sabato 31 maggio 2014

Peter Hogan: da Tom Strong a ELECTRICOMICS

Copertina di Tom Strong and the Planet of Peril N. 1. Matite: C. Sprouse; chine: K. Story; colori: J. Bellaire
Nel seguito potete leggere un'intervista allo sceneggiatore Inglese PETER HOGAN, autore con una carriera pluri-decennale, noto in Italia soprattutto per la collaborazione con Alan Moore sulla linea ABC e per le sue storie di Tom Strong.
Nei giorni scorsi è stata annunciata la sua partecipazione a Electricomics, il più recente progetto di Moore

L'intervista è stata condotta via email durante i mesi di Aprile e Maggio; può essere letta in lingua originale su Alan Moore World.
La bibliografia di Peter Hogan su The Comic Book Database: qui.
Peter Hogan.
Tom Strong è l’unico “superstite” della linea ABC ideata da Alan Moore. Avevi scritto alcuni numeri della serie originale creata da Moore e dal disegnatore Chris Sprouse, collaborato con Moore alla scrittura delle miniserie su Terra Obscura e poi, alla chiusura dall’etichetta nel 2006, sei diventato lo sceneggiatore della serie realizzando le mini Tom Strong e I Robot della Morte e la recente Tom Strong and The Planet of Peril.
Che cosa trovi d’interessante in Tom Strong? Personalmente penso sia un mix quasi perfetto di classico e moderno, e anche un ottimo mezzo per raccontare l’avventura in modo piacevole e, al contempo, intelligente.
Sì, sono d’accordo. Tom è un ottimo personaggio, con un eccellente cast di comprimari. Molti colgono i legami con la letteratura pulp ma per me Tom è piuttosto un personaggio dei fumetti della Silver Age. Ha quel tipo di purezza e, qualsiasi cosa il mondo moderno gli lanci contro… non dico che non abbia alcun effetto su di lui, ma è capace di gestirla.

Penso che anche la famiglia di Tom Strong giochi un ruolo importante nelle sue storie, per la dinamica dei loro rapporti. Qual è il tuo approccio riguardo quest’aspetto? Sono curioso come lettore e interessato a comprendere meglio il “processo creativo”: in quale modo tu, come scrittore, ti avvicini e gestisci questo specifico personaggio e… i personaggi, in generale?
Beh, l’elemento interessante di Tom e del suo mondo è che ha una scala molto umana. C’è una continuity da gestire, c’è un complesso intreccio di relazioni e un bel po’ di personaggi di cui tenere conto ma… è tutto gestibile per cui è possibile scrivere storie coinvolgenti e dinamiche. Penso che il motivo per cui gli enormi universi supereroici si sono drasticamente rovinati è che si sono strangolati con la loro stessa continuity. C’è una forza e un’eleganza nella semplicità, un qualcosa che possedevano un tempo ma che non hanno più, oramai.
Riguardo a come funzioni la dinamica dei personaggi, la risposta non è facile perché non la comprendo appieno neppure io. Voglio dire, puoi scrivere in maniera logica quello che dovrebbe succedere, quello che ti piacerebbe succedesse ma… i personaggi potrebbero non essere d’accordo. È un aspetto dello scrivere che probabilmente sembra pretestuoso per una persona non coinvolta, ma è assolutamente vero. I personaggi dicono e fanno cose che ti sorprendono e deliziano, e che si tratti dell’opera del tuo stesso subconscio o che tu agisca da canale di comunicazione per qualcosa che proviene dall’Etere… chi può saperlo? Ma è davvero così che funziona.
Un cattivo scrittore è colui che non riesce a mettere il proprio ego da parte e non permette che un simile processo accada, di conseguenza i suoi personaggi tendono con l’essere bi-dimensionali.
Copertina variant realizzata da J.H Williams III per Tom Strong e I Robot della Morte N.1.
Storie basate sui personaggi contro storie basate sulla trama: come scrittore quale opzione preferisci? Ma forse non è una domanda corretta e dipende da caso a caso...
In realtà non penso in questi termini: qualsiasi cosa tu stia facendo hai bisogno di buoni personaggi e di una buona storia. Ma ricordo che una volta Neil Gaiman ha definito la “trama” come qualcosa che spinge il lettore a girare pagina e ad andare avanti e che, raggiunta la fine, non lo lascia con la sensazione d’essere stato preso in giro. Ed è una definizione che mi sta bene. Per cui la “trama” può essere un concetto piuttosto vago ma di sicuro non si può fare a meno dei buoni personaggi.

Tornando a parlare di Tom Strong, un altro elemento chiave della serie è… il “sense of wonder”, spesso con un gusto che rimanda alla fantascienza classica. Quali sono i tuoi riferimenti o le tue influenze, o semplici interessi, sull’argomento?
Beh, sono solo sei mesi più giovane di Alan per cui, parlando in generale, abbiamo le stesse influenze. Siamo cresciuti con gli stessi fumetti, film e libri e… credo che per quasi tutti gli anni ’60 la fantascienza abbia, in gran parte, proposto una visione positiva e ottimistica, in cui il futuro veniva percepito come un insieme di luminose possibilità. Credo ci siano degli echi di tutto questo in Tom Strong ma filtrati attraverso una sensibilità moderna. Ma sarebbe impossibile fare diversamente. Sarebbe come cercare di fare al giorno d’oggi un film nello stile di Frank Capra: è molto, molto difficile perché il mondo moderno non è innocente come lo era negli anni ’30 e occorre tenerne conto. Si PUÒ fare - un buon esempio è Ricomincio da capo – ma è difficile.
Matite di Chris Sprouse, chine di Karl Story. Da Tom Strong e I Robot della Morte N.4, pagina 3.
Stiamo parlando di fumetti e questo, ovviamente, significa… disegno e storytelling. Per cui cosa puoi dirci sulla tua collaborazione con Chris Sprouse, il disegnatore e co-creatore di Tom Strong? Personalmente penso che lo stile di Sprouse sia perfetto per la serie essendo capace di ricreare un’atmosfera da fantascienza classica per la città, l’architettura, le macchine e… allo stesso tempo, riesce a far recitare i personaggi con grande naturalezza.
Concordo. Tom è il “figlio” di Chris e lo disegna meglio di chiunque altro. Per me questo è una gioia perché Chris fa sempre quello che serve e posso semplicemente fidarmi di lui. Fortunatamente Chris ha la stessa opinione di me! Quando la Wildstrom mi chiese di rilanciare Tom per la miserie sui “Robot della morte”, non c’era alcuna certezza che Chris avrebbe potuto disegnarla, ma sono davvero molto contento che l’abbia fatto.
Inoltre penso che Chris sarebbe felice se potesse disegnare Tom per sempre. Per quello che mi riguarda ho idee per almeno due altri archi narrativi, per cui… spero solo che ci diano l’okay per farlo.

Ora Tom Strong è passato sotto l’etichetta Vertigo: ci sono state delle ricadute sul personaggio e sul modo in cui gestire le sue storie?
Assolutamente no. Si è trattato solo di un cambio di marchio editoriale. Ora il nostro editor è Kristy Quinn che è stata l’assistant editor di tutti i titoli ABC. Penso davvero che sia un peccato non mantenere il nome ABC, semplicemente perché… ma è stata una loro scelta. Probabilmente hanno pensato che non si potesse avere una linea di fumetti rappresentata da una sola serie.
Matite di Chris Sprouse per la copertina di Tom Strong and The Planet of Peril N.3.
Planet of Peril è ancora inedito in Italia. Ho letto gli albi in lingua originale ma non voglio rivelare nulla della storia… puoi dirci tu qualcosa in merito?
Tutto è scaturito dal fatto che l’ultima volta che abbiamo visto Tesla in I Robot della Morte aveva appena annunciato d’essere incinta. E ho pensato che fosse una cosa bella da fare, far diventare Tom nonno - e, fatto curioso, in quello stesso periodo anche Alan è diventato nonno! A ogni modo, quando ho iniziato a pensare a un seguito per quella storia mi è venuto in mente che la gravidanza avrebbe potuto essere una situazione pericolosa per Tesla, dal momento che suo marito è un “essere di fuoco”. Avrebbe potuto rischiare la vita.
Per cui che cosa potrebbe salvarla? E sono giunto alla stessa conclusione che trae Tom nella storia e lo porta a viaggiare fino a Terra Obscura. E dal momento che volevo tornarci comunque e che avevo così la possibilità di farlo, ne ero stra-contento. Ma si tratta di una storia molto dark perché Terra Obscura si trova nel mezzo di un’incredibile crisi che ha causato la morte di milioni di persone. Non c’è un “cattivo” da sconfiggere e, di fatto, si tratta di una storia sulla morte e su come le persone l’affrontano. I lettori che si aspettavano una classica avventura supereroica non l’hanno capita ma sembra sia piaciuta davvero alle persone con la mente un po’ più aperta. Comunque sia, c’è un lieto fine e personalmente ne sono molto soddisfatto.

