Paul Gravett: In Hicksville hai immaginato un’incantevole, sobria, remota e probabilmente inottenibile utopia per il Fumetto, in Sam Zabel e La Penna Magica, invece, hai utilizzato un avatar per esplorare la realtà, meno idilliaca, di fare fumetti, più o meno, per soldi. Quali sono stati gli ostacoli e i dilemmi che hai dovuto affrontare per ritrovare la strada e tornare a fare fumetti? Come sei stato in grado di superare le difficoltà?
Dylan Horrocks: Dopo
Hicksville ho trascorso diversi anni a scrivere fumetti commerciali per la Vertigo e la DC [ad esempio su testate come
Batgirl dal N. 39 al N. 57, una run di 19 episodi, e su
Hunter: The Age of Magic per una miniserie e venticinque albi, N.d.T.]: è stata un’esperienza affascinante (e mi ha permesso di pagare un sacco di bollette!) ma mi ha quasi ucciso come autore. Scrivevo in una voce che non era la mia e spendevo un sacco di tempo sentendomi intrappolato nelle fantasie altrui. Alla fine avevo quasi perso la mia voce autoriale e anche la mia fede, che mi aveva sostenuto per tutta la vita, nelle storie e nell’arte. Non riuscivo più a fidarmi delle storie.
Sam Zabel e La Penna Magica è stato il mio tentativo di trovare una via d’uscita.
Il mondo e i fumetti sono cambiati tantissimo da quanto serializzasti Hicksville, in bianco e nero, su Pickle. Ora Sam Zabel è stato proposto a puntate sul web, a colori, per poi essere pubblicato in contemporanea in volume da editori di tutto il mondo. Qual è il tuo parere su questi cambiamenti, in meglio e in peggio?
Mi ricordo quando, negli anni '80, le fotocopiatrici si diffusero e divennero accessibili a tutti portando alla nascita dell'editoria indipendente, dei mini-comics e delle fanzine. Sembrava una rivoluzione. Ma Internet ha portato la cosa su un livello completamente diverso. Non sorprende che molti editori e rivenditori abbiano problemi ad adattarsi ma l'aspetto per me più importante è l'esplosione di nuovi autori, completamente diversi tra loro, che hanno scelto il fumetto e lo stanno portando, online, in tantissime nuove direzioni. Vivendo in una minuscola nazione, praticamente alla fine del mondo, sono particolarmente consapevole delle possibilità offerte da Internet nel dare visibilità a disegnatori e scrittori prima marginalizzati, non solo per via della nazionalità, ma anche di genere, identità sessuale, appartenenza etnica e quant'altro.
Ovviamente non è tutto rose e fiori. I governi e le multinazionali stanno facendo del loro meglio per mettere Internet sotto il loro controllo, e le cose stanno cambiando rapidamente. Sono tempi interessanti... L'altro grande cambiamento nel mondo del Fumetto sin dai tempi di
Pickle è stata l'ascesa del graphic novel. Vent'anni fa l’idea che i fumetti sarebbero stati recensiti regolarmente su riviste importanti e nominati nei principali premi letterari sembrava un’utopia quanto
Hicksville. Fatico ancora a crederci. E mi piace ancora scoprire qualche strano fumetto auto-prodotto e pinzato a mano andando in giro per le mostre dedicate all’editoria indipendente…
Osamu Tezuka, il “Dio” del Manga, una
volta disse che viviamo in un’epoca in cui il fumetto è come l’aria. In
parte era un ammonimento sui potenziali effetti inquinanti sul fumetto
stesso. Che cosa ne pensi di questa sua preoccupazione?
Non mi
preoccupo dell’effetto sui fumetti piuttosto mi preoccupo per le storie e
l’arte in generale. Noi viviamo e respiriamo queste cose (e per questo
la metafora di Tezuka è meravigliosa): danno forma e filtrano le nostre
esperienze, pensieri ed emozioni, la nostra visione politica ed etica,
la religione e la scienza. Non riesco a capire gli scrittori e i
disegnatori che non provano un’ansia vertiginosa per via del potere che
hanno le immagini e le storie. È una cosa che mi spaventa da morire. Ma,
cielo, amo così tanto le storie…
Parlando di anedonia,
una parte di me vorrebbe ancora riuscire ad apprezzare i miei supereroi
preferiti. Personalmente il grande problema morale è l’ingiustizia
perpetrata dalla Disney e dalla Time-Warner-AOL nei confronti dei
(co-)creatori di questi personaggi tanto da macchiare indelebilmente le
loro saghe senza fine. Gli accordi extra-giudiziari oppure le cause
legali respinte non sono di alcun aiuto. Potremmo mai davvero far
ritorno a quei territori della fantasia?
Nello stesso periodo in cui ho iniziato a scrivere
Sam Zabel e La Penna Magica,
ho tenuto una conferenza a Christchurch sul futuro della letteratura in
Nuova Zelanda. Ero nel pieno della mia crisi creativa e così, invece di
concentrarmi su fumetti o romanzi, ho parlato di
Dungeons and Dragons e
di altri giochi di ruolo fantasy, della creazione di mondi immaginari
come una vera e propria forma d’arte e di come fossero un modo per
sfuggire alle seduzioni del racconto strutturato. Successivamente, una
persona del pubblico disse che da aveva giocato ossessivamente a D&D
ma che un giorno improvvisamente capì che non si divertiva più. Non
riusciva più a sospendere l’incredulità e improvvisamente gli sembrò
tutto così stupido. Con tono triste disse: “A volte vorrei che potessimo
accendere e spegnere la nostra post-modernità a comando.” Non so se sia
un problema di post-modernità o semplicemente il fatto che si diventa
vecchi, ma capisco quello che intendeva dire. Ci sono giorni in cui
farei di tutto per poter tornare indietro. Ma poi inizio a disegnare e,
in un certo senso, lo faccio.
Mi preoccupa e mi interrogo sul
lavaggio del cervello che i bambini, al giorno d’oggi, subiscono da
Spider-Man, Batman e compagnia bella, sin dalla culla o dal passeggino e
dai vestitini che indossano. Sono uno stupido?
Saresti stupido a
non preoccuparti e interrogarti. Ma questo non significa che sia
davvero un problema. Forse è una cosa meravigliosa? Eppure… eppure…
Soltanto
in America ci sono due multinazionali globali determinate a diffondere
un limitato numero di marchi in tutto il mondo. È vero che ci sono altre
realtà di lunga durata, con brand importanti da altre parti come Monica in Brazil, i Pokemon in Giappone, Blake & Mortimer in Francia e Belgio, Tex, Diabolik e Dylan Dog in Italia… suppongo Beano
e Judge Dredd in Inghilterra… ma questi non sono stati imposti in tutto
il mondo né dominano completamente il mercato locale in cui si
rivolgono. Dovremmo preoccuparci di questa tendenza? Le cose cambieranno
o queste storie interminabili non avranno mai fine?
Quello che
trovo più difficile da capire è il fatto che questi personaggi che
dominano il nostro immaginario collettivo sono tutti dei brand. Mi
sentirei meglio se Batman e Capitan America fossero nel pubblico
dominio. Una paio di secoli fa, le principali icone culturali erano
patrimonio di tutti. Le icone odierne sono trattate come delle proprietà
private non dai loro creatori né dagli innumerevoli fan che hanno
investito così tanto in loro ma da enormi aziende. Mi piace quando i fan
invertono questa relazione e prendono il possesso creativo attraverso
il cosplay o la fanfiction. E spesso è proprio lì che si trovano le
versioni più interessanti dei più popolari supereroi. Un esempio è
Steve Rogers, American Captain, splendido webcomic del neozelandese Robyn Kenealy.
Né
tu né Zabel potete costringere voi stessi ad affermare, nel libro, che
“siamo moralmente responsabili per le nostre fantasie” ma ovviamente,
grazie alla magia dei fumetti, quella inespressa possibilità tuttavia si
mostra direttamente sulla pagina. Inoltre usi il fumetto per mostrare
le fantasie erotiche di Sam e allo stesso tempo per confrontarti con
esse e metterle in discussione.
Non ho mai voluto che
La Penna Magica
presentasse una risposta semplicistica a quella domanda. Il libro si
apre con due citazioni contraddittorie: una di Yeats, l'altra
dell'attrice pornografica (e autrice)
Nina Hartley.
Queste due frasi, messe insieme, danno inizio a un dialogo, un
dibattito. E il libro porta avanti quella conversazione: espandendola,
proponendo punti di vista diversi e complicandola, sollevando nuove
domande. Non voglio che il lettore scopra le mie risposte, voglio che
esplori quelle domande da sé. Per provare il piacere e il potere della
fantasia, anche domandandosi che cosa sia veramente. Non mi fido delle
risposte semplici. Penso semplicemente sia una discussione importante da
affrontare.
Sei contrario alla censura nei fumetti da parte
dello stato o da sistemi di autoregolamentazione? E all'auto-censura? Ti
sei censurato su La Penna Magica?
Credo che i pericoli
della censura di stato o di sistemi di autoregolamentazione sui fumetti
siano superiori a qualsiasi beneficio.
L'auto-censura è un aspetto più complesso. Ci sono pagine in
La Penna Magica
che ho ridisegnato diverse volte perché, nella prima versione, sentivo
d'essermi spinto troppo in là. Volevo trovare il giusto equilibrio, il
giusto tono.
Ma ho anche permesso che la storia mi portasse in
direzioni che mi hanno fanno sentire a disagio perché sentivo l’esigenza
di essere sincero. Sono affascinato dagli artisti che si concedono
d’essere indulgenti perché si immergono in profondità nelle loro
fantasie e desideri. Sono come speleologi che esplorano le profondità
della nostra mente e del nostro corpo come se fossero delle grotte. Ma
mi preoccupa quello che scopriremo laggiù in fondo? Credo che dobbiamo
sempre riportarlo in superficie e condividerlo con tutti? Questi sono
aspetti più complicati.
Mi chiedo se la libertà di
fantasticare non scada facilmente in triti cliché e non rafforzi gli
stereotipi. Si tratta di aspetti condivisi, populisti e profondamente
instillati nelle nostre culture che forse è difficile smuovere o
abbattere, no? È inevitabilmente più semplice attenersi a prospettive
appaganti piuttosto che metterle in discussione o contraddirle?
Non
credo che sia necessariamente un problema. La ripetizione di tropi e
cliché familiari è un elemento chiave dell’arte e del racconto popolare;
è parte di come esploriamo la nostra cultura e noi stessi, facendo
ritorno sugli spessi percorsi ancora e ancora, conoscendone intimamente
ogni più piccola sfumatura. Questi luoghi noti possono essere
interessanti e rivelatori, e anche curativi e dare conferme.
Naturalmente, metterli in discussione è altrettanto rivelatorio ma non
credo neghi il loro valore.
Per me, la cosa più importante è il
fatto che una specifica fantasia sia sincera. Anche se uno scrittore, un
fumettista o un pornografo non fa nient’altro che ripetere i soliti
cliché, se lo fa perché è quello che arriva dal suo io più profondo,
allora credo che probabilmente sarà interessante e potente. Ma se invece
si tira in ballo soltanto quello che pensa voglia il mercato, o quello
che il suo editor gli chiede, suppongo d’essere meno interessato alla
cosa. Se mi stai dando in pasto una fantasia che soddisfa un desiderio,
allora è meglio che sia qualcosa che l’artista desidera, altrimenti non
sembrerà autentica. È molto difficile mentire sul desiderio.
Intendiamoci, le persone si ingannano continuamente fingendo falsi
orgasmi. Per cui… chi può dirlo?
Credo che tu stia lavorando
anche a un graphic novel erotico. Qual è la “bussola morale” che stai
seguendo? Qual è la tua opinione su fumetti erotici/pronografici come
quelli, ad esempio, di Manara o Lost Girls di Moore e Gebbie e sul
potenziale inesplorato dell’argomento in ambito fumettistico?
Lost Girls
mi piace molto. Su Manara il giudizio è più complicato ma non posso
negare la sua ossessiva risolutezza. C’è una lunga tradizione di fumetti
erotici, che risale fino alle origini del Fumetto stesso, ma sono
ancora dell’opinione che l’argomento abbia enormi potenzialità.
La
sessualità è così complicata, così importante, così affascinante, così
piacevole e disturbante – e la nostra ambivalenza nell’esplorarla così
estrema – che mi stupisce come tutti non ne scrivano.
Qual è la mia
“bussola morale”? Scrivere e disegnare è come muoversi su territori
inesplorati. Se non sai dove stai andando, una bussola può solo aiutarti
tantissimo. È importante tenere gli occhi sul terreno…
[Dylan Horrocks sarà tra gli ospiti dell’
Australian & New Zealand Festival of Arts che si terrà a Londra dal 28 al 31 Maggio.]
Tutte le illustrazioni usate in questo post sono opera di
Dylan Horrocks.
Le interviste precedenti: