giovedì 14 dicembre 2017

Dave Gibbons 2002: Watchmen e Alex Toth

Dai rutilanti archivi di Ultrazine.org emerge un'intervista a DAVE GIBBONS, reperto di una missione in terra d'Albione, in compagnia dell'amico Antonio Solinas, di ben 15 anni fa! 
Buona lettura!
INTERVISTA A DAVE GIBBONS
a cura di Antonio Solinas & smoky man
traduzione: Antonio Solinas
   
L'intervista è stata condotta il 2 giugno 2002 a Bristol durante l'annuale Comics Fair. Una versione ridotta è stata precedentemente pubblicata su Rorschach n. 100.

Puoi dirci qualcosa sull'idea originaria di Rorschach? Quale era l'interpretazione del personaggio da parte di Alan Moore e quale invece la tua?
Dave Gibbons: Il personaggio di Rorschach è essenzialmente l'equivalente di The Question, il personaggio di Steve Ditko per la Charlton Comics. E credo inoltre che sia una sorta di mix con un altro personaggio di Ditko, Mr. A. Tutti questi personaggi, infatti, rappresentano la figura dell'outsider, l'eroe solitario che vede le cose in bianco e nero e non accetta compromessi. Se si cerca di approfondire un personaggio che pensa in tale maniera si arriva ad una descrizione invero sgradevole, perché non esiste un mondo in bianco e nero.
Dal punto di vista grafico il personaggio è molto interessante. L'uso delle macchie di Rorschach nella maschera è stata un'idea di Alan, come l'uso di un materiale sensibile al calore. E' stato divertente da disegnare, ogni volta cambiare pattern e cercare in qualche maniera di suggerire altre immagini.
Una volta ho parlato con un tizio vestito da Rorschach, che aveva una maschera statica. Lasciati dire che è stata un'esperienza veramente snervante, parlare a qualcuno del quale non puoi vedere il volto. E' come conversare con persone che indossano gli occhiali da sole, ti senti a disagio perché non puoi vedere i loro occhi. Uno con una maschera che nasconde tutta la faccia è un'esperienza veramente macabra. Penso che se la maschera avesse cambiato apparenza in maniera dinamica, mi sarei sentito veramente molto a disagio.

Credo che Watchmen sia stato indirettamente responsabile di molti brutti fumetti, perché la gente non ha ben capito la vera essenza dell'opera. Qual è la tua opinione in merito?

La gente tende a pensare che Watchmen sia un fumetto oscuro e disperato ("grim and gritty" nell'originale, N.d.T.), ma quella non era la nostra idea, noi volevamo essere realistici. Sfortunatamente, quel tipo di approccio è diventato una moda, e ci sono stati fumetti come Capitan Marvel, essenzialmente un personaggio da fiaba, al quale venne affibbiato lo stesso tipo di trattamento, cosa assolutamente atroce. Se io e Alan fossimo stati interessati a lavorare su un altro fumetto (non creato da noi), dopo Watchmen, quello sarebbe stato Capitan Marvel. Ma noi avremmo voluto affrontarlo nella maniera giusta, come un divertissement sulla magia.
Penso che la gente abbia preso Watchmen per qualcosa che non era affatto: considera ad esempio Night Owl, un personaggio che incarna l'essenza romantica dei fumetti. E' come il sogno segreto di ogni comic fan: avere una Owl Caverna, una Owl Ship e tutti quei gadget fantastici. Si becca pure la ragazza, alla fine… C'era molto di più del grim and gritty, in Watchmen, ma molti, nel campo dei fumetti, hanno visto solo questo aspetto, accogliendolo come un nuovo trend. In realtà Watchmen era uno sguardo onesto, accurato e realistico su quello che sono i supereroi.

Parliamo della tua carriera. Lavorare a Watchmen sicuramente sarà stata una grandissima esperienza, ma probabilmente è un po' penalizzante per te essere identificato con un singolo lavoro, data la vastità e diversità della tua produzione. Quanto ti irrita questo fatto?
Non sono per nulla irritato dal successo di Watchmen, perché è ovviamente un'opera grandiosa alla quale essere associati. Fondamentalmente, io sono sempre stato un fan dei fumetti, e avrei sempre voluto lavorare nel campo dei comics. Il fatto di avere disegnato una serie che ha assunto lo status leggendario che ha raggiunto Watchmen, che sarà sempre menzionato, nel corso della storia del fumetto, un fumetto seminale che ha fatto si che molta gente iniziasse a leggere fumetti, è bellissimo. Parlavo con Joe Quesada, e mi ha detto che è stata la lettura di Watchmen a farlo tornare a interessarsi dei fumetti, e guarda che cosa gli è successo poi! Questo lo trovo ancora eccitante.
Inoltre, guadagno ancora dei soldi dall'opera, prendiamo sempre delle royalties. Se fossimo stati un pochino più furbetti, all'epoca, avremmo potuto fare un po' più di soldi, ma quando abbiamo firmato il contratto, pensavamo che fosse un buon accordo.
Sono sempre felice di parlare di Watchmen, anche se preferisco parlare del mio nuovo lavoro.
Ho un nuovo progetto che uscirà per la Vertigo (The Originals, N.d.R.), che sarà scritto e disegnato da me, ed è quello su cui mi vorrei concentrare ora, e spero che appena vado negli States riuscirò a generare un po' di interesse verso il progetto.
Per quanto riguarda me e Alan, lavoreremo insieme ad un'altra serie, nel futuro, e non sarà Watchmen 2…

Grazie a Dio!
… Sappiamo quello che facciamo meglio, e quello che ci interessa. Penso che sarà un progetto molto interessante, io e Moore siamo bravi nella complessità. Il fumetto sarà molto complesso, e le persone che amano i dettagli e le cose nascoste, come in Watchmen, penso che adoreranno quello che abbiamo in mente io e Alan.

Come è stato lavorare con Alan Moore, con uno scrittore così concentrato su quello che fa? So che hai usato un evidenziatore per estrapolare dalla sceneggiatura i dettagli che potevi effettivamente disegnare in una tavola…
Lavorare con Alan è una vera gioia. Conosco Alan da una ventina d'anni, e siamo amici. Lui è molto professionale: produce sempre meravigliose sceneggiature, e sempre in orario.
Alan tende a scriver sceneggiature come se stesse parlando, un sacco di descrizioni di vignette sono come conversazioni, nella stessa maniera in cui sto parlando io adesso. Ci possono essere un po' di divagazioni. Mi piaceva leggere ciò che Alan mette nelle sceneggiature, perché ciò che lui scrive è sempre molto valido, però, per quanto riguarda ciò che dovevo disegnare, mi sentivo obbligato ad isolare le descrizioni che mi servivano veramente, in ogni vignetta.
Mi piace comunque il modo in cui focalizza i concetti, e adoro avere a che fare con sceneggiature che mettono bene a fuoco le idee.
Gli unici problemi che ho mai avuto con gli scrittori sono proprio quelli di sceneggiature non bene focalizzate. Quelle scritte in maniera frettolosa e approssimativa, quando invece io devo poi passare mesi a disegnare le cose…
Ripeto, lavorare con Alan è una vera gioia e spero di avere la possibilità di fare altri fumetti con lui in futuro.

Oggi sembra esserci una sorta di rinascimento per i comics. Quale pensi sarà il tuo contributo nei prossimi cinque anni e come ti vedi nel futuro?
Io amo il medium fumetto, e in particolare da quando ho iniziato a scrivere un po' di più. Quando ho iniziato, volevo scrivere e disegnare fumetti, non sospettavo neanche che lo sceneggiatore e il disegnatore fossero due persone spesso distinte, pensavo che un solo autore facesse tutto.
Oggi come oggi, traggo un sacco di soddisfazione dal puro scrivere, e la nuova serie che farò per la Vertigo, che si chiama The Originals, sarà scritta e disegnata da me. The Originals è un fumetto molto personale, la mia visione di certi argomenti, ed è un pochino autobiografico. Anche se alcune cose non sono accadute a me, molti fatti sono veramente avvenuti.
Voglio dare la mia visione delle cose, ora penso di avere raggiunto il punto in cui posso dire di padroneggiare la tecnica (o di muovermi verso la padronanza della tecnica) necessaria per raccontare storie personali con una certa convinzione e passione, e questo è ciò che vorrei fare in futuro.
Penso che la direzione che il mondo dei fumetti prenderà nel futuro si allontanerà dai fumetti mensili, per abbracciare i fumetti da libreria. Ovviamente i fumetti mensili sono quelli che ti fanno pagare le bollette, e che generano pubblicità, ma penso che la meta finale sarà quella di produrre volumi da libreria. The Originals, ad esempio, sarà direttamente raccolto in volume, non sarà un fumetto mensile classico. Questa è la direzione per il futuro, come ho detto.
I fumetti sono un modo veramente valido per raccontare delle storie, e vorrei che fossero accettati dal grande pubblico nella stessa maniera dei film o gli sceneggiati radiofonici, o la spoken word. Ma c'è bisogno di fare storie che interessino non solo i fan dei fumetti, cercare di connettersi con il pubblico generale che legge (interessando chiaramente anche i fan dei fumetti). Ovviamente non mi voglio atteggiare, io stesso sono un fan dei fumetti e lo sarò per sempre. Ma se vogliamo che ci sia un futuro per i fumetti, dal punto di vista economico, bisogna interessare anche chi non legge normalmente fumetti.

Una domanda sul tuo stile. Quando disegni hai un tratto molto pulito, classico ma sembra che sia anche interessato alle nuove tecniche computerizzate come nel volume che hai realizzato, The Dome, e penso anche alla colorazione di Angus McKie sul tuo Martha Washington. Come concili queste due apparenti contraddizioni?
L'approccio che preferisco al disegno è quello esposto da Alex Toth: "riduci ogni cosa all'essenziale e poi disegna tutto al massimo".
Sono convinto che la funzione del disegno in un fumetto sia quella di raccontare la storia, e che esso non esista come un qualcosa di separato, da essere studiato. Credo che molti fumetti, disegnati in maniera più complessa, non siano dei fumetti che raggiungono il loro scopo, perché ti astraggono dalla lettura, facendoti fermare a guardare la vignetta quando dovresti leggere. A meno che non si tratti di una vignetta che abbia la funzione di farti fermare a guardare.
Voglio essere in grado di disegnare sufficientemente bene per raccontare la storia, non sono interessato al disegno fine a sé stesso. C'è un sacco di lavoro dietro, ovviamente, perché per ridurre un disegno all'essenziale, c'è bisogno di fare un sacco di sforzi che rimangono nascosti, e molto è nelle matite.
Per quanto riguarda la colorazione, con l'avvento dei computer eravamo tutti eccitati riguardo le potenzialità che potevano avere. La colorazione di Angus su Martha Washington, e penso che lui sia d'accordo con me, credo che sia un po' eccessiva e squillante ("flashy" nell'originale, N.d.T.). Un lavoro molto ben fatto, perché Angus è un esperto, e ha buon gusto e talento, però forse un approccio leggermente più semplice sarebbe stato più adatto.
Ora l'eccitazione di usare il nuovo giocattolo è un po' passata. Non voglio dire che non sono interessato ai nuovi strumenti, mi piace sperimentare nuove matite, nuovi pennelli: per The Originals non sto usando il computer per disegnarlo, faccio tutto a mano. Ma in certi passaggi devi magari usare il computer. Ad esempio, puoi scansionare i tuoi disegni preparatori, disegnati col pennarello o con l'inchiostro nero, e poi stamparli sul cartoncino da disegno in blu, in modo che non venga poi riprodotto, e poi inchiostrare il tutto. Questo è molto interessante, ti lascia molta più libertà di sperimentare col tuo stile di disegno.
Un altro aspetto interessante è che sarò in grado di consegnare il lavoro (The Originals, N.d.T.) alla DC in un paio di CD Rom, invece di spedire le mie tavole. Anche il riempimento dei neri è molto più semplice. Ecco, questa è la funzione della tecnologia, aiutare a passare dalle idee che hai in testa al risultato finito nella maniera più semplice possibile.

Hai scritto storie per altri disegnatori, Alien per Mike Mignola e World's Finest per Steve Rude... Quando scrivi per un te hai un approccio diverso, scrivi un plot, fai degli schizzi per l'organizzazione della pagina, scrivi una sceneggiatura completa?
L'approccio che ho quando scrivo qualcosa per me o per un altro è più o meno lo stesso, questo perché credo molto nell'uso di un metodo. In altre parole, se segui una routine che hai messo a punto, riesci ad essere continuo, sia nella periodicità, che nella qualità del lavoro, direi. Per cui, anche quando scrivo cose che disegnerò io, butto giù una sceneggiatura, con descrizioni delle vignette, non lunghissime, ma quasi come memorandum per me stesso. Con The Originals, per esempio, ho scritto tutta la sceneggiatura, circa 650 vignette, che corrispondono a 150 pagine, più o meno. Ora che ho finito, sto facendo dei thumbnail, come se fosse la sceneggiatura di qualcun altro, cambiando un po' di cose e spostandone altre. Appena finiti i thumbnail, passerò alla tavola vera e propria.
Ho sempre lo stesso approccio, non mi prendo in giro dicendo: "Ora disegno questo, poi tirerò fuori la storia". Si parte dalla storia, dall'idea principale, che viene scandita in scene, le scene vengono divise in tavole, le tavole in vignette, e le vignette in parole e immagini. E poi si disegna. Se devii da questa via, è come costruire una casa senza fondamenta. Suona meccanico, ma non lo è affatto. Ti libera la creatività, perché sai che c'è dietro una base. Quando scrivo i dialoghi, ad esempio, posso essere molto libero, perché so quale voglio che sia il succo. Non mi devo preoccupare di come fare andare tutti i pezzi a posto, perché so già che lo faranno. Sono un convinto assertore del metodo, sia nel disegno che nella scrittura.

[Pubblicata originariamente su Ultrazine.org nel luglio 2002]

3 commenti:

Luca Lorenzon ha detto...

Intervista molto interessante (e per certi versi premonitrice), grazie di averla messa online.
Si sa qual era l'altro progetto a cui avrebbero dovuto lavorare ancora insieme Moore e Gibbons?

smoky man ha detto...

Grazie Luca per il commento.
Ricordo vagamente un qualche accenno a un progetto, digitale (?), forse (anche) un CD interattivo... ma non ho certezze in merito. Poi, come immagini, non si fece.

Luca Lorenzon ha detto...

grazie dell'informazione, io non ne sapevo assolutamente niente.