Tu e Alan Moore. Si tratta di una domanda ovvia per te, probabilmente una a cui hai risposto innumerevoli volte in passato…
Com’è stato collaborare con Moore in occasione delle storie precedenti? L’hai “consultato” oppure gli hai chiesto “supporto” o “commenti” sulle nuove miniserie che hai scritto da solo?
Beh, per Terra Obscura si è trattato di una vera collaborazione: io e Alan ci sedevamo l’uno di fronte all’altro e buttavamo giù le trame, poi io andavo a casa e scrivevo le sceneggiature. Per le altre storie dell’ABC, come le prime storie di Tom, parlavamo al telefono e qualche volta lui mi suggeriva qualcosa ma la maggior parte delle volte ero io a fare domande sul passato del personaggio e cose simili.
Poi quando la Wildstorm mi ha chiesto di rilanciare Tom Strong qualche anno fa ho risposto che il mio sì era condizionato dal fatto che Alan fosse d’accordo. Per cui l’ho chiamato al telefono e fortunatamente era felice che andassi avanti. Ma c’era anche un implicito accordo che da quel momento in poi avrei dovuto cavarmela da solo e che non avrei più dovuto disturbarlo sulla questione. Per cui da allora è tutta farina del mio sacco.
Copertina di Terry Dodson per il N. 1 di America’s Best Comics: A to Z.
Che cosa è successo ad America’s Best Comics: A to Z? Vedremo mai i due numeri mancanti rispetto a quanto annunciato a suo tempo?
Ne dubito molto. L’hanno cancellata all’improvviso. La sola storia che ho scritto che non ha visto la luce era quella su Smax, che era la più debole di quelle che avevo realizzato per cui non sono così dispiaciuto per la mancata pubblicazione. Il resto di quei numeri l’avrebbe scritto Steve Moore ed è un peccato… avrei davvero voluto vedere quello che Steve avrebbe fatto con Promethea, ma non so se avesse scritto una sola parola della storia prima della cancellazione della serie. Se l’ha fatto, magari quella storia spunterà fuori, prima o poi, tra tutti i suoi scritti.
L’intera serie di A-Z è stata davvero strana. Sostanzialmente era un’idea di Alan: stava completando gli ultimi numeri dell’ABC e penso che abbia concepito quella serie come un reboot della linea dando alla Wildstorm una piattaforma da cui far ripartire le serie. Considerando questo punto di vista, la serie ha perfettamente senso mentre, invece, se la Wildstorm sapeva già che avrebbero chiuso la linea ABC non ha nessun senso. E penso che alla fine sia andata così: non avrebbero preso in considerazione nessun progetto futuro ed è quello che è accaduto per mesi e mesi, persino prima che la serie A-Z venisse avviata, perciò non credo che siano state le scarse vendite a farli decidere. Penso che avessero già deciso di chiudere tutto il secondo dopo che Alan se ne fosse andato… ed è una cosa comprensibile ma penso che avrebbero potuto far funzionare la linea anche senza di lui, se solo ci avessero davvero pensato. Al tempo hanno preso davvero un mucchio di pessime decisioni.

Ti piacerebbe scrivere qualche altro personaggio dell’ABC, ipotizzando che sia possibile? Personalmente penso che saresti perfetto per una run di Top 10…
Beh, ho scritto Top Ten - e un sacco di altri personaggi dell’ABC - per la serie A-Z ma… rifarlo credo sia molto improbabile. Non hanno lasciato che Zander Cannon terminasse la sua miniserie su Top 10 e vorrei davvero lo facessero. Mi stava davvero piacendo e so che non ero il solo.
Al momento sto aspettando che mi diano il via libera per un’altra storia di Tom Strong: è questa la mia priorità. A seguire, mi piacerebbe fare un’altra serie su Terra Obscura … e l’unico altro personaggio che mi potrebbe tentare è Jonni Future. Se mai me lo chiedessero, vedremo.
Copertina firmata Steve Parkhouse per il Vol. 1 di Residen Alien.
Stai anche scrivendo un interessante fumetto per la Dark Horse dal titolo Resident Alien, per i disegni di Steve Parkhouse. Puoi dirci qualcosa al riguardo? Ho letto che è stato Parkhouse a darti lo spunto iniziale per la serie. [in Italia alcuni episodi sono apparsi su Dark Horse Presenta edito da Bao Publishing, N.d.T]
Sì, è vero. Avevo lavorato con Steve in precedenza, e volevo collaborare di nuovo con lui e mi disse che gli sarebbe piaciuto fare qualcosa che avesse a che fare con gli alieni. Resident Alien è l’idea che tirai fuori: un alieno la cui astronave si è schiantata sulla Terra, in attesa di una missione di recupero che potrebbe non arrivare mai. Per cui tiene un profilo basso facendosi passare per un dottore… e anche se lo mostriamo con fattezze aliene durante il corso di tutta la storia è chiaro, dalle reazioni delle altre persone, che tutti quelli che lo incontrano lo vedono come un essere umano.
Così quando il dottore locale viene ucciso, gli viene chiesto di dare una mano. E considerando che gli piace essere parte della città ed essere coinvolto nel risolvere crimini… In pratica, se lo dovessi proporre per un film, l’idea chiave sarebbe… un detective alieno! Questo è tutto quello che c’è da sapere. La seconda miniserie che ho scritto sta per essere raccolta in volume e, al momento, Steve sta disegnando la terza serie e io sono a metà della scrittura della quarta. Abbiamo un piano per continuare a fare Resident Alien per un bel po’ di tempo!

Dal tuo privilegiato punto d’osservazione, qual è la tua percezione dei comics al giorno d’oggi, come mezzo espressivo e come industria?
Rimane come sempre un mezzo fantastico e penso che durerà per sempre qualsiasi sia l’effetto che la tecnologia ha sulle modalità di lettura.
Riguardo lo stato dell’industria sembra essere esattamente nel mezzo di un periodo di grandi cambiamenti: alcuni sono molto interessanti, altri un po’ spaventano. Il numero degli case editrici è aumentato, così come quello degli editori aperti a nuove idee e generi, ed è un’ottima cosa… specialmente dal momento che le Big Two [DC e Marvel, N.d.T] sembrano, in questo momento, molto meno “avventurose” di quello che sono state in passato. Mi vengono in mente i dinosauri, e vorrei che non fosse così.
L’industria cambierà questa è l’unica cosa certa ma… non fare scommesse sul come cambierà! Fino a quando potremo ancora fare fumetti & guadagnarci da vivere, andrà tutto bene.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Di sicuro altre storie di Resident Alien. Proprio in questi giorni sto mettendo insieme una proposta per un graphic novel e spero di trovare un editore interessato. E, come sai, ho fatto una storia per Electricomics.
Lo staff di Electricomics al lavoro!
Esattamente che cos’è Electricomics [annunciato ufficialmente qualche giorno fa. Su Fumettologica trovate qualche info - qui - e molto altro sul mio Alan Moore World, qui. N.d.T.]?
Si tratta di un’antologia di storie brevi a fumetti pensate specificatamente per dispositivi elettronici come i tablet. Circa tre anni fa Alan Moore mi telefonò e mi chiese se volessi farne parte. Ci è voluto tutto quel tempo per concretizzare il progetto. L’idea di base è di cercare di ideare delle storie che sfruttino le potenzialità del mezzo digitale e che non si potrebbe raccontare nello stesso modo se venissero stampate su carta. Per cui… si tratta di un esperimento ed è stata davvero una bella sfida.

Puoi rivelarci qualche dettaglio su Cabaret Amygdala, la tua short annunciata come una storia “horror modernista”?
Beh, in realtà s’intitola Cabaret Amygdala Presents... Second Sight. Cabaret Amygdala era il titolo suggerito da Alan perchè pensava fosse un nome interessante per un etichetta “ombrello”, un po’ come per Twilight Zone.
A ogni modo, Alan mi chiese di scrivere una storia horror che mettesse le persone in una situazione di… apprensione. Non è affatto un classico horror soprannaturale perché quello non è esattamente il mio genere. Ci sono aspetti del soprannaturale in cui credo, per esempio i fantasmi, ma non mi spaventano per nulla. E riguardo molti altri aspetti - il diavolo, i vampiri e robe simili – penso semplicemente che siano ridicoli e inoltre abbiano davvero fatto il loro tempo. Con questa storia ho messo insieme un paio di concetti che personalmente trovo inquietanti e spero che i lettori provino la stessa sensazione.


Le interviste precedenti:

venerdì 23 maggio 2014

recensioni in 4 parole [16]

Tumultuosa creatività che ispira.
Meraviglia. Nostalgia. Firmate Millar.
Nel silenzio si racconta.
Parole sagge da Maestro.
*********

Abbiamo detto 4 parole su:
di Gipi
Editore: ComicOut
Formato: brossurato, colore (testo bilingue: Inglese/Italiano)
Prezzo:  € 22,50
Anno di pubblicazione: 2014
Per qualche parola in più: QUI.

Starlight N. 1 (in Inglese)
di Mark Millar (testi) e Goran Parlov (disegni)
Editore: Image Comic
Formato: spillato, 32 pagine, colore
Prezzo: $ 2,99
Anno di pubblicazione: 2014
Per qualche parola in più: QUI. (e qui, in Inglese) 

Say hi from me 
di Bianca Bagnarelli (testi e disegni)
Formato: 4 pagine, colore

Disponibile online: qui
Storia inclusa in Nobrow N. 9
Anno di pubblicazione: 2014 
Per qualche parola in più: QUI.

di Francesco Matteuzzi e Laura Pasotti
Editore: ComicOut
Formato: brossurato, 64 pagine b/n + 32 colore
Prezzo: € 8,50
Anno di pubblicazione: 2012
Per qualche parola in più: QUI.

lunedì 12 maggio 2014

Joe Bennett: Supreme e il mondo dei comics

"Re-creation" - firmata di Joe Bennett - della copertina di Supreme N. 41.
Ritornano le fumose interviste e... stavolta su smokyland è la volta di JOE BENNET, fumettista brasiliano - il suo vero nome è infatti Benedito Jose Nascimento - attivo nel mondo dei comics americani fin dagli ann '90 dello scorso millennio, dopo gli esordi su testate nazionali.
BENNET è noto sopratutto per la collaborazione di quegli anni con Alan Moore per il rilancio di Supreme, il personaggio Image creato da Rob Liefeld, evidente "brutta-copia" di Superman, totalmente rivisitato e portato a vette mai raggiunte prima (e neppure dopo, a dire il vero) dallo scrittore di Northampton.
Attualmente Bennet collabora con Marvel e DC e di recente ha prestato le sue matite per raccontare le avventure di Iron Man e Superman.

L'intervista è stata condotta, in portoghese, da Flavio Pessanha durante il mese di marzo 2014.
Traduzione dal portoghese in inglese di Flavia Ferreira.
Tradotta in italiano (dall'inglese) e postata su questo blog con il permesso di Flavio Pessanha, che ringrazio.
L'intervista in Inglese, può essere letta qui.

Alan Moore BR è su Facebook la pagina brasiliana dedicata a Moore: qui.
Joe Bennett... e gli strumenti del mestiere!
AMBr: Joe, hai disegnato le prime storie di Supreme scritte da Alan Moore. Guardando indietro, come giudichi il tuo lavoro?
Joe Bennett: Vorrei poter ritornare indietro nel tempo e rifare tutto. Ma il periodo all’Image limitava il mio stile. Avrei potuto fare qualcosa di meglio come ad esempio l’albo che ho realizzato di recente per Superman [Adventures of Superman N. 8, N.d.T.]: quello avrebbe dovuto essere il mio stile per Supreme.

AMBr: L’Extreme - lo studio di Rob Liefeld all'interno della Image, poi denominato Maximum Press ed infine Awesome Comics - era noto per imporre uno specifico modello di disegno, quello di Liefeld. È corretto?
JB: Sì, in quel periodo era così. Solo quelli che si attenevano a quello stile predominante potevano lavorare per la Image. A me non è mai piaciuto ma avevo bisogno di lavorare. Sono sempre stato un fan del “classici”: Hal Foster, Alex Raymond, John Buscema, Garcia Lopez. È stato un vero tormento per me disegnare in quello stile Image perché ho sempre avuto un buon storytelling ma non c’era spazio per quello: si doveva puntare tutto sul disegno e sulle botte. È stato difficile ma mi sono adattato velocemente e poco dopo sono tornato al mio stile originario.
Copertina variant per Supreme N. 41. Matite di Joe Bennett.
AMBr: Come ti sei trovato a lavorare sulle sceneggiature di Alan Moore? Erano davvero così dettagliate?
JB: Sì, avevano un numero incredibile di dettagli. E dico sempre che avevo il terrore di cambiare anche il minimo elemento perché se diceva che, sullo sfondo [di una vignetta] c’era un cane che attraversava la strada, avevi paura a non disegnarlo… Chi poteva sapere se quel cane nel seguito della sceneggiatura non sarebbe diventato un’entità cosmica [ride]. Ma è stato splendido, è stata una lezione su come scrivere una sceneggiatura.

AMBr: Eri il disegnatore della serie prima che Moore salisse a bordo. Come è stato questo cambio di sceneggiatore?
JB: Ho persino pensato di lasciare... ma no, sono rimasto. E sono stato a diarrea per tre giorni, lo dico sul serio… ero nervoso.
Pagina da Supreme N. 41. Matite di Joe Bennett.
AMBr: Disegnare per Moore ti ha richiesto più tempo? Quanto tempo impiegavi a realizzare un albo?
JB: No, quello che mi prendeva tempo era leggere la sceneggiatura. Per ogni tavola c’erano tre pagine di spiegazione, se non di più. Ma come mio solito ho impiegato una ventina di giorni per albo.

AMBr: Sei stato uno dei pochi disegnatori brasiliani ad aver lavorato con Alan Moore. Quanto credi sia stato importante per la tua carriera?
JB: Penso d’essere stato il solo a lavorare direttamente su una sua sceneggiatura, perché se ricordo bene, la Avatar ha fatto qualcosa ma credo che si trattasse di un adattamento di un suo script cinematografico, illustrato da un Brasiliano. [Riferimento a Fashion Beast, adattamento a fumetti di Antony Johnston - per i disegni di Facundo Percio - di uno script per il cinema scritto da Moore negli anni ’80, N.d.T.]
È stato molto importante per la mia carriera, mi ha dato un curriculum invidiabile e per il fan che è in me è stato come un sogno che diventa realtà. Immagina un chitarrista che si esibisce nei pub che si trova a suonare fianco a fianco con John Lennon. È stato più o meno così…

AMBr: A cosa stai lavorando al momento? Hai qualche tuo progetto personale in arrivo?
JB: Sto lavorando su Iron Man per la Marvel e Solar per la Dynamite. Riguardo progetti personali, mi sono preso una pausa. Non ci sono possibilità per il prossimo futuro e penso che probabilmente non ce ne saranno mai.
Copertina per Supreme N. 42. Matite di Joe Bennett.
AMBr: Che ne pensi della critica di Moore sui comics mainstream e sulla sua affermazione che i lettori sono diventati dipendenti da un modello immaturo di fumetto?
JB: Ci metto la firma. Penso che i comics siano allo stremo perché contrariamente al passato in cui venivano creati per qualsiasi tipo di pubblico, oggi vengono fatti solo per vedere se si riesce a farne un film o qualcos’altro. Non leggo fumetti da circa vent’anni perché non voglio arrabbiarmi. Amo il mio lavoro ma non sono obbligato a leggere le cose nuove che vengono pubblicate. Penso che siano tutte davvero ridicole.

AMBr: Il fumetto è un mezzo espressivo economico: puoi realizzare delle storie a fumetti con dei costi davvero contenuti. Fare cinema costa una fortuna e per fare grandi incassi si lavora a pellicole che accontentino “grandi e piccini”. È un male che i fumetti siano realizzati nello stesso modo per essere compatibili con i film?
JB: Sì, penso sia terribile. Al giorno d’oggi non avremmo mai visto la DC Comics pubblicare un fumetto come Swamp Thing di Moore. Non puntano più su fumetti di quel tipo perché tutto è così superficiale in modo da poter essere facilmente adattato per il cinema e la televisione. È davvero una bella merda, ecco che cos’è.

AMBr: Prima degli anni ’80 i comic vendevano mezzo milione a numero, oggi una serie che vende 50 mila copie è considerate un successo. Che cosa è successo?
JB: L’industria dei comics si è avvitata su sé stessa perché non si è evoluta come hanno fatto altri media. È piuttosto comune vedere folle di persone che sono fan di Iron Man ma non hanno mai letto nessun fumetto su di lui o di altri supereroi.
Pagina da Supreme N. 42. Matite di Joe Bennett.
AMBr: Qual è, secondo Joe Bennett, il futuro dei comics? In quale direzione si evolveranno?
JB: A essere onesto, non lo so. Migrare verso il digitale è la via d’uscita per molte case editrice. Riguardo la produzione dei fumetti, rimarrà ancora su carta e inchiostro… fino a che un giorno tutto verrà fatto al computer, sulle Cintiqs del mondo. Ma allora io sarò già in pensione [risate].

AMBr: E il Fumetto in Brasile? Ti piacerebbe fare qualcosa specificatamente per il nostro mercato?
JB: Ovviamente sì. Ho qualcosa in mente e sarebbe anche qualcosa di piuttosto buono. Ma non c’era un’industria prima e non ce n’è una ora quando gli ultimi che se ne stanno andando stanno anche spegnendo le luci.
Pagina da Supreme N. 43. Matite di Joe Bennett.
AMBr: Considerando la tua carriera ormai ventennale: qual è il tuo lavoro preferito? E qual è invece il tuo sogno più grande?
JB: A parte quello che ho fatto con Moore, quello che devo ancora fare è… il mio fumetto preferito. Mi piacerebbe disegnare di nuovo Superman… ne ho disegnato solo un albo e mi sono divertito molto a farlo. E se a scriverlo fosse Warren Ellis sarebbe davvero una figata!

AMBr: Per concludere, quali fumetti raccomanderesti ai lettori?
JB: Tutti quello di Moore e di Gaiman. Tutti quelli di Miller prima di Sin City, tolto il materiale recente: dimenticatevene perché è tutta spazzatura.

AMBr: Grazie mille, Joe Bennett.

Un ringraziamento speciale a Joe Bennett per l'intervista e per la splendida, iconica opera d'arte che apre questo post. L'illustrazione si basa sulla copertina di Supreme N. 41 [che a sua volte cita una classica cover di Superman, N.d.T.], pubblicato nell'Agosto 1996: l'inizio del ciclo firmato Alan Moore. [AMBr]
Le interviste precedenti:

martedì 6 maggio 2014

Hannibal... ovvero non si mangia solo Fumetto!

Mads Mikkelsen nei panni di Hannibal.
Qualche tempo fa ho dato una mano, come traduttore, all'amica Stefania Nebularina nel realizzare un'intervista a Janice Poon, nota food stylist e collaboratrice dell'acclamata serie tv Hannibal interpretata dal magnetico Mads Mikkelsen. Un serial - quello dedicato alla creatura di Thomas Harris - che apprezzo ma senza "impazzire" per la narrazione delle gesta (davvero "iperboliche") del letale Dr. Lecter (e compagnia).

Il tema dell'intervista era l'ossobuco, il gustoso piatto della cucina italiana, che fa la sua comparsa nel secondo episodio della seconda stagione del serial. Potete leggere tutto: QUI.
Ma prima di chiudere, mi piace ricordare le parole di Moore (da un'intervista rilasciata tempo fa) in, cui parlando di From Hell, si spingeva in una rapida ma assolutamente condivisibile analisi sui "serial killer":
Com'è stato avere a che fare per così tanti anni con un'opera su un serial killer?
Alan Moore: Sono stati… quanti? Dieci anni. Dieci anni a scavare nel materiale, nella bibliografia. Non solo su Jack lo Squartatore, ma su tutti questi stronzi. Tutte queste miserabili e insignificanti scuse per il genere umano. Non sono superuomini. Nient'affatto. Non sono come Hannibal Lecter. Sono come Peter Sutcliffe. Idioti con una permanente improbabile. E con qualcosa di terribilmente contorto nel loro rapporto con la madre o roba del genere. Sono piccoli individui.