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domenica 20 ottobre 2019

[Oldies but goldies] ALESSANDRO BILOTTA 2001

Mentre Lucca Comics ne celebra la carriera con una meritatissima mostra (QUI i dettagli), dagli archivi di Ultrazine.org ecco spuntare, con perfetto tempismo, un'intervista ad ALESSANDRO BILOTTA... di appena qualche annetto fa (correva l'anno 2001!).
Buona lettura! Bilotta anche allora diceva cose interessantissime, eh.
Time does not exist.
ALESSANDRO BILOTTA
Sceneggiatore Maraviglioso

Sceneggiatore brillante e ricco di talento, è una delle menti del progetto Montego. Un vulcano di visioni e di iniziative. Un autore giovane ma dalle idee chiarissime e dalla parlantina vivace, come potrete verificare di persona leggendo l’intervista. Un ultra-amico, questo è sicuro!

Ah, state attenti: prima o poi scriverà una storia - a fumetti, naturalmente - che vi cambierà la vita. O l’ha già scritta? [sm]

smoky man: Partiamo dalle tue interessantissime produzioni Montego.
Povero Pinocchio, Il Dono Nero e Giulio Maraviglia ci offrono un saggio del tuo eclettismo: la rivisitazione di una fiaba, l’horror urbano e un alternativo mondo steampunk. Il tutto però, con un denominatore comune: raccontare storie che sanno d’Italia. Mi spiego, in Povero Pinocchio prendi spunto da Collodi, mentre ne Il Dono e in Giulio la storia si svolge a Roma. Perché questa scelta?
Alessandro Bilotta: Innanzitutto ti ringrazio per l’ "interessantissime", generalmente i fumetti di cui tesse le lodi Ultrazine sono i miei preferiti, essere inserito tra quelli mi fa immenso onore o, perlomeno, mi fa capire che sto copiando bene. E dopo che ci siamo sviolinati a vicenda, passiamo alla domanda…

Scrivo con più facilità e trasporto quando racconto cose che conosco bene e che mi interessano. L’Italia e Roma sono le uniche che corrispondono a entrambi questi connotati, quindi sono per me quasi una condizione irrinunciabile. Se dovessi raccontare di un newyorkese, non avendone mai visto un esemplare da vicino, probabilmente lo farei con la canotta quando sta dentro casa, che fa la scarpetta con l’uovo al tegamino o che tiene la sigaretta ancora da fumare sopra l’orecchio. Altrimenti, dovendo proprio essere fedele a una realtà diversa dalla mia, andrei a documentarmi… che noia. E poi non mi interesserebbe affatto raccontare di chi non conosco. A chi interessa? Non credo che sarei spontaneo o sincero. Ci tengo molto a mantenere la mia identità storica, civile e sociale.

Parlando di Giulio Maraviglia, come è nata l’idea? È nata prima l’ambientazione o i personaggi? Leggendolo non si può non pensare alla Lega degli Straordinari Gentlemen di Alan Moore, che compie un’operazione analoga alla tua recuperando personaggi della fiction Vittoriana… persino l’idea delle finte pubblicità vi accomuna… Ti piacciono i mondi alternativi?
Ho cercato di procurarmi quanti più fumetti possibile della ABC di Moore, per copiarli prima che arrivassero in Italia, ma l’unico che non sono riuscito ad avere, è stato proprio la League. Sebbene non ne abbia mai tenuto in mano un numero tu sei il novantanovesimo lettore su cento che nota la similitudine, quindi sono sicurissimo che la similitudine ci sia, seppur a livello esteriore. D’altronde certe tematiche sono nell’aria, dopo quindici anni di introspezione, mi sembra che dal futuro venga il recupero della classicità e il nuovo rimanipolando il vecchio, come anche nell’arte con la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva. C’è chi ci riesce alla grande, vedi Tom Strong e Alan Moore in genere, e chi in modi disastrosi prendendo il vecchio per invecchiarlo ancora di più, perché i fumetti non li sapeva fare neanche prima.

In realtà Giulio Maraviglia nasce dal voler fare una serie sui misteri di Roma, su certi luoghi che mi capita di percorrere la notte e trovare non meno oscuri della Londra Vittoriana. Dietro ogni strada della città più antica d’Italia ci sono storie affondate in anni precedenti ancora all’invenzione del calendario. Inoltre trovavo che a fumetti fosse stato fatto sempre e solo uno steampunk visivo e non di concetto, cioè uno sfruttare le immagini dei macchinari e delle invenzioni, ma non i motivi o le storie parallele che portano all’esistenza di esse, tranne forse "Luther Arkwright" di Talbot. In fondo penso che si faccia realtà alternativa ogni volta che si fa un fumetto o, più in generale, una storia, anche una biografia. La realtà alternativa nasce già quando gli eventi da raccontare passano lentamente, uno per uno, attraverso il filtro dello scrittore. Diciamo che spesso ci si diverte a pestare l’acceleratore.
Cosa significa per te scrivere fumetti?
È un'esigenza. Ho bisogno di costringere la fantasia a occupare il maggior numero possibile di ore della mia giornata.

Secondo te, il fumetto è Arte?
Come dice un certo Moore (possibile che su Ultrazine si finisca sempre a parlare di questo tipo?) nel tuo servizio "Una questione di passione": "i fumetti sono probabilmente la prima forma artistica dell’umanità". Da essa derivano conseguentemente due delle più grandi attività artistiche dell’umanità, la letteratura e la pittura e oggi il fumetto ne è la fusione e la coesistenza di entrambe. Nonostante ciò, tra le arti è catalogato al nono posto e più per modo di dire che per effettiva classifica. Nonostante ciò, "c’è ancora così tanto che potrebbe essere fatto con i fumetti, nuove forme che possono essere raggiunte e immaginate" e il territorio in cui un autore si addentra è come un giungla vergine, inesplorata. Solo chi lo vede così, sarà in grado di produrre qualcosa di buono. Chi lo osserva dall’esterno certo di non avere bisogno di addentrarcisi perché lo conosce bene, continuerà a ripetere gli stessi inutili stilemi o ad aprire scuole di fumetto.

Sì. Il fumetto per me è una delle più alte e "giovani" forme d’arte. Quando in una storia, tra sceneggiatore e disegnatore si giunge a un coinvolgimento reciproco di pari intensità si realizza sempre, quasi matematicamente, Arte.
Che ne pensi di quello che Kochalka dice in L’orribile verità sui Fumetti [N.d.R., tradotto e pubblicato al tempo su Ultrazine]?
L’orribile verità sui Fumetti è un acutissimo trattato filosofico, impossibile da commentare in poche righe. Penso innanzitutto che Kochalka non abbia usato a sproposito il termine "horrible". Se ti dicessero che il Luna Park con i bambini che giocano sotto casa tua ha una verità nascosta… forza, divertiamoci a vedere cosa partorisce la tua fantasia… che stai immaginando? Il peggio sicuramente. Lo stesso è per il fumetto, una cosa apparentemente buona e innocua non può che nascondere orrori, chi si muove in questo ambiente ne conosce troppi perché possa riposare come cerca di fare il coniglietto di Kochalka.

Inoltre quell’"horrible" è un’ironia perché la "verità sui Fumetti" altro non è che l’altissimo punto a cui ogni autore può aspirare e che sembra negarsi, per "timidezza, disonestà, paura e pretenziosità" o, ancora più semplicemente, per timore di un editore troppo ignorante. Quindi meglio tenere quella verità lontana, nascosta, sotterranea, orribile.

L’arte è gioco. La forma ideale della creazione è la mancanza di schemi, costrizioni… scadenze. Nel fumetto questo è inesistente, tranne alcuni rari, fortunatissimi casi. Il motivo principale di ciò è per il fatto che nel medium fumetto non c’è grande circolazione di denaro. Quindi un autore, se è comunque fortunato, deve scrivere centinaia di pagine al mese per mettere insieme uno stipendio che, in termini sociali, lo inserisce in una fascia di reddito medio-bassa. Questo non permette di viaggiare, leggere libri, vedere film, perdere tempo, fissare il vuoto, che sono tutte quelle cose che danno spessore a un prodotto artistico. L’arte è gioco, ma il fumetto non è più gioco. Questo crea il paradosso che il fumetto è arte, ma non ci è sempre permesso di farla come gioco. Ecco perché le librerie di fumetti e le edicole non sono la stessa cosa delle gallerie d’arte.

Non è arte raccontare le cose senza imprimere su di esse la propria soggettiva, per fornire un punto di vista diverso, nuovo. Quello che io prima chiamavo "il filtro dello scrittore". Per fare arte bisogna raccontare le cose filtrandole con la propria esperienza personale. Nei fumetti la prima vittima/carnefice di questo processo è proprio l’illustratore della storia che può permettersi di fare un buon lavoro disinteressandosi completamente dell’idea o della storia da raccontare.

La struttura del fumetto francese contemporaneo, secondo me, si basa proprio su questo esempio che si potrebbe definire dell’illusione ottica. Volumi bellissimi a vedersi realizzati da disegnatori-pittori che si muovono senza storie e senza idee. Sono d’accordo con Kochalka, questo non è fumetto, è illustrazione. Ed è illustrazione superficiale. L’idea dovrebbe venire prima e rendere sceneggiatura e illustrazione un mezzo. La prima preoccupazione di Carmine, ad esempio, è quello che dobbiamo raccontare. Insieme. Sa che abbiamo lo stesso scopo. Il 99% dei disegnatori pensa di essere in competizione con lo sceneggiatore e di essere anche in svantaggio perché parte a lavorare dopo.

Non è una questione di imparare a disegnare. Molti di quelli che sono considerati i più grandi disegnatori di fumetti della storia, non sono altro che i più grandi illustratori del mondo, ma col fumetto non hanno davvero nulla a che fare.

smoky… ma a qualcuno interessano le cose di cui stiamo parlando?

Spero di sì … a proposito di argomenti "caldi" … so che hai frequentato la Scuola Romana dei Fumetti. Che cosa ti ha dato questa esperienza?
A scuola ho conosciuto un paio di morette. Una volta sono anche rimasto intrappolato nel cesso. A parte questo, niente.

Pensi che le scuole di fumetto abbiano un’utilità? Personalmente credo, nel caso di uno sceneggiatore, che non si possa insegnare a raccontare storie, si può insegnare la tecnica, forse, ma se uno non ha nulla da dire … Inoltre, ho come percezione, che questo proliferare di scuole fumettistiche sia un po’ un abbaglio … nel senso che non è come la Joe Kubert School che ha un impatto immediato sull’ "industria" fumettistica" USA, spesso in Italia succede che uno fa la scuola e poi sta a spasso, o piega il proprio stile e inaridisce la propria visione perché non c’è spazio per cose nuove e allora bisogna ripiegare verso modelli consolidati ma fermi… che ne pensi?
Non mi ricordo chi diceva: "Le scuole specializzate nascono quando non c’è più lavoro in quel campo". A parte il fatto che non mi viene in mente il nome di un solo autore uscito dalla "School" di Kubert, mi domando il senso di una scuola che appronta a un mestiere che non esiste. Mi spiego. Il mestiere dei fumetti è identico a quello dell’astronauta, cioè non c’è un’effettiva richiesta da giustificare quindi un’offerta, quindi una scuola. Se un giorno, ahimè, volessi fare l’astronauta non avrei altra scelta che andare alla NASA e mettermi a superare selezioni. Scuola per astronauti? E che senso avrebbe? La NASA è lì, impossibile da raggiungere, ma non ci sono altre strade per andare nello spazio. Vuoi fare fumetti? Le case editrici le conosci, sono lì e si contano sulla punta delle dita. Se una di quelle ti commissiona un lavoro sei un precario autore di fumetti, se non ottieni la parte non sei niente.

Le scuole di fumetto sono gestite, specifico gestite, non parlo del corpo insegnante, da persone che non hanno quasi mai avuto a che fare col fumetto e che in un momento di crisi, tra aprire un salone di bellezza e una scuola, hanno fatto una scelta. Quella sbagliata.

Avrebbero senso delle scuole interne alle case editrici come laboratori di formazione per poi essere introdotti nell’ambiente lavorativo, un po’ come fanno le grandi aziende. Ma ho l’impressione che per una casa editrice sia già così difficile continuare a far lavorare con continuità i vecchi collaboratori, che dubito si possano mettere in allenamento decine di nuovi autori l’anno.

Per far pagare a un malcapitato la retta del mese successivo una scuola è disposta a promettere qualunque cosa una lingua possa pronunciare e aspiranti autori, giovani e non, affrontano enormi sacrifici economici, spesso pendolarismi massacranti, per entrare in una stanza con qualcuno che gli fa ricopiare un libro di anatomia. Nel mio immaginario cattolico l’Inferno è così.

Nell’introduzione, che ho molto apprezzato, al secondo numero di Giulio Maraviglia parli della strana situazione del mercato italiano in cui un disegnatore valido come Carmine di Giandomenico era sparito nel nulla e dove sono gli autori a dover rincorrere gli editori e non viceversa come sarebbe naturale. Vista la tua schiettezza, qual è la tua opinione sullo stato del Fumetto in Italia?
Credo che la situazione del fumetto in Italia non sia un caso isolato, ma rispecchi coerentemente il disagio e la pochezza culturale di una nazione. È sufficiente fare una fila alle poste, in banca, avere a che fare con la sanità o con un vigile per rendersi conto dell’Italietta. Il cinema, la letteratura, la musica e il fumetto riflettono perfettamente la nostra burocraticizzazione e la non artisticità. A volte mi meraviglio perfino che esistano ancora queste forme d’arte in Italia, anche se a livello mainstream non credo si possa azzardare l’affermazione che cinema, letteratura, musica e fumetto esistano.

Per entrare nello specifico del fumetto, a mio giudizio, il problema di maggior rilievo è che non si investe su nuovi autori. La pretenziosità di non guardare alle nuove generazioni è propria di un’arroganza unica al mondo, manifestazione di quella pochezza culturale di cui sopra. Se chi sta nelle stanze dei bottoni avesse studiato biologia, saprebbe che per leggi naturali il corpo dopo qualche tempo tende a decomporsi, a diventare terra e polvere, è necessario un ricambio generazionale e nessuno in Italia si sta preoccupando di alimentarlo. Forse, se accelerassimo quei processi di decomposizione…
Personalmente, credo che la spinta al rinnovamento debba venire da piccole case editrici e soprattutto dagli autori. In questo senso mi sembra che le cose si stiano muovendo, penso a voi, a Innocent Victim, a Coconino Press, a Peter Press, a Mondo Naif… e poi bisogna anche cercare di "far crescere il pubblico"… è impossibile, che uno a venticinque anni continui a comprare solo Dragonball e non abbia mai sentito parlare di From Hell, Maus… Bisogna trovare un modo, di far arrivare la notizia… che là fuori ci sono fumetti che aspettano solo d’essere letti e capaci di trasmettere emozioni…
È un paradosso, ma sono strenuamente convinto che il rinnovamento, se ci sarà, verrà da coloro che non accetteranno gli standard attuali, ma si preoccuperanno di indicarci una nuova strada. La loro. Come in Italia fece Berardi con Ken Parker o Sclavi con Dylan Dog, realizzarono delle cose che resteranno perché, a quei tempi, erano fuori standard.

E gli autori italiani che in questi ultimi anni hanno davvero fatto qualcosa, sono proprio quelli che non hanno accettato gli standard o, se lo hanno fatto, è stato perché ci si identificavano realmente, ma questi si contano sulle dita di una mano.

Mentre Coconino Press a oggi ha puntato in minima parte sugli italiani ed è ancora troppo presto per definire Peter Pen, credo che gli autori e le pubblicazioni più interessanti degli ultimi anni in Italia siano nate proprio da Innocent Victim e dal lavoro dei boys della Kappa Edizioni e del loro Mondo Naif. Ma siccome la produzione di un’opera costa dieci volte tanto l’acquisizione di diritti esteri, non è un caso che tutti diano la precedenza alla seconda. Opere italiane inedite vengono così inserite come cameo in mezzo a decine di traduzioni. Anche la Kappa sta ormai seguendo questa strada, la Innocent diventa sempre più produzione e meno edizione e per piccole strutture è difficile proseguire con grandi spese e pochi guadagni.

Purtroppo le opere che dovrebbero "far crescere il pubblico" sono quasi sempre prerogativa di piccole edizioni che non hanno il potere commerciale e politico di lanciare un prodotto, di "far arrivare la notizia". Recentemente Maus è stato ritradotto dall’Einaudi, quando la precedente edizione della Rizzoli è ancora reperibilissima, e ci siamo ritrovati interviste a Spiegelman pure sulla carta igienica. Credo che un battage di questo genere abbia dato i suoi frutti, ma è impensabile per una piccola produzione, che in genere è l’unica che ha una cultura tale da puntare su tali opere. A Roma si dice: "Chi cià il pane e non cià i denti…".

Una domanda immancabile: quale background per il tuo modo di immaginare storie?
Potrei andare avanti all’infinito e in tutte le risposte di quest’intervista c’è un po’ della risposta a questa domanda. Potrei raccontarti nel dettaglio i miei sogni fumettistici, letterari, cinematografici, musicali, pittorici, storici, ma non credo che, tra l’altro, interesserebbe molto. In generale c’è un filo che lega i miei background, che è l’avventura. Potrei sostenere che l’avventura classica nel senso più lato e in tutte le sue declinazioni, ha sempre suscitato in me una forte influenza.

Quali sono attualmente i fumetti che leggi? E non dirmi che non leggi fumetti! Odio gli autori di fumetti che dicono di non leggere fumetti …
"Autori"? Non conosco "autori di fumetti" che non leggono fumetti. Immagino un medico a cui un paziente chiede se può usare il Viagra e lui risponde: "Viagra? No, ultimamente non seguo molto le nuove scoperte scientifiche."

Di quello che sta uscendo adesso mi piacciono molto le cose di Loeb e Sale, l’ultimissimo Daredevil: Yellow. Sempre di Devil trovo coinvolgente il ciclo di Bendis, il suo Powers e tutto il lavoro che Azzarello sta facendo per la Vertigo. E sempre per Vertigo Scene of the Crime di Ed Brubaker.

Dal Giappone adoro le calme ieratiche di Taniguchi e Adachi. Dei francesi Monsieur Jean di Dupuy e Berberian, tutto Trondheim e Blacksad di Guarnido e Canales.

In Italia seguo Tito Faraci, Magico Vento di Manfredi e Napoleone di Ambrosini, anche Witch di Gnone, Barbucci e Canepa e più in generale tutto il lavoro di tutti gli autori Disney che considero gli sperimentatori del futuro, ma i miei credo religiosi sono Innocent Victim e Montego, naturalmente.

Quali storie vuoi raccontare? Quali non ti interessano affatto?
Mi interessa tutto lo scibile ingabbiabile in una vignetta e in una sequenza di vignette. Anche come sfida. Non credo che proverei affatto coinvolgimento in una storia di politica contemporanea.
Ho letto in un’intervista apparsa su Stanza101 che dovendo azzerare tutto nel fumetto, ripartiresti da "tre capolavori forse ignorati: Poema a fumetti di Dino Buzzati, Pinky di Massimo Mattioli e K di Giuseppe Ferrandino". Devo dire che questa tua terna, interessantissima, mi ha molto colpito, potresti motivarla?
Tutte e tre le opere hanno l’atteggiamento che mi piacerebbe avessero il fumetto italiano e i suoi autori.

Poema a fumetti è l’unica incursione degna di nota di uno scrittore di prosa nella scrittura di fumetti, in questo caso perfino disegno. Come in molte sue opere, Buzzati si avvicina al mezzo quasi per gioco, come farebbe un bambino, e così nasce divertimento, passione per quello che si sta raccontando e sperimentazione. Le tre cose indispensabili per creare una storia e le tre cose che usa un bambino per giocare, che disegna il cielo rosso semplicemente perché lui vuole così. "L’arte è gioco", come dice Kochalka e da questo punto di vista Buzzati e tutta la letteratura/pittura per ragazzi sono per me un punto di riferimento inesauribile.

Pubblicata sul numero 9 di Nero della Granata Press, K è la storia di tutte le storie. Un grande eroe del nero italiano, ora decaduto, ricorda le vicende che lo hanno portato a diventare quello che è stato. Ma a mettere in moto quel motore non furono gli eventi che racconta, ma questi tirarono fuori il nero della sua anima. Sorvolando sui disegni di Luca "Dio in Terra" Vannini, Peppe Ferrandino è il mio massimo punto di riferimento come scrittore di fumetti e K è tutto quello che vorrei cercare di fare. Avventura, introspezione, classicismo.

Pinky quando ero bambino disturbava la mia fantasia. Storie spezzate partite spesso da pretesti metafisici e surreali. Intuizioni geniali, montaggi e costruzioni della tavola sperimentali a uso e consumo di giovani menti. Anche per Mattioli e anche per i suoi capolavori della violenza come Joe Galaxy e Squeak The Mouse vale il discorso di Buzzati del "divertimento, passione e sperimentazione". Pinky è il nostro Cerebus e non ce ne siamo mai accorti. Pinky è psichedelia a fumetti e Mattioli l’ultimo genio della pop art.

Qual è il tuo rapporto con chi disegna le tue storie? Che grado di interazione hai con il disegnatore? Provi ansia nell’attesa di vedere finalmente i disegni o prevale un sentimento di "vediamo un po’" come è la sua interpretazione grafica? Io credo che per la parte grafica il disegnatore sia il padrone, questo però nel rispetto della storia che si racconta "insieme": parole, e quindi sceneggiatore, e immagini … il fumetto è un medium ibrido, o no?
Chi disegna le mie storie è la persona più importante della mia esperienza professionale. E una persona rara. Nel senso che è più facile trovare la donna della propria vita che un disegnatore, perché non solo deve essere qualcuno che condivida psicologicamente e affettivamente lo scrittore e la storia, ma anche qualcuno che sappia disegnare e questo restringe infinitamente il campo.

Un disegnatore ha enorme influenza sulla riuscita di una storia, perché una sceneggiatura di fumetti non può esistere a sé stante, mentre non è così per una serie di vignette disegnate benissimo ma senza trama. Da questo secondo caso infatti è nato il 90% del fumetto francese attuale e del fumetto d’autore degli anni ’80. Il disegnatore incapace può modificare le indicazioni dello sceneggiatore per valorizzare al meglio il proprio disegno, ma rendendo meno efficace la storia.

Io personalmente ho la voglia e l’esigenza di portare chi disegna nei luoghi dove ambientare le storie, raccontare la trama, procurare molta documentazione e, come nel caso di Carmine, andare a vederci qualche mostra insieme, mangiare, bere, andare al cinema, leggere fumetti, nottetempo andare a rompere i vetri delle scuole di fumetti, conoscere la sua famiglia, il luogo in cui vive, quello che vuole, perché lo vuole, cosa ha voluto, cosa vogliamo fare insieme. Posso sostenere tranquillamente che il disegnatore di una mia storia, quando arriva a mettere la matita sul foglio per la