Mettevo ordine, per quanto possibile, tra i fumetti che affollano la mia casa, e mi sono ritrovato tra le mani un tomo. E che tomo (faccio notare la dicitura "un romanzo a fumetti" in copertina :))! Lo splendido
Hicksville del geniale autore neozelandese
Dylan Horrocks, pubblicato nel 2003 da
Black Velvet Editrice: un vero e proprio inno al fumetto, alla sua storia e alle sue incredibili potenzialità. Se non l'avete mai letto...
beh, procuratevelo!
Mi sono ritrovarlo a rileggerlo un po' a salti. Un'opera davvero intrisa d'amore per il fumetto, con tante storie nelle storie, una specie di scrigno pieno dei sogni, patimenti e progetti creativi dell'autore.
E con molta, moltissima ironia e intelligente senso del gioco.
Sfoglia che ti sfoglia, l'occhio mi è caduto sulle pagine in appendice e sull'articolo del 1988 firmato da Horrocks, intitolato
Una lettera da Hicksville (perchè amo il fumetto neozelandese), in cui parla della scena fumettistica del suo Paese. Le parole che riporto nel seguito - un estratto dal pezzo di Horrocks nella traduzione di
Alberto Corradi (pag. 268-269) - mi sono "suonate" come una sorta di "contro-canto", se non una possibile risposta o "medicina",
allo "sfogo" di Giacomo Monti che ho riportato nel precedente post.
A mio avviso c'è sempre qualcosa di eroico nelle persone che lottano per dominare un'arte anche quando non c'è nessuna speranza di farla diventare la propria professione.
Una volta, mentre tenevo delle lezioni sulla storia del fumetto a un corso serale dell'Università di Auckland, uno degli studenti, un signore che aveva ormai superato i cinquant'anni mi chiese se avevo problemi a visionare qualcosa del suo lavoro. Allora tirò fuori un centinaio di pagine o giù di lì di un piccante fumetto d'avventura disegnato in modo davvero competente. Colmo di donne in topless e arcani misteri, aveva un gusto vagamente retrò (provate ad immaginare una storia di Heavy Metal disegnata da Edgar P. Jacobs).
Ero sbalordito. Quel tizio aveva tranquillamente lavorato sulla sua storia per anni, per il solo piacere personale. Non c'era nessuna speranza che sarebbe mai stato pubblicato. Era troppo crudo per metà degli editori e non abbastanza per i restanti; a ogni modo, era troppo retrò per tutti loro. Ma mi piaceva. Vorrei essermene fatto una copia, ma invece fece ritorno a chissà quale confortevole nascondiglio privato dove il mio studente l'aveva creato.
In definitiva, questo è il tipo di fumetti che mi piacciono di più. E' come il vecchio fandom prima che diventasse un affare e un'estensione dell'industria. Quando era composto di sfigatelli entusiasti per cui non c'era niente di meglio che proiettarsi in piccoli mondi immaginari costruiti con amore e attenzione per i dettagli. Persone consacrate a un'arte che nessun altro riconosceva, per non dire rispettava. Persone che trovavano nel fandom una comunità che erano incapaci di individuare nella società tradizionale. Direi che la Nuova Zelanda conserva ancora qualcosa del genere, all'interno delle entusiastiche comunità concentrate intorno a "Fun Time Comics" a Christchurch e "Treacle" e "Umph!" di Tony Renouf a Dunedin, e ai fanzinari vivaci e senza pretese di "Oats Comics", che paiono credere fermamente che chiunque può e debba diventare un fumettista."