempre e immancabilmente per clan, che limita le sinergie che potrebbero fare bene al fumetto italiano. Tutto ciò mi provoca solo disgusto." Una dolorosa constatazione.

Sul sempre ottimo Conversazioni sul Fumetto, m'imbatto in una bella intervista all'acuto, nonché eccellente fumettista, Dylan Horrocks: "Mi piace leggere commenti intelligenti e interessanti sul fumetto. Quelli che amo di più sono sia informativi (mi raccontano qualcosa sulla storia del fumetto che io non conosco), sia esplorativi (cercano di scavare a fondo per trovare nuovi punti di vista o comprendere certi aspetti del fumetto e/o della vita). C’è un sacco di roba buona in giro che si occupa di questi due “mondi” e di certo internet ha fatto la sua parte. Al momento mi piace leggere Tom Spurgeon, Jeet Heer, Heidi McDonald e David Brothers (fra i tanti che preferisco), ma amo anche le distaccate, imprevedibili, affascinanti discussioni che talvolta nascono spontaneamente su Twitter, in cui interviene ogni genere di persone (dai famosi cartoonist ai fan teenager), discutendo con inaspettata perspicacia per poi sfumare via.
Non mi interessa la critica come modo per stabilire se un fumetto è “bello” o “brutto”. Davvero non mi attrae; sono più interessato a riflettere sul fumetto in generale, piuttosto che a decidere quale di loro merita un premio.
" Riflettere sul Fumetto "in generale". Fosse facile.
Shane Black in Predator.
Intanto in lingua inglese, l'arguto e autorevole Rich Johnston posta un pezzo, interessante assai (intitolato, senza giri di parole, "Parla con i tuoi collaboratori freelance. Specialmente con quelli a cui devi dei soldi."), che evidenzia il suo "peso" per facilitare i pagamenti in arretrato dovuti dalle case editrici ai loro "dipendenti" e mette in luce "note" abitudini degli editori. Tutto il mondo è paese.

E mi torna in mente un passaggio del libro Alan Moore: Storyteller (pag. 73): "Le persone in questo settore hanno la cattiva abitudine di sopportare pessime condizioni lavorative solo perché amano il lavoro che fanno, e ci sono editori che se ne approfittano. A volte l’ho sopportato, in certi casi lo sopporto ancora, ma oltre un certo punto, diventa masochismo continuare a fare qualcosa che non serve ad altro che a innervosirti sempre di più ogni giorno che passa." [anni '80, probabilmente 1984. Alan Moore, of course!]
C'è un limite a tutto. Dovrebbe esserci. Almeno credo.

Succedono un sacco di cose nel Fumettomondo.
Ma forse, alla fine, non succede poi nulla di "particolarmente" nuovo.
Solo, probabili o improbabili, déjà vu... Forse.
James Brown mostra un numero di Werewolf by Night. Da Quando eravamo re.
Le immagini di "fumetti nel cinema" le ho "rubate" dallo splendido sito degli Immonen.

lunedì 21 novembre 2011

Intanto a Hicksville...

Mettevo ordine, per quanto possibile, tra i fumetti che affollano la mia casa, e mi sono ritrovato tra le mani un tomo. E che tomo (faccio notare la dicitura "un romanzo a fumetti" in copertina :))! Lo splendido Hicksville del geniale autore neozelandese Dylan Horrocks, pubblicato nel 2003 da Black Velvet Editrice: un vero e proprio inno al fumetto, alla sua storia e alle sue incredibili potenzialità. Se non l'avete mai letto... beh, procuratevelo!
Mi sono ritrovarlo a rileggerlo un po' a salti. Un'opera davvero intrisa d'amore per il fumetto, con tante storie nelle storie, una specie di scrigno pieno dei sogni, patimenti e progetti creativi dell'autore.
E con molta, moltissima ironia e intelligente senso del gioco.
Sfoglia che ti sfoglia, l'occhio mi è caduto sulle pagine in appendice e sull'articolo del 1988 firmato da Horrocks, intitolato Una lettera da Hicksville (perchè amo il fumetto neozelandese), in cui parla della scena fumettistica del suo Paese. Le parole che riporto nel seguito - un estratto dal pezzo di Horrocks nella traduzione di Alberto Corradi (pag. 268-269) - mi sono "suonate" come una sorta di "contro-canto", se non una possibile risposta o "medicina", allo "sfogo" di Giacomo Monti che ho riportato nel precedente post.
A mio avviso c'è sempre qualcosa di eroico nelle persone che lottano per dominare un'arte anche quando non c'è nessuna speranza di farla diventare la propria professione.
Una volta, mentre tenevo delle lezioni sulla storia del fumetto a un corso serale dell'Università di Auckland, uno degli studenti, un signore che aveva ormai superato i cinquant'anni mi chiese se avevo problemi a visionare qualcosa del suo lavoro. Allora tirò fuori un centinaio di pagine o giù di lì di un piccante fumetto d'avventura disegnato in modo davvero competente. Colmo di donne in topless e arcani misteri, aveva un gusto vagamente retrò (provate ad immaginare una storia di Heavy Metal disegnata da Edgar P. Jacobs).
Ero sbalordito. Quel tizio aveva tranquillamente lavorato sulla sua storia per anni, per il solo piacere personale. Non c'era nessuna speranza che sarebbe mai stato pubblicato. Era troppo crudo per metà degli editori e non abbastanza per i restanti; a ogni modo, era troppo retrò per tutti loro. Ma mi piaceva. Vorrei essermene fatto una copia, ma invece fece ritorno a chissà quale confortevole nascondiglio privato dove il mio studente l'aveva creato.
In definitiva, questo è il tipo di fumetti che mi piacciono di più. E' come il vecchio fandom prima che diventasse un affare e un'estensione dell'industria. Quando era composto di sfigatelli entusiasti per cui non c'era niente di meglio che proiettarsi in piccoli mondi immaginari costruiti con amore e attenzione per i dettagli. Persone consacrate a un'arte che nessun altro riconosceva, per non dire rispettava. Persone che trovavano nel fandom una comunità che erano incapaci di individuare nella società tradizionale. Direi che la Nuova Zelanda conserva ancora qualcosa del genere, all'interno delle entusiastiche comunità concentrate intorno a "Fun Time Comics" a Christchurch e "Treacle" e "Umph!" di Tony Renouf a Dunedin, e ai fanzinari vivaci e senza pretese di "Oats Comics", che paiono credere fermamente che chiunque può e debba diventare un fumettista."