mercoledì 17 aprile 2019

SERGIO TOPPI: il Fumetto, l'Arte, Buzzati e il Giappone

Nel seguito intervista, apparsa su Ultrazine.org nel 2001, all'immenso, indimenticato & indimenticabile SERGIO TOPPI
L'intervista, realizzata dall'amico scrittore e fumettista Fabrizio Lo Bianco, è tratta dalla sua tesi di laurea (A.A. 1996-97) Alla sera le montagne diventano viola... - L'opera grafica di Sergio Toppi. Buona lettura! E... grazie, ancora grazie, Maestro Toppi per tutte le immortali meraviglie!
L'occhio parlante
a cura di Fabrizio Lo Bianco    

Fabrizio Lo Bianco: Può parlarmi degli anni della sua giovinezza? La guerra, la ricostruzione...
Sergio Toppi: Ricordo malvolentieri gli anni della guerra. Io sono del '32 e la guerra l'ho subita in pieno. Ho vissuto sotto i bombardamenti su Milano. Poi dovemmo sfollare in Valdossola dove ci avevano detto che avremmo trovato un po' di tranquillità. Invece lì ebbi modo di assistere alle sparatorie tra partigiani e nazifascisti. Conobbi per la prima volta la paura di morire, furono anni di sofferenza e di fame. Ripeto, non li ricordo volentieri.
Nel dopoguerra c'erano sempre grosse difficoltà: mancava il cibo, la luce... Uno dei ricordi più vivi e più tristi di quel tempo è il buio per le strade. C'era però qualcosa che ci spronava ad andare avanti: credevamo fortemente che il futuro sarebbe stato migliore. Progressivamente vedevamo le condizioni di vita migliorare, anche dal punto di vista materiale. Avevamo ciò che forse oggi manca ai giovani, ovvero il concretizzarsi delle nostre speranze.

Quale è stato il primo approccio col mondo del fumetto?
L'incontro con il fumetto è avvenuto su una bancarella, quasi per caso. Sfogliando un numero di Asso di Picche rimasi colpito dalla qualità dei disegni di due autori in particolare, Hugo Pratt e Dino Battaglia. Ero giovane e non avevo una grande cultura fumettistica. Qualche volta mi capitava di leggere Flash Gordon, ma non ho mai avuto una passione viscerale per i fumetti, così come a tutt'oggi devo dire che non ne leggo moltissimi.

Come nasce lo stile Toppi?
Con molta fatica, attraverso un cammino lento. Sono autodidatta. L'unica esperienza in una scuola d'arte durò solo due anni, presso la "Scuola d'Arte del Castello", dove si andava di sera. Ho poi cominciato, negli anni Cinquanta, a lavorare in uno studio dove si realizzavano disegni animati, quello dei fratelli Pagot. È stato un periodo particolarmente utile perché coincise con il "boom" dei cartoni animati in Italia. Realizzavamo moltissimi lavori pubblicitari per la televisione. Io mi occupavo sia di sceneggiatura che di scenografia, il tutto, dati i tempi veramente pioneristici, in una libertà che ci consentiva di sperimentare tecniche nuove. Contemporaneamente ho iniziato a collaborare con alcune riviste settimanali come fumettista, partendo praticamente da zero.

Su quale rivista sono apparse le sue prime tavole?
Sul "Corriere dei Piccoli" intorno al '57-'58. Poi conobbi un sacerdote che dirigeva il "Messaggero di Sant'Antonio" che era il giornalino della parrocchia della basilica del Santo di Padova. A quel sacerdote, Padre Colasanti, devo molto. Per un certo periodo quel giornalino parrocchiale raccolse racconti di alcuni dei più noti fumettisti in Italia, lasciando grande libertà agli autori. Io di quella libertà ho beneficiato in particolar modo mettendo le basi per quello che poi è diventato il mio stile. È da allora che ho cominciato a disegnare senza tener conto dei quadrati che nel fumetto più ortodosso scandiscono il passaggio da una scena all'altra.
Questo superamento della suddivisione della pagina in "quadratini", che oggi ha fatto scuola, è una delle caratteristiche più apprezzate del suo modo di disegnare.
A dire il vero buona parte dei fumettofili lo considera un anatema. Chi critica questa mia impostazione delle pagine afferma che la sequenza narrativa viene meno. A me è piaciuto rompere questo schema e dare più rilevanza possibile alle scene principali. Nella realizzazione delle tavole presto poi sempre particolare attenzione a come distribuire i balloons perché devono anch'essi contribuire a una disposizione equilibrata della pagina. Del lettering non mi occupo personalmente, rischierei di abbruttire la tavola. Preferisco che se ne occupino i professionisti di questo settore, che sono davvero bravissimi.

Che rapporto lega arte, fumetto e business?
Ci sono due piani da tenere separati quando si parla di fumetti: uno è quello commerciale e interessa soprattutto l'editore e potrei riassumerlo così "il fumetto, una volta realizzato, va venduto"; l'altro è quello "artistico", vale a dire che pur parlando di un prodotto comunque commerciale, parliamo però di una produzione che ha un quoziente artistico diverso da quello che può avere un chiodo o una pentola. Io più in generale preferisco non utilizzare il termine "arte" perché innanzitutto trovo difficile definirla e in secondo luogo sull'arte ci sono delle idee molto difficili e confuse, estremamente soggettive. Preferisco fare un discorso di contenuti, di qualità. In fondo il ceramista che fa una scodella e la decora col suo pennellino con una linea intorno raggiunge un quoziente di creatività maggiore rispetto a un ceramista che lascia la scodella priva di decorazioni. È un criterio scalare: in cima alla scala ci sono i grandi artisti, talvolta incomprensibili alla persona normale e per questo irraggiungibili. Lo stesso discorso vale per il fumetto: è indubbiamente un prodotto destinato alla fruizione commerciale ma in esso entra un certo quoziente di creatività, di senso estetico.

Le sue tavole in bianco e nero ricordano talvolta delle vere e proprie incisioni. È una scelta stilistica?
Sono affascinato dal contrasto forte tra bianco e nero perché mi sembra qualcosa di definitivo. Per questo amo le acqueforti, e penso che il mio stile ne risenta. Da qualche anno ho incominciato a dedicarmi all'incisione, soprattutto d'estate, quando, insieme ad un amico che mi aiuta, posso disporre di spazi e strumenti adatti per mettere in pratica le tecniche incisorie. Apprezzo moltissimo le incisioni di un'artista italiana che si chiama Federica Galli. Per il passato la mia preferenza va a Rembrandt.
E per quanto riguarda le sue preferenze pittoriche?
Mi piace l'arte della Secessione, a cavallo tra Ottocento e Novecento, sia nei suoi grandi rappresentanti, come Schiele e Klimt, sia nei minori, anch'essi eccezionali. Lo trovo un periodo veramente entusiasmante dal punto di vista creativo. Era l'epoca delle arti applicate e anche un tovagliolo poteva diventare un'opera d'autore. Questi "artigiani" spaziavano attraverso tutti i campi della creazione artistica grazie ad una tecnica strabiliante. Non erano solo dei pittori. Erano artisti completi.
Non mi hanno mai entusiasmato le Avanguardie come il Futurismo, anche se noto che molti miei colleghi si sentono molto legati a queste correnti artistiche.

Trova grosse differenze tra il lavoro di un fumettista e quello di un pittore?
Trovo che un conto sia fare il pittore, un altro fare l'illustratore-disegnatore: se un disegnatore (quindi anche un fumettista) illustra un palazzo e questo, per così dire, "non sta in piedi", lo si nota. Un pittore invece può permettersi delle licenze sicuramente maggiori.

Con quanti editori ha lavorato?
Sono parecchi. Ho pubblicato molti lavori su "Corto Maltese" (Rizzoli - Milano Libri), ad esempio. È stata la testata per la quale ho realizzato i lavori che forse mi sono piaciuti di più, anche se non ho un mio racconto preferito. C'è qualcosa che mi lega ad ogni singolo lavoro, dal momento che tutti hanno richiesto una certa fatica per realizzarli. Da tempo lavoro per "Il Giornalino". Anche presso questa rivista ho avuto sempre mano libera, pur essendo un giornale che si rivolge ad un pubblico diverso da quello di "Corto Maltese".
Con la casa editrice Bonelli ho ripreso a collaborare da qualche anno. Negli anni Settanta presi parte a una bella collana di racconti intitolata Un uomo, un'avventura disegnando tre racconti, L'uomo del Messico, L'uomo del Nilo e L'uomo delle paludi, per quella che allora si chiamava casa editrice Cepim, cioè l'attuale Sergio Bonelli Editore. Il mio segno "spezzato" non era funzionale alle scelte editoriali della Bonelli e così per diversi anni non ebbi più collaborazioni con loro. Adesso invece abbiamo ripreso a lavorare insieme.

Lei si occupa anche di illustrazione.
È un campo nel quale mi cimento sempre volentieri. Ho realizzato illustrazioni per quotidiani, periodici, libri e una volta per la copertina di un disco, anche se, francamente, non ricordo per quale casa discografica. Ultimamente disegno racconti e copertine soprattutto per "Comic Art". Illustrazione e fumetto sono estremamente legati e non vedo grandi differenze tra questi due tipi di lavori, se non, com'è ovvio, la necessità nel fumetto di articolare la storia lungo trenta o più pagine anziché cercare di visualizzare un qualcosa in un'unica tavola.
Ha fonti particolari d'ispirazione quando crea una storia?
Ci sono racconti che devi sviluppare secondo i canoni dell'avventura pura, come quelli che ho realizzato per la Cepim; per altri puoi trarre ispirazione da fatti accaduti realmente, connotandoli poi con la tua fantasia: è quello che ho fatto con i lavori per Linus e Corto Maltese. Questo tipo di storie sono quelle che appartengono al cosiddetto "realismo magico".
L'ispirazione qui può essere uno spunto dato da avvenimenti storici sul quale inserisco elementi, diciamo, di "extrarealtà".

Toppi, mentre disegna, ascolta musica?
Come molti miei colleghi ascolto la radio mentre lavoro. Trovo che sia un'invenzione bellissima. Paradossalmente certe immagini te le può offrire solamente la radio, che può trasmettere solo il sonoro. Faccio un esempio: io detesto il teatro, mi infastidisce moltissimo la finzione del palcoscenico; la prosa radiofonica invece mi piace, riesce a conquistare la mia attenzione. La televisione è anch'essa affascinante, per il motivo opposto: offre immagini, delle quali noi disegnatori letteralmente ci nutriamo.
Non sono un grande esperto di musica contemporanea. Mi sembra di non capirla, non riesco ad apprezzarla. Ascolto soprattutto musica barocca. Apprezzo Mozart, Bach, Beethoven e quei musicisti italiani del Settecento come Garuffi, Locatelli, Viotti e altri come Lulli, un compositore di origine italiana che divenne musicista di corte di Luigi XIV. Amo Vivaldi, Hendel e i Virginalisti inglesi dell'età elisabettiana.

Preferenze letterarie?
Il mio autore preferito è Dino Buzzati, che mi ha dato lo spunto per alcune storie. Mi piace il lato più "cattivo" dei suoi racconti.
Non mi convincono molto i romanzieri italiani contemporanei; trovo tutto sommato interessante Aldo Busi nella sua palese provocatorietà.
Mi piace molto Chiusano, che era anche un caro amico, e Mario Rigoni-Stern.
Una curiosità: come nasce il suo interesse per il Giappone?
Nei confronti del Giappone ho una passione antica che non capisco neanch'io bene a cosa sia dovuta. Mi affascina questa loro precisione maniacale, cosa che a me manca.
La mia è un'ammirazione mista a spavento.

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