Igort negli anni '80. |
Nel seguito potete leggere un resoconto dell'incontro con IGORT tenutosi lo scorso 23 Novembre nell'ambito
della tre-giorni "Pazza Idea. Pensiero Creativo".
L'incontro, condotto dal regista e documentarista Renato Chiocca, è stato l'occasione per Igort di ricordare - con grande ironia e trasporto - gli anni di Valvoline Motorcomics (e non solo), nel trentennale del gruppo, e presentare la nuova edizione di Sinfonia a Bombay.
Segnalo che al termine è stato proiettato il docufilm Mattotti, opera del 2006 di Chiocca, incentrato sul lavoro di Lorenzo Mattotti: un eccellente medio-metraggio, della durata di 50 minuti, che vi invito a recuperare, se potete. In rete è possibile vedere un trailer: qui.
Foto di gruppo con... Valvolinici! |
Eravamo fondamentalmente degli "stronzetti", convinti
d’avere in mano le chiavi per rivoluzionare un po’ tutto quanto.
Igort: Al tempo noi eravamo annoiati da quello che succedeva, anche se c’erano dei grandi talenti che stavano facendo delle storie meravigliose. Ma noi che avevamo poco più di vent’anni - e anche se Mattotti non vuole che lo dica - eravamo fondamentalmente degli "stronzetti", molto presuntuosi e convinti d’avere in mano le chiavi per rivoluzionare un po’ tutto quanto. L’idea quindi fu semplice: andare con faccia di tolla e dire “dateci metà del giornale [Linus, NdR] e la gestiamo noi.”
Progettavamo tutto: dalla grafica agli articoli, alle storie a fumetti… con l’idea un po’ futurista, costruttivista di utilizzare un mezzo potente - ossia una rivista pubblicata mensilmente e con un grande seguito da una casa editrice importante come Rizzoli - per impadronircene e poter parlare di altro, rispetto a quella che era la cultura imperante dei vari mostri sacri del Fumetto dell’epoca che erano Pratt, Crepax, Micheluzzi… anche Magnus. Ma Magnus era un nostro fiancheggiatore: simpatizzò immediatamente con noi e ci appoggiò pubblicamente.
Noi avevamo quel fare un po’ altezzoso dei gruppi d’avanguardia. Non dico che ci fossero delle risse durante gli incontri ma quasi. A Torino ci fu un convegno sulle Avanguardie ed io uscii scortato dal servizio d’ordine perché mi volevano prendere… a calci in culo! [risate] E a noi questo ci divertiva molto perché volevamo ridimensionare e mettere sotto altre coordinante il Racconto, il Grande Racconto. E lo facevamo perché fondamentalmente non avevamo fatto la Guerra, eravamo di una generazione che era cresciuta... io e Carpinteri che avevamo sui vent’anni, Mattotti - che ci tiene a sottolinearlo - era di qualche anno più grande e a quell’età la differenza era sostanziale, lui era più su Nick Drake… noi eravamo cresciuti con i Sex Pistols!
Nel ‘77 li vidi a Giugno e... a Settembre ero a Londra a vedere di persona che cosa fosse davvero il movimento punk.
Per cui la nostra idea era che si dovesse parlare di certe cose con uno spirito più vicino… era anche un qualcosa che sarebbe poi deflagrato nella new wave, nel nuovo cinema tedesco, nel rilancio degli scrittori pop… oggi Pynchon è stato riesumato ma al tempo lo leggevamo soltanto noi in remainder perché i suoi libri erano introvabili. C’era ad esempio L’incanto del lotto 49, che era un piccolo capolavoro, e uno dei personaggi era un certo Baby Igor, e ovviamente io ne ero fierissimo.
Metà delle lettere erano di lettori che ci adoravano, l’altra metà di
persone che ci avrebbero immediatamente fucilato sulla pubblica piazza.
Questo è stato l’inizio. Il punto fu che ci diedero retta. Perché quando andammo a proporre quest’idea ci dissero “va bene”. E così ci ritrovammo a doverlo fare per davvero. All’inizio c’è la spinta iniziale, il “cambiamo tutto”, ma poi ti dicono “okay” e… ti danno le chiavi e tu dici “merda, e adesso?”
Quindi iniziarono le riunioni a casa mia… c’era Mattotti, che è sempre stato un po’ lo stakanov del gruppo, poi c’ero io che ero l’ingegnere, mi ero auto-definito “l’Ingegnere dei Media”, per far capire quanto ero stronzetto all’epoca [risate]… ero quello che organizzava, architettava, montava il timone del supplemento, faceva i loghi, impaginava…
Per capire anche il livello di consapevolezza di queste persone che ci avevano affidato la rivista, dietro casa mia c’era un garage e io vedevo sempre questo logo Valvoline, che era la Valvoline Motor Oil ed allora proposi “facciamo Valvoline Motorcomics”. E loro, ed erano la Rizzoli, non sapevano minimamente cosa fosse e ci dissero “okay, va bene” [risate]. Poi ad un certo punto la direttrice ci chiamò, dopo che era uscito il primo numero: “ma siete impazziti, quella è una multinazionale… ho visto un tabellone di o-t-t-o metri con la scritta..”, ed io “ma il logo è diverso”, infatti l’avevo ridisegnato… [risate] loro temevano una denuncia, erano molto preoccupati… essendo la Rizzoli potevano essere soggetti a questo genere di cose. Se lavori per un editore piccolo nessuno ci bada, con Rizzoli invece…
C’era una specie di comitato futurista in cui noi facevamo le cose e la redazione che… ci odiava, loro ci odiavano! Noi arrivavamo e… “basta con questa grafica bruttissima, neppure negli anni ’60!!!”… e noi portavamo delle cose tutte storte…
C’era un’atmosfera tremenda… e io mi domandavo “ma sono così tutte le case editrici?”, non rendendomi conto che era il nostro atteggiamento a generare quella profonda antipatia. E poi c’erano le lettere che arrivavano in redazione. Ad esempio nel caso di Breccia: un genio, un autore eccezionale che amavamo, che aveva portato l’astrattismo nel mondo del Fumetto. Il semplice fatto che noi l’ammirassimo causava l’arrivo di lettere di insulti nei suoi confronti. Mi ricordo una lettera che diceva: “Breccia e le sue macchie? Dovrebbe vedere le mattonelle del mio cesso…” E le signore “bonaccione” che dirigevano la rivista nascondevano queste lettere e non le pubblicavano. Quando le lessi, io ero entusiasta e dissi “pubblichiamole subito!” [risate] Metà delle lettere erano di lettori che ci adoravano, l’altra metà di persone che ci avrebbero immediatamente fucilato sulla pubblica piazza. Ed erano proprio questi pareri negativi che mi convincevano del nostro progetto: “se ci vogliono così male”, mi dicevo, “allora dobbiamo andare avanti.”
Così abbiamo continuato a fare danni un po’ dappertutto. Siamo entrati un po’ in televisione, nel mondo della moda con Vanity scombussolando completamente la rivista, nel design…
Era un periodo in cui era possibile fare molte cose… bastava parlare
molto seri con sguardo sgranato alla Baudelaire e… ti prendevano sul
serio!
Ho ritrovato da poco una cassetta musicale che avevo fatto: mi ero finto russo… ovviamente chiamandomi Igor era normale [risate]… e avevamo fondato un gruppo, gli Slava Trudu, che in russo significa Gloria al Lavoro. E avevamo convinto quelli della Phonogram Germany - quindi una multinazionale, una major - a produrre il nostro disco… in finto-russo, scritto da me [risate]. Quindi nel 1985 spesero circa 500 milioni di lire, mezzo miliardo, per questa idea. Fu fatto un disco, girammo due video… E il disco fu mandato a Gorbaciov dicendogli che noi eravamo dei fuggiaschi russi. Facemmo un finto numero della Pravda che conteneva la “vera” storia degli Slava Trudu, da me totalmente inventata. [risate] E a Berlino, la casa discografica… a ripensarci erano davvero dei deficenti… ci portarono in un ristorante afgano - ve l’immaginate, con l’Afganistan che era stata invasa dai russi? [risate] - con noi con i testa i colbacchi: uscimmo missilisticamente perché ci volevano prendere a colpi di scimitarre che erano appese alle pareti del locale. [risate]
Era un periodo in cui era possibile fare molte cose… bastava parlare molto seri con sguardo sgranato alla Baudelaire e… ti prendevano sul serio! E poi ti davano la possibilità di fare le storie, gli impaginati, gli articoli… C’era Daniele Brolli, un mio amico sceneggiatore, che era figlio di un "esoterista" e aveva letto i libri del padre e scriveva reinventando tutto. Noi non lo sapevamo - me l’ha confessato dopo trent’anni che i suoi saggi erano delle bufale - ma riscriveva inventandosi dei sincretismi [risate], delle scoperte storico-scientifiche sensazionali, prive totalmente di fondamento, che lui collegava tra loro semplicemente facendo arrivare personaggi come Pitagora in luoghi dove non era mai stato in vita e indicandolo come fondatore... dei Rosa Croce, ad esempio. [risate] Dopo questa sua attività di falsario si sviluppò ulteriormente quando per Frigidaire incominciò a pubblicare degli inediti di grandi scrittori come Philip K. Dick, Vonnegut che, casualmente, aveva solo lui nel suo cassetto [risate]… scriveva in stile. E quindi incominciammo a prendere in giro anche quelli di Frigidaire. E questo ci ha portato bene…
Mattotti invece era più serio, ed era totalmente all’oscuro di queste nostre contro-operazioni. [risate]
Chiocca: È un racconto molto divertente, anche per capire il tipo di operazione editoriale… Sappiamo che ci sono le reunion di tante rock band degli anni ‘70 e ‘80, ci sono le riedizioni di vecchi dischi con inediti e quant’altro. A un certo punto, approfittando della tua attuale figura di editore attraverso la Coconino Press, hai ricontattato tutti i componenti di Valvoline per ripensare un’edizione di quelle passate pubblicazioni. Qual è la necessità, a distanza di 30 anni, di rendere di nuovo pubblica questa parte della tua vita? Qual è l’esigenza di pubblicare quel materiale oggi?
Igort: Semplice: per fare il punto. Per capire, visto che noi il Fumetto l’avevamo smontato, che cosa di quell’operazione, dopo 30 anni, fosse rimasto. È anche una questione importante che riguarda la memoria, un esame di che cosa era quella stagione. Per me quell’epoca è stata la fine di una certa Italia: è morta l’ingenuità ed è nato il cinismo. Il cinismo diventa una specie di manifesto teorico del post-punk e poi si trasforma in un abito mentale che è deflagrato ed ha devastato l’Italia fino a oggi. Noi, secondo me, viviamo ancora in una stagione del cinismo ed è anche un atto politico riconsiderare quell’epoca, rileggerla… ed è per questo che ho chiesto a tutti gli autori - se non di mettere le mani nel loro lavoro, perché questo è soggettivo – di scrivere un’introduzione che descrivesse che cosa fu esattamente quel periodo e quell’esperienza.
Noi lavoravamo e vivevamo in un’epoca in cui si credeva nella Cultura, non si facevano battute…. C’era un diverso tipo di nemici, di avversari intellettuali o pseudo-intellettuali… ad esempio c’era Andreotti che pensava che non si potessero lavare i panni sporchi in pubblico, per cui era contrario ai film di Pasolini ed hanno osteggiato moltissima produzione culturale di quell’epoca. Lo stesso Fellini era considerato un “criminale”… a Venezia per la Dolce Vita gli sputarono addosso... Adesso c’è un altro tipo di pericolo e il pericolo è che questo tipo di lavori non arrivi neppure. Ci sono battute del tipo “fatevi un panino con la Cultura”, battute dette da un ministro… questa è veramente una stagione diversamente pericolosa.
Queste riedizioni servono per fare il punto su un’epoca diversa, quando c’erano le riviste, c’era Oreste Del Buono, quando c’era una diversa percezione della Cultura, quando era possibile intervenire... c’era un travaso tra “alto” e “basso”.
Oggi si pensa che non ci sia più differenza tra “alto” e “basso” ma è un’ipocrisia, non è vero. In realtà se Tarkovskij e Pasolini avessero davvero attecchito non sarebbero stati santificati ipocritamente come guru della cultura e così facendo vengono imbalsamati, non ti “attraversano più”. In quel momento invece quel travaso era possibile.
La mia sfida è questa: capire se dopo trent’anni abbiamo ancora delle cose da dirci. Già nel gioco delle copertine delle riedizioni si è scatenata una sorta di sfida tra noi. Il punto era che i miei “amichetti” erano bravissimi, erano dei mostri di bravura. Mentre realizzavamo quelle storie sono successe delle cose pazzeschi: Art Spiegelman ci ha invitati in America, eravamo la Nazionale Italiana del Fumetto… quando la Swatch ha fatto Swatch Street Art Painting ed ha chiamato i più grandi autori europei l’Italia... è stata rappresentata dagli autori di Fumetto!
Per cui al di là del fatto che fossimo smargiassi, in quel periodo veniva registrato un certo tipo d’interesse per noi… fu anche pubblicato un libro sul nostro lavoro, Valvoforme e Valvocolori, - in italiano, inglese e francese - a cura di Daniele Barbieri.
E in qualche modo tutto questo stava scomparendo in questa specie di calderone di nuovi media. Per questo stiamo progettando cose nuove, usando i nuovi media. Ora ad esempio puoi inserire la musica, prima io facevo i dischi - mi chiamavo Igor Gagarin - e poi facevo i fumetti, ed erano due cose separate. Adesso è possibile arrivare direttamente, è una stagione che è più "teatro". Prima noi stavamo chiusi in studio a produrre poi quando il lavoro era finito non sapevi mai come fosse accolto, c’erano le lettere ma arrivavano in redazione e a volte non te le facevano leggere. Adesso c’è Internet, c’è Facebook: fai una cosa e… ti insultano in diretta! È incredibile…[risate]
Noi stiamo per fare Abracadabra Motorcomics, ve lo dico in anteprima!
Chiocca: In Valvoline c’era anche una dimensione collettiva, uno stimolarsi reciprocamente…
Igort: Sì, fu un incontro molto fortunato. A dieci anni incontro Carpinteri, sta nella mia stessa scuola, nel banco davanti a me… e incominciamo a disegnare. A volte, ripensandoci, un po’ la cosa mi preoccupa perché per me lui è davvero è come un fratello, siamo cresciuti insieme… Lui a Lucca, nel ’78 mi disse: “ ce n’è un altro bravo”, perché eravamo convinti di essere noi gli unici due. “E chi è?”, “Mattotti, si chiama Mattotti”. E allora andai a vedere e mi sembrò bravo. Ma non mi fidavo. Così mi avvicinai e gli dissi: “Ciao Mattotti, ce lo fai un disegno?”, e gli stesi subito un foglio davanti. Lui mi fece un disegno in diretta ed io: “merda, è bravo davvero.” [risate] E così abbiamo iniziato a frequentarci e c’era uno scambio molto forte nei confronti di alcuni autori, eravamo “attraversati” dalle loro opere. Vedevi Herzog ed era uno di noi, era lì. Non lo guardavamo come un mito… lo stesso per Wenders. Ci telefonavamo, andavamo a vedere i film e quegli autori entravano direttamente nelle nostre tavole. Per me il riferimento era Kluge perché ero il teorico del gruppo… “griglia a sei” e noi dovevamo avere sei vignette a tavola perché era il metodo… Mondrian! C’era uno scambio fortissimo tra noi: vedevo le tavole realizzate dagli altri che erano mostruosi e mi spaventavo… c’era una competizione pazzesca tra di noi. C’era la triade - io, Mattotti e Carpinteri - che eravamo quelli con lo stile più sparato in assoluto. Per Carpinteri arrivò una critica incredibile che definiva il suo stile “cubo-futurista”. Ed io non sapevo neppure cosa fosse, e andavo a studiare. L’aveva fatto Carpinteri… ed io? Di conseguenza alzavo il tiro… Fu un momento credo irripetibile.
Avevamo un editore d’arte che poteva farci la rivista come un libro d’Arte appunto, con copertine in plexiglass… io avevo l’idea di fare dei pop-up, non per bambini ma per adulti, che dovevano creare una sorta di città futurista… poi invece si decise: “niente Arte, ma Pop!” E finimmo in Rizzoli. Ci dettero l’ok e “tra due mesi dobbiamo avere il primo numero.” A me dopo il primo mi venne la tachicardia. Non potevamo certo sbagliarci, ci eravamo presentati lì come degli gradassi, non potevamo fallire. Era un po’ come essere i Sex Pistols e poi esce il disco ed è una cosettina sgonfia… sarebbero stati rovinati per tutta la vita. In quel periodo poi era una stagione pazzesca…. Brian Eno stava producendo il mondo, con dischi uno più bello dell’altro. In Italia c’era Battiato che fece una rivoluzione totale. Quando uscì L’era del cinghiale bianco io caddi dalla sedia… C’erano i Devo, i Talking Heads, i Contortions… Eno produsse No New York con quattro gruppi diversi: un disco pazzesco, rivoluzionario. I D.N.A, Arto Linsday che faceva praticamente rumore con la chitarra… I Residents: un gruppo di cui non si conoscono i componenti, hanno inventato la cryptic corporation, il gioco nella maschera…
Era una stagione meravigliosa, pazzesca per l’intero pianeta che io non vivo con nostalgia ma… dobbiamo riprendercela, riportarla qui… quell’intelligenza, quella curiosità, quella voglia.
Vivere con nostalgia non ha sento e per questo che l’idea di una reunion è orribile. Io voglio fare delle cose nuove, non ristampare cose vecchi… Noi stiamo per fare Abracadabra Motorcomics, ve lo dico in anteprima! [applausi]
Chiocca: Parlano dei tuoi ultimi lavori, i Quaderni ucraini e i Quaderni russi, devo dire che mi sono trovato di fronte un Igort diverso, nonostante ti seguissi da tempo. Una immersione profonda di un artista in una realtà spinto anche delle proprie emozioni e trasformarla grazie alla riflessioni ed a un lavoro molto preciso e attento al linguaggio. Credo che sia una grande lezione di verità nella… creatività. Verità sia in quelli che sono gli artifici dell’Arte, attraverso le tecniche grafiche… come il segno che si spoglia per servire il racconto. Nel corso della sua carriera Igort è riuscito a far convivere le sue due anime: quella più pirotecnica, più squisitamente grafica e quella più sintetica che riesce a raccontare la vita in punta di penna. La domanda è… è indispensabile vivere certe esperienze in prima persona per poterle raccontare con “qualità”? È indispensabile?
Igort: Assolutamente. Se vogliamo darci, bisogna essere onesti… e può essere doloroso. Occorre mettersi in pericolo, mettere in pericolo il proprio linguaggio, la propria conoscenza… e non è mai una questione tecnica ma di onestà. Tra la prima storia e le ultime sono passati trentacinque anni della mia vita. I quaderni sono tra le mie pubblicazioni più recenti. Spogliarsi è un qualcosa che si può fare quando già possiedi qualcosa. Sono due aspetti differenti: i primi sono lavori di narrativa, i quaderni sono dei documentari. Come ispirazione sono come i documentari di Herzog o di Wnders, sono un altro tipo di osservazione, due sguardi compatibili. In un caso vieni visitato dalla storie: è la tua memoria che lavora, filtra, rilegge delle cose che hai amato, visto, vissuto. Nell’altro caso vai on the road, come gli Impressionisti: esci e non hai più protezione, esci e incontri delle persone, non sai cosa succederà… sono le storie che ti vengono addosso, in qualche modo. Io questo lo dico, in modo forse smargiasso - dopo tanti anni - anche agli autori: siamo pieni di storie, è impossibile non avere delle storie da raccontare ma, in questo momento storico, in questa stagione, è importante riprendersi l’impegno. È importante non soltanto capire lo spessore della Cultura e della stratificazione del reale perché spesso ci troviamo di fronte ad una sua lettura semplifica, ma è anche importante l’impegno… quindi anche il “che cosa” raccontiamo. In questo momento storico credo sia molto importante. Anche i Quaderni mistici, a cui sto lavorando, sono un documentario incentrato su tre figure. Uno di questi è Pavel Florenskij, una delle figure più importanti della mistica del ‘900, un monaco russo che era anche un fisico e un matematico, ucciso con un colpo alla nuca nel 1937, durante le famigerate purghe staliniane. Viene chiamato il Leonardo da Vinci russo, in realtà secondo me era piuttosto il Pitagora russo perché credeva in una mistica matematica e in una matematica spirituale. Un uomo di un talento e di una umanità impressionanti, che scriveva di musica, letteratura. Era un fisico straordinario, del livello di Einstein, ed è stato ucciso perché non ha mai voluto rinunciare all’abito talare. Sempre parlando del “fetente”, Stalin diceva che “milioni di morti sono una statistica, ma un morto visto da vicino è una tragedia.” Questo è un qualcosa che io ho scolpito nella mia testa.
E sempre restando nell’ambito del discorso delle storie che ti vengono addosso quando sei on the road per documentarti, sono stato convocato a Parigi da Galia Ackerman, l’amica di Anna Politkovskaja, con cui sono stato in contatto per via dei Quaderni russi e che mi ha affiancato in diverse occasioni in incontri pubblici, e mi ha detto: “ho un libro per lei.” E mi ha consegnato un volume sui dossier dei servizi segreti sugli intellettuali e gli scrittori russi, che adesso sono stati nuovamente secretati da Putin. Io l’ho letto e davvero non è pensabile, non è concepibile quello che è stato fatto a questi intellettuali… quando leggo orrori simili perdo fiducia nell’umanità, non riesco a pensare che l’uomo sia questo arco splendido verso il sublime.
Azioni di una ferocia spaventosa però… il risultato che ottengono in uno che ha la testa dura come la mia è che mi caricano e vado da Gallimard a dire “io faccio i Quaderni mistici” e mi guardano terrorizzati...
Io non lo so perché. Sto lavorando per cercare di capirlo.
Chiocca: Dopo però te li fanno fare...
Igort: Sì, me li fanno fare. Ma anche se non me li facessero fare li pubblicherei lo stesso. È su questo che non bisogna cedere. Nella mia vita ho lavato i camion, ho fatto il cameriere per mantenermi… non c’è nessun problema. Ho imparato delle cose importanti da questo: si possono fare anche dei lavori umili, ma non si può cedere su quest’altra cosa. È su questo che non si può cedere, non sul tipo di lavoro.
Se leggerete gli scritti di Florenskij… lui scriveva alla famiglia dal gulag in cui era prigioniero e nelle sue lettere sembrava che fosse in vacanza alle Bahamas… e riusciva a confortare la moglie ed i figli e ad occuparsi della loro educazione, quando anche loro erano puniti perché familiari di un deportato, non potevano studiare, non erano ammessi nelle scuole…
Questo è importante perché anche la lastra di marmo che ti arriva sopra, che ti polverizza gli ideali… se la sai usare diventa una piattaforma per rilanciare… Ecco questo certo di fare, nel mio piccolo…
Noi dobbiamo far bene quello che facciamo, qualunque cosa. Io non credo alla A maiuscola dell’Arte contrapposta all’artigiano, non mi porta. Mi importa poter seguire le cose che ritengo corrette, giuste. Si può vendere palloncini in modo sublime. Io racconto, ho avuto fortuna, ho sempre raccontato e ho sempre saputo di volere raccontare… non lo so perché. È una domanda che ci siamo fatti quando ci siamo rincontrati dopo vent’anni, nel caso specifico di Carpinteri che non vedeva Mattotti da 20 anni. “Perché noi?” “Perché noi ci siamo trovati e abbiamo deciso di crescere insieme?” Anche se non ci sentiamo, con Brolli, Carpinteri, Mattotti… loro sono stati dei compagni di strada, c’è stato un misurarsi forte.
Io non lo so perché. Sto lavorando per cercare di capirlo.
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