Eccoci alla prima intervista del 2014 ed è per me un vero onore aver la possibilità di iniziare l'anno "chiacchierando" con un disegnatore e illustratore straordinario,
PASQUALE FRISENDA, una delle "matite" più apprezzate
in forza alla Bonelli, autore di
Patagonia, una delle più acclamate storie di Tex, l'icona del Fumetto italiano.
Nell'augurarvi buona lettura, segnalo
il sito di Frisenda -
qui - ricchissimo di materiali e novità sulla sua produzione (e non solo).
Un grazie speciale a Pasquale Frisenda per la sua disponibilità e il tempo concessomi.
L'intervista è stata condotta via email e ultimata nel mese di Febbraio 2014.
|
Ken Parker - Il manto bianco, cartolina pubblicitaria, 1996. |
Ken Parker, Magico Vento, Tex: il western, pur con varianti e contaminazioni da altri generi, sembra una costante nella tua carriera. Cos’è per te il western? Qualche parola sulle differenze tra i tre personaggi sopracitati su cui hai lavorato?
Il western mi appassiona da sempre, e questo interesse credo che nacque proprio grazie ai fumetti che leggevo da bambino (tra cui "Tex" e "Zagor") e anche ai tanti film e telefilm che seguivo in televisione.
Non fu l'unica mia passione, chiaramente, ma di certo una delle più coltivate.
Per me, allora, fu una grande finestra sul mondo dell'avventura, che presentava così tante situazioni e formato da così tanti ambienti, oltre che personaggi e popoli, da sembrare infinito.
Oggi, e da molto tempo, ormai, il genere vive un periodo di crisi, ma non ha certo smesso di avere cose da dire, e per fortuna suscita ancora interesse per permettere a nuove produzioni, anche pregevoli, di essere realizzate, sia nel mondo del fumetto, che in letteratura e al cinema.
Parlando di fumetti, qui in Italia non si può ovviamente non citare "Tex", che dal 1948 rappresenta una vera bandiera del western.Come detto, "Tex" è stato uno dei primi fumetti da me letti (insieme a "Zagor", molti Disney e molti supereroi, soprattutto quelli della Marvel degli anni '70 e '80), e verso il personaggio di Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini ho conservato un forte affetto e attenzione nel corso degli anni, pur passando attraverso molte altre letture, tra cui molte altre serie della Bonelli, tipo la "Storia del West" di Gino D'Antonio, il "Mister No" di Guido Nolitta e Gallieno Ferri, "Ken Parker" di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, "Martin Mystére" di Alfredo Castelli e Giancarlo Alessandrini, "Dylan Dog" di Tiziano Sclavi, e poi le tante riviste presenti in edicola in quegli anni, come "L'Eternauta", "Comic Art", "Orient Express" (solo per citarne alcune), che presentavano una panoramica molto ampia sulla produzione a fumetti mondiale, ma "Tex" restava (e resta ancora) un personaggio sempre presente tra "le cose da leggere", e dunque, quando nel 2005 mi è stata offerta la possibilità di disegnarlo, per me fu una cosa non da poco accettare di farlo.
"Tex" ha delle caratteristiche (caratteriali ed editoriali) ben delineate, anche se nel corso degli anni, per ovvie ragioni, alcuni suoi aspetti sono stati adattati ai tempi per permettergli di restare sempre fruibile e non perdere il contatto con i lettori.
La serie ha una struttura di stampo classico, che garantisce sempre una grande leggibilità, ma dai confini così ampi che, a distanza di quasi settant'anni, ha ancora cose da dire e raccontare, e questo grazie alla preparazione e alla passione degli autori che si sono succeduti negli anni.
Tex è l'eroe per eccellenza, sempre al centro dell'attenzione (con poche eccezioni) e vero risolutore delle situazioni in cui si imbatte, tanto è capace di giudicare le persone e di individuare il male, in ogni sua forma.
Per quanto alcune storie siano decisamente corali, Tex deve restare sempre visibile, emergere in qualche modo, essere il faro che guida gli eventi (e il lettore) durante le sue avventure mensili.
Disegnare Tex oggi significa sapere tutto questo, valorizzare le sue particolarità, cercando, quando è possibile, di inserire anche elementi nuovi a livello grafico (ma tenendo presente e facendo tesoro dell'enorme bagaglio di immagini che la sua storia editoriale propone), per farlo restare sempre attuale e cercando di rappresentare al meglio il mondo che lo circonda.
Non è semplice, e non si sa se ci si riesce sempre, ma la sfida è comunque appagante, perché si sta parlando di un vero mito a fumetti (non credo che esistano molti altri personaggi che possano vantare al mondo una così lunga serie di pubblicazioni, e senza mai interruzioni o reboot).
Prima di arrivare a "Tex", ho comunque disegnato altri due personaggi western che a loro modo hanno segnato (e profondamente) la storia di questo genere in Italia: il già citato "Ken Parker" e "Magico Vento".
Senz'altro diversi tra di loro (come anche da "Tex"), ma anche con non poche affinità.
"Ken Parker" fu il primo personaggio di rilievo a cui collaborai, e l'esperienza fatta nello studio di Ivo Milazzo per arrivare a disegnarlo è stata per me determinante, non solo per la serie di "Ken Parker", ma proprio per capire cosa significava essere un disegnatore di fumetti.
La ricerca di documentazione, le continue prove sulle tavole a matita per tentare di trasferire sul foglio delle atmosfere, delle espressioni e di essere il più possibili efficaci dal punto di vista narrativo, furono tutte cose che io appresi li, in quegli anni.
Ho cercato sempre di restare fedele a quell'idea di fumetto, che sento profondamente mia, anche se le influenze, nel corso degli anni, sono state infinite.
"Ken Parker" è un personaggio che ha esigenze diverse da "Tex", che si muove, pensa e agisce in maniera differente, restando spesso in secondo piano e, a volte, anche perdendo la causa per cui si è battuto.
Un disegnatore che affronta un personaggio simile deve essere pronto a lavorare sulle sfumature, sia delle espressioni che dei gesti, senza mai enfatizzarli in maniera innaturale (Ken non è un eroe, e non deve avere pose da eroe), oltre che cercare di rappresentare un ambiente molto realistico, decisamente "epurato" dal mito (che invece in una serie come "Tex" è necessario evidenziare) ma più figlio del revisionismo che il western ha avuto negli anni '70 al cinema, tutte cose che sono fondamentali per far sì che le calibrate sceneggiature di Berardi (spesso di forte impronta letteraria) e dei vari sceneggiatori che hanno collaborato alla serie (gente come come Castelli e Sclavi) possano esprimere tutto il loro valore.
Molto di questo tipo di scuola di pensiero si può ritrovare anche in "Magico Vento", la serie horror/western creata da Gianfranco Manfredi nel 1997, che ha avuto un buon riscontro tra i lettori.
In "Magico Vento" si trova la giusta commistione tra le caratteristiche del West di "Tex" e di "Ken Parker", perché è fatto sia di mito che di realtà: il personaggio di Manfredi aveva infatti bisogno di una forte ricerca iconografica sul mondo del West e dell'America dell'800, oltre che sulla storia dei popoli nativi di quelle zone e del loro folklore e leggende, il tutto mescolato sapientemente con la letteratura gotica che in quegli anni stava emergendo negli States.
Una serie dunque molto stimolante dal punto di vista del disegno, che cercava di dare una nuova interpretazione del genere western, cosa che ha poi permesso a molti disegnatori (MV fu la palestra di quasi un'intera e nuova generazione di autori western) di esprimersi con ben poche limitazioni e, di conseguenza, di far acquistare alla collana una sua identità grafica ben precisa e molto moderna.
La tua opinione sul personaggio Tex e sul suo impatto così duraturo e di successo sul mercato Italiano? Basta vedere i numeri, ad esempio, della recente ristampa a colori allegata a La Repubblica. Come si spiega? O meglio come la spieghi da autore coinvolto in prima persona e conseguentemente da una posizione d'osservazione (forse) privilegiata?
È difficile spiegare il successo di "Tex", che ancora oggi continua ad essere il fumetto più diffuso in Italia, e persino Sergio Bonelli non sapeva come ben descriverlo.
In buona parte credo che Tex sia stato il sinonimo stesso di avventura per diverse generazioni di lettori, e che, a differenza dei tanti eroi a lui seguiti, le sue (granitiche) caratteristiche lo abbiano fatto identificare come l'eroe vero, di un tempo, imbattibile anche se deve a volte soffrire per far emergere la giustizia (e quella di Tex è sempre la giustizia giusta).
Tex è diventato un qualcosa di particolare per moltissimi dei suoi lettori, e cioè un amico fedele, preciso, onesto e giusto (oltre che puntuale nell'immancabile appuntamento in edicola).
È un aspetto, questo, quasi magico, che non sempre scatta tra lettori e personaggi, per quanto siano amati.
Con Tex è accaduto, e almeno quattro generazioni di lettori hanno seguito le sue gesta (avute come un’eredità, a volte) , mese dopo mese, albo dopo albo, dal 1948 in poi, arrivando ai nostri giorni.
Come dicevo prima, non ci sono molti personaggi che hanno goduto di una vita editoriale così lunga e florida (ora mi vengono in mente solo "Lucky Luke", Superman" e "Batman"), ma nessuno con i numeri di Tex: una pubblicazione mensile che, ininterrottamente, senza rilanci di nessun tipo, è sempre stata in cima alle vendite della storia del fumetto in questo paese.
Posso dire solo che "Tex" è una "cosa a parte". "Tex" è "Tex".
Patagonia è stato il tuo primo, direi “sontuoso” esordio sul ranger di casa Bonelli. Guardandoti indietro cosa ti è restato di quell’esperienza sul Texone? Qualche aneddoto da raccontarci in merito?
"Patagonia" è stato un vero punto di svolta, per me.
Quando Sergio Bonelli mi affidò il progetto, io fui molto incerto sull'accettarlo o meno: non mi sentivo per niente pronto ad affrontare un impegno simile (per chi conosce la serie dei Texoni, sa che sono di regola affidati ad autori con una consolidata carriera alle spalle).
Fu proprio la passione che Bonelli metteva nelle cose che faceva (e diceva) che mi fece poi accettare di farlo.
Anni prima la proposta di un mio coinvolgimento nella serie dei texoni era già stata fatta da Decio Canzio (lo storico direttore della SBE, scomparso da poco), ma ero troppo preso con la serie di MV e il tutto fu rimandato a data da destinarsi.
È stato sicuramente meglio così, perché ancora dovevo maturare tanti aspetti del mio disegno, ma la cosa mi fece ovviamente piacere (e quella fu solo una delle tante attenzioni che Canzio ebbe nei miei riguardi, e tante di esse le ho scoperte troppo tardi per poterlo ringraziare).
Quando Sergio Bonelli decise di farmi provare, probabilmente era arrivato il momento migliore, anche se ero ancora molto giovane e con una carriera ancora da dimostrare (io e Goran Parlov siamo, per ora, tra i disegnatori più giovani che si sono cimentati con il Texone).
Per iniziare, Bonelli stesso mi fornì della documentazione, tra illustrazioni, disegni a fumetti e anche dei film (che vidi in redazione e da cui trassi non poche suggestioni).
Non volevo in nessun modo deludere la sua fiducia e quella di Canzio, e nella realizzazione delle 240 tavole di "Patagonia" ho cercato di metterci dentro tutto quello che avevo imparato fino ad allora, ma cercando anche di trovare nuove soluzioni grafiche adatte alla storia che mi era stata assegnata e al nuovo impegno professionale, oltre che cercare di non far avere alle tavole nessun cedimento, dalla prima all'ultima, nonostante il lungo tempo impiegato a finirlo (tre anni di lavoro).
L'autore della sceneggiatura, Mauro Boselli, è stato una figura fondamentale per permettermi di realizzare il volume rispettando i canoni di Tex, senza eccessi o sbavature, riportandomi, quando era necessario, nei "binari giusti", ma questo senza limitare le proposte e gli stimoli che gli arrivavano dalle tavole (la ricerca iconografica è stata lunga e impegnativa per entrambi, e Mauro si è rivelato un autore preparatissimo e dalla solida professionalità, ma anche pronto alla discussione, se gli porti degli argomenti validi).
I tanti consigli avuti da Sergio Bonelli e Mauro Boselli durante quel lavoro, mi hanno permesso di capire ed entrare nel mondo di Tex, per arrivare a farlo a modo mio (come voleva Bonelli) ma prendendo coscienza delle esigenze narrative del personaggio (cosa cara a Boselli).
In "Patagonia" si può trovare dunque il risultato del lungo lavoro fatto in quegli anni e la visione del personaggio che ho io, ma anche tutta la maestria narrativa di Boselli (la storia è stata accolta con grande calore dai lettori) e la passione che Sergio Bonelli metteva nel suo lavoro (ogni tavola consegnata in redazione veniva da lui visionata, e anche in quel caso fu così. Per me ogni volta era una grande prova, oltre che emozione, superare il suo giudizio. E l'approvazione che diede al volume alla fine del lavoro, prima della pubblicazione, la ricordo come uno dei momenti più significativi della mia carriera).
È stata annunciata una edizione per Bao. Che cosa conterrà di nuovo? Puoi anticiparci qualcosa?
Sì, uscirà alla fine di quest'anno (credo per Lucca), conterrà molto materiale inedito, tra schizzi, bozzetti, e tavole a matita, e avrà anche una nuova copertina.
Sono passati quattro anni e sono arrivati i due albi della serie regolare in sequenza, N.635 e 636, sempre su testi dell’instancabile Boselli. Il lettore magari avrà pensato che fine avessi fatto, ma ovviamente… stavi disegnando! Ecco, mi piacerebbe chiederti un po’ del tuo ritmo di lavoro. Hai una “routine” simile ad un lavoro “normale” oppure ti lasci andare all’estemporaneità dell’estro e magari un giorno non lavori e il giorno dopo, in preda all'ispirazione e alle scadenze comunque da rispettare, lavori 16 ore di seguito? Lavori in casa o in uno studio? Che strumenti usi? Tecniche tradizionali o digitale?
Sì, in questi anni ho realizzato la nuova storia di Tex (due albi completi, usciti in edicola tra il settembre e l'ottobre dell'anno scorso), ma ho fatto anche
una breve storia di "Dylan Dog", pubblicata nel 2010 nel Color fest n.5 (sono 33 tavole, colorate anche da me), e
un'altra storia breve per l'iniziativa "150 anni - Storie d'Italia", pubblicata nel 2011 e ovviamente legata ai 150 anni dell'Unità d'Italia, a cui hanno collaborato anche Sergio Toppi, Corrado Mastantuono, Giorgio Cavazzano, Marco Nizzoli, Carlo Ambrosini, Ivo Milazzo (che è stato anche il coordinatore dei lavori) e Francesco Artibani, l'autore dei testi.
In più ho disegnato illustrazioni varie e per diverse iniziative, tra cui la mostra "Quando il West tornò a Lucca", voluta e organizzata da Angelo Nencetti e a cui hanno collaborato anche Giovanni Ticci, Renzo Calegari e Sergio Tisselli, che è iniziata nell'edizione di Lucca comics del 2013 ma che è ancora in corso (durerà fino alla fine di marzo), divisa fra il MUF, il Museo del fumetto di Lucca e il Palazzo Guinigi.
Per quanto riguarda la gestione del lavoro, invece, cerco di rispettare una routine che mi permette di disciplinarmi e di coordinare abbastanza bene il tutto, ma non sempre riesco a mantenerla, e dunque a volte bisogna recuperare del tempo perso o investito in altre iniziative, e allora le ore di lavoro sul tavolo da disegno non si contano più.
Io lavoro a casa, e uso strumenti esclusivamente tradizionali (matite; pennarelli graduati di varie marche, perlopiù dallo 02 allo 08; un pennello Windsor e Newton n. 4; china, per il fumetto in bianco e nero o in mezza tinta; acquerelli, ecoline, pastelli, matite e tempere, per i disegni a colori; come carta uso Fabriano Tecnico6 o SchoellerHammer).
Del tuo stile - evidente ad esempio in Tex specie nelle vignette mute o “panoramiche” - ho sempre apprezzato la potenza evocativa - la resa dell’arsura, del sole a picco, della fatica, della polvere… - dettagli che di fatto, magari passando (apparentemente) inosservati, caratterizzano in maniera essenziale la lettura e rendono “credibile” l’immersione nella fiction. Che cosa puoi dirmi di quest’aspetto del tuo lavoro e, forse, di questa tua “attitudine” di disegnatore?
Ti ringrazio dell'apprezzamento, intanto.
Questo è un aspetto che mi sta molto a cuore, quello cioè di riuscire a trasmettere a chi legge delle sensazioni attraverso il disegno.
Sin dalla prima vignetta della prima tavola (di solito è una quadrupla), cerco di colpire la fantasia del lettore, in modo da farlo immergere all'istante nell'albo che ha deciso di acquistare, di fargli sentire, se è possibile, l'atmosfera della storia e fargli arrivare, nel migliore dei casi, anche delle emozioni.
Cerco di dare l'idea delle cose (sia che si parli di espressioni, di ambienti o oggetti), di rendere realistico o credibile quello che il lettore vedrà, ma senza per questo cercare di voler essere iperrealista, ma anzi muovendomi tra diverse interpretazioni possibili del disegno, tra il puramente realistico e il puramente grafico: a volte mi piace "caricare" le vignette di dettagli (se la situazione che si deve raccontare lo richiede o lo permette), mentre in altri casi preferisco risolvere dei passaggi narrativi con delle vignette assolutamente sintetiche, composte sia da pochi segni che da pochi elementi.
Oggi il Fumetto affronta la sfida della modernità – con la nota diversificazione dell'offerta di “intrattenimento” - e del digitale. Qual è la tua idea in merito, in relazione al “futuro del Fumetto”?
Questo che stiamo attraversando è un periodo molto particolare e sicuramente difficile. Di transizione, direi. Cosa sarà il fumetto in futuro, come verrà letto e cercato, non so dire, onestamente (ma almeno come fruizione, credo che in buona parte resterà sul supporto cartaceo, ma probabilmente ci sarà un incremento del fumetto letto sullo schermo di un tablet o di un pc).
Alcuni lo danno per finito (ma sono decenni che sento dire queste cose, eppure...), alcuni dicono che diventerà una nicchia per collezionisti, altri ancora che sarà solo un laboratorio di idee da sviluppare in maniera ancora relativamente economica per poi poter essere sfruttato altrove e con altri media (e in effetti questa cosa sta già accadendo in America, con l'enorme sfruttamento cinematografico e televisivo avuto da molte serie)... io non ho idee precise in tal senso, ma se il fumetto avrà la forza di sopravvivere lo dovrà unicamente alle proposte e alle idee che ci verranno investite all'interno, da parte di autori ed editori.
Il resto, la risposta del pubblico, verrà da sé (o me lo auguro).
Io voglio credere che l'identità del fumetto come mezzo di comunicazione sia ancora precisa e identificabile, oltre che preziosa per quello che è, cioè il piacere della lettura abbinato a immagini che possono arrivare a creare e far "vivere" interi mondi, e solo mostrandoli su fogli di carta.
Una cosa apparentemente molto semplice ma così capace di incidere profondamente (e in maniera sana, penso) l'immaginazione, sia di chi lo legge che di chi lo fa.
Segnali di “rinnovamento” si notano di recente, magari in maniera più vivace rispetto al passato, in casa Bonelli: le nuove serie a colori; i monografici; il nuovo sito; il tentativo di “rinnovamento” di un personaggio iconico come Dylan Dog sotto la direzione di Recchioni; la recente notizia dell’arrivo, sempre sul detective dell’incubo, annunciato più o meno ufficialmente, di autori considerati “lontani” come Ausonia, Akab… che ne pensi?
Vedo che le iniziative in Bonelli si stanno moltiplicando, e questo per tentare, ovviamente, sia di creare curiosità intorno ai vari progetti che di tentare nuove strade. So poco delle iniziative legate a "Dylan Dog", dunque non mi esprimo ma auguro un buon lavoro a chi ne è coinvolto.
Prossimi impegni? Novità? Qualche incursione al di fuori del western? Desiderio di scrivere o di realizzare qualcosa come “autore completo”? Puoi rivelarci qualcosa?
Ora sto disegnando un albo per "Le Storie" (una delle ultime iniziative della SBE, che si sta rivelando anche tra le più stabili in fatto di vendite), che avrà alcune particolarità grafiche al suo interno.
E' un vecchio progetto che con Tito Faraci (è lui l'autore della sceneggiatura) avevamo sviluppato tanti anni fa per la Francia ma che, per diverse ragioni, legate perlopiù proprio al discorso grafico che accennavo, non si è più realizzato.
Qualche mese fa, invece, ci è stato proposto dalla Bonelli di riprenderlo e adattarlo per "Le Storie", e sia io che Faraci abbiamo accettato.
A parte questo, sto sviluppando un altro lavoro con Francesco Artibani, una storia a cui tengo molto e che spero possa arrivare a concretizzarsi a breve.
Ho anche un altro impegno, preso da poco e che riguarda gli Stati Uniti, ma ora è troppo presto per parlarne.
In ogni caso, tutte queste storie non presenteranno ambienti western.
Per chiudere due domande “curiose”. Sulla voce a te dedicata su Wikipedia si legge: “Nel 1993 avrebbe l'opportunità di esordire come disegnatore di Topolino nel quarto episodio della Saga della Spada di Ghiaccio sceneggiato da Antonio Serra, ma alcuni dissidi causarono la sostituzione del team creativo.” Che cosa puoi dirmi in merito? Ti confesso che la cosa mi ha sorpreso, mentre ricordo bene la tua storia su Cyborg…
Wikipedia può essere un'ottima fonte di informazione, ma, per come è realizzata, c'è sempre il rischio di trovarci all'interno anche delle vere fesserie, tra cui quella che ti è capitato di leggere.
Tempo fa avevo letto, ad esempio, che l'origine di "Batman" era dovuta al morso di pipistrello radioattivo...
Di burloni in giro ce ne sono a mazzi, come sappiamo, come anche tanta gente che evidentemente ha tempo da buttare, ma spero che, in questo caso, la cosa sia frutto invece di un banale errore.
5 buoni fumetti che hai letto (o riletto) di recente e ti senti di consigliare.
Di recente ho riletto diverse cose che ho qui a casa, tra cui tutta la serie de "La Casta dei Meta-Baroni", di Alejandro
Jodorowsky e Juan Gimenez, che ho trovato davvero notevole, sia come livello di immaginario proposto che di disegno; poi "Sharaz-de" di Sergio Toppi, che rimane una vera sorpresa ad ogni lettura; un albo della "Storia del West" scritto e disegnato da Gino D'Antonio e intitolato "I mercenari" (uno di quegli albi che non posso iniziare a sfogliare senza rileggermi tutta la storia per l'ennesima volta), e ho cominciato a prendere in edicola le storie Disney realizzate da Romano Scarpa... ho poi letto e apprezzato molto "Yaxin - il fauno Gabriel (canto I)" di Dimitri Vey e Man Arenas , che consiglio caldamente a tutti.
Le interviste precedenti: