Hai sentito, in qualche modo, il “peso” di realizzare un nuovo libro dopo
l'accoglienza riservata e il riscontro
di pubblico e critica di Cinquemila chilometri al secondo? Ti sei sentito
in qualche modo “pressato”?
No,
L'Intervista è un libro molto diverso, graficamente e concettualmente
perché è il mio primo fumetto che flirta col genere. Dopo Angoulême molti editori mi contattavano perché
proseguissi con i colori e quando sentivano “fantascienza” alzavano il sopracciglio, ma io avevo già una quindicina
di pagine in bianco e nero e il progetto mi appassionava.
Cinquemila... ha ricevuto un riconoscimento enorme e per me rimarrà sempre un libro speciale, ma è anche un capitolo chiuso ormai.
Con ancora negli occhi i colori di Cinquemila chilometri, ho trovato inizialmente
un po’ spiazzante il “bianco e nero” de L'Intervista. Però dopo poche pagine mi sono reso conto che era una
soluzione azzeccata. Come sei arrivato a questa scelta? Immagino che, come per altri tuoi libri, in un
certo qual modo siano le storie stesse a “scegliere” il modo, la forma in cui essere raccontate. In questo
caso, trattandosi di una storia di fantascienza, il bianco e nero rimanda alle atmosfere di certi, gloriosi, film
di genere del passato (anche se è strano, a ripensarci, raccontare il futuro con… il bianco e nero)… Che cosa
puoi dirmi circa questa scelta stilistica?
Non posso dire molto, l'aspetto grafico è la decisione che arriva prima di
tutto. Le immagini in testa erano in bianco e nero, bisognava trovare la maniera di tradurle con una tecnica
efficace. Ho comprato un po' di materiali finché ho trovato quelli che andavano bene.
Mi sembra ci siano anche dei rimandi cinematografici evidenti, delle
suggestioni… mi è sembrato di cogliere qualcosa di Incontri ravvicinati del Terzo tipo, la sequenza dell’aggressione
mi ha fatto venire in mente Arancia meccanica, così come il design delle macchine… ma mi è sembrato di
ritrovare anche un po’ delle atmosfere di Fellini (il titolo poi rimanda ad un suo noto film), di Antonioni,
Bertolucci, i ritmi della Nouvelle Vague… Ti sei ispirato a qualcuno di questi? Oppure quali sono state le “opere”
che ti hanno, in qualche modo, “accompagnato” nella realizzazione de L'Intervista? Lo so che alla fine
si tratta di un “gioco”… quello dei rimandi, a volte anche “fuorviante” e potenzialmente “fastidioso” per
l’autore. È umana debolezza il tentativo di classificare il nuovo utilizzando come riferimento il “già visto”…
Tra i fumetti, in qualche occasione, nel tuo strepitoso segno mi è “parso” di scorgere, d’intravedere un
po’ di… De Luca…
Michelangelo Antonioni è un punto fermo nella lista delle cose da vedere e
rivedere. Per questo fumetto ho guardato con attenzione
La Notte,
L'Avventura e soprattutto
L'Eclisse. Mi
piacciono tantissime cose dei suoi film: le trame, i dialoghi, le sue donne, l'architettura, la composizione e la
fotografia … E' un universo che mi corrisponde, quello dell'inazione, la lentezza contemplativa. Il suo sguardo
sull'interiorità e al contempo la drammaturgia che prende derive cosmiche (penso all'Eclissi) sono un punto di
partenza per le mie storie. De Luca non lo conosco molto, posso dirti che durante il lavoro a
L'Intervista ho
soprattutto guardato
Tezuka,
La Fenice in particolare. E poi ci sono le foto di
Francesca Woodman e
Cindy Sherman.
La storia è ambientata nel futuro, in Italia. È un legame affettivo che ti ha
portato a scegliere come location la terra delle tue origini? Sai alla fine ci lasci anche un segno di speranza che
questo paese ce l'avrà un futuro… Anche se, addirittura, ci vorrebbero gli alieni per migliorare un po’!
Ho pensato che ambientare la storia a Udine, la città meno fantascientifica che
conosco, avrebbe da un lato sdrammatizzato e aggiunto ironia alla storia, dall'altro mi avrebbe permesso di
lavorare con paesaggi urbani e naturali che conosco molto bene. L'Italia, da laboratorio costante dei più
improbabili scenari politici si presta bene alla fantascienza, non fai in tempo ad inventare un'assurdità che
la vedi quasi diventare realtà.
Durante la realizzazione del fumetto è caduto un governo, sono nati i Cinque Stelle, c'era stata quell'occupazione a Milano della torre Galfa, tutte cose che mi facevano
cambiare percorso di volta in volta.
Per lo meno, tecnicamente, è una storia di fantascienza. È un po’ un “kolossal”
su carta, e infatti ci sono… gli effetti speciali! Puoi spiegarci cosa sono, come sono stati realizzati e il
motivo per cui li hai inseriti nella storia?
Gli effetti speciali sono le apparizioni extraterrestri, ideate e realizzate da
Anne-Lise Vernejoul. Immaginando il contatto non avevo voglia di rifarmi a forme già viste nel cinema, volevo inventare la
mia propria iconografia aliena. Ammiro molto chi si è spinto oltre con la fantasia per immaginare il contatto
extraterrestre, come
Steven Spielberg che in
Incontri ravvicinati del Terzo tipo ha avuto l'idea geniale di
smaterializzare le navi extraterrestri, rappresentandole attraverso le lucine colorate. Anne-Lise li ha
realizzati con materiali semplicissimi, fogli di carta ritagliati a triangolo, sovrapposti in più strati
e fotografati con una luce che li attraversa. Il tutto è poi stato montato sul disegno. Meraviglioso.

Ho notato un uso ridotto all’essenziale delle onomatopee, solo
quando sono davvero funzionali alla storia e in molte circostanze decidi di non inserire alcun “suono”. Mi è
parso un accorgimento che potenzia la necessaria attenzione e tensione nella lettura… si chiede al
lettore di stare immerso in quel mondo, di guardare le vignette, di impegnarsi a decifrare e spendere del tempo
nella visione, di perdersi dentro l’opera di finzione, col privilegio di poter, magari, tornare sulla
pagina per rileggere, di rivedere una sequenza… Quanto hai lavorato sullo storytelling, sul ritmo della storia? Ad
esempio la sequenza di vignette nere, che poi in parte ritorna nel finale…
Cerco di usare le onomatopee con parsimonia, per diverso tempo il mio modello è
stato
Fuochi di
Mattotti, nessuna onomatopea e i tuoni delle cannonate che si sentono ancora più forti.
Come hai infatti sottolineato, è una questione di ritmo, è quello che fa sentire i suoni. Anche alla base
della suspence c'è il ritmo, ingrediente che io trovo molto sottovalutato nel fumetto. Per me è essenziale,
alla pari del disegno e forse ancora più importante della trama. Se prendi il primo
Arzak, per esempio, più
che la storia è il ritmo e il disegno che ti catturano: la sorpresa finale della donna mostro, senza la buona
scansione, non direbbe niente.
In una delle “rubriche” del mio blog – “critica omeopatica”, come la definisco
io, in cui in quattro parole definisco, con sprezzo del pericolo, quattro fumetti - ho recensito L'Intervista come “La fantascienza dei sentimenti”. Qualcun altro ha parlato di “Futuro interiore”. Mi pare che ci sia
un equilibrio tra l’elemento straniante della fantascienza e la grande attenzione alla dinamica delle
relazioni tra i personaggi, con l’aspetto del futuro e la tensione emotiva dei rapporti.
"Futuro interiore" è una bella definizione, cambi una lettera e diventa futuro
"anteriore".
A ripensarci… “alieni e sentimenti”, in un fumetto Italiano recente… mi viene
in mente Giacomo Monti e il suo Nessuno mi farà del male, uno degli episodi… con l’aliena che piomba nella
vita di un uomo di provincia… ma nel caso di Monti, differenze di segno a parte, prevale uno sguardo
disperato e un senso di straniamento, mentre il tuo approccio mi pare più leggero, più intimo, più aperto ad una
trasformazione che possiede anche tangibili elementi di speranza…
Quando ti occupi di una cosa succede che poi ti sembra che tutti parlino di
quella cosa. Allora non so se è
una sensazione mia, ma mi sembra che la fantascienza stia tornando in voga.
Chiaramente ci sono molte maniere di farla, Giacomo ha scelta una via grottesca ma anche molto
disincantata, che ho apprezzato. Io non sono riuscito a evitare un taglio quasi misticheggiante, perché il tema del
contatto è in fondo un tema mistico, sacro. La distanza che ci separa da un'intelligenza aliena è la stessa
che attribuiamo al divino, in un certo senso, per cui ho immaginato il manifestarsi extraterrestre come
un'apparizione sacra, una lux eterna che scende sul nostro pianeta.
Dora è un’altra figura di donna “forte” - pur nella sua giovane età - ,
autentica che compare nelle tue storie, con una “bellezza” anomala, effervescente e attraente perché illuminata dal
contatto alieno. Come l’hai tratteggiata, ideata? Da quali osservazioni della vita è nata questa “nuova”
donna? Che in parte riecheggia i figli dei fiori e le atmosfere new age anni ’60 e ’70…
Dora è nata da un furto a
Leji Matsumoto, di cui ho sempre ammirato i profili
lungiformi delle eroine come Queen Emeraldas e compagnia, d'altronde le disegna un po' tutte uguali. Era
strano che una ragazza avesse questo naso quasi ridicolo che la rende, almeno ai miei occhi, bellissima.
Volevo che esprimesse un canone di bellezza nuovo, del futuro. È l'unico personaggio che mi sento di
aver veramente inventato, tant'è che vorrei farle fare qualcos'altro. Così alla fine quando mi chiederanno “ma
che personaggio disegni” potrò finalmente rispondere – Dora.
Tornando al segno e ai personaggi, spesso disegni i corpi sensuali di
protagonisti e protagoniste non più giovanissimi. È una questione di bellezza universale dell'umano, di non essere
schiavi del modello del corpo giovane e perfetto... oppure è semplicemente capitato perché la narrazione lo
richiedeva e non ti sei posto “tabù”?
Tabù in genere cerco di non averne, disegno corpi adulti perché mi piacciono
quanto quelli giovani. Mi piacciono le irregolarità, quando disegnavo La Signorina Else mi piacevano i
suoi fianchi larghi, le sue gambe non perfette. Mi sembra una cosa naturale, ma in effetti siamo così
abituati a vedere nei fumetti o nei film corpi di atleti che disegnare una grossa pancia o un seno cadente in
maniera non caricaturale sembra strano.
Questo tuo “graphic novel” è uscito, praticamente in contemporanea, in mezza
Europa: Italia, Francia, Germania. Nel frattempo, in America, la Fantagraphics Books annuncia Cinquemila chilometri al secondo. Cosa significa per te essere un artista internazionale?
Eheh, non lo so, è una cosa strana. Quello di diventare un disegnatore di
fumetti è sempre stato un sogno di
bambino e ragazzo; in casa l'arte e il disegno non erano ben visti e la via per
arrivarci è stata abbastanza tortuosa. Ora in realtà le cose sono andate meglio del previsto, ogni tanto mi
fermo, ci penso, mi fa sorridere. Mi sarebbe bastato anche essere solo disegnatore, poi tutto - forse
il fumetto stesso - ha preso un'altra piega.
Hai pubblicato per le più prestigiose case editrici, collaborato con le più
interessanti riviste internazionali, hai ancora un "progetto nel cassetto", un sogno mai realizzato?
Sì, mi piacerebbe lavorare a un lungometraggio animato. In realtà vorrei
metterne in piedi uno tutto mio, magari la trasposizione de
L'Intervista. Conosco tante persone che lavorano
nell'animazione, chissà che un giorno non ci riesca.
L'Intervista è anche un fumetto in un certo qual modo “aperto”, che si presta
a riletture… a riscoperte. Penso sia un pregio. Mi pare un libro in cui l’aspetto del mistero, del non
comprendere tutto, del lasciare in sospeso, non detto… sia una parte importante del gioco narrativo che hai
realizzato…. Forse non sarebbe male se prima o poi potessimo tornare a dare una sbirciata al mondo del 2048…
Mi fa piacere se un libro rimane aperto ad altre letture. Il mio lavoro è
quello alludere a una complessità inesplorata, se lo rileggi vuol dire che ci sono riuscito un pochino.
Tutte le immagini, se non diversamente indicato, sono ©
Manuele Fior.
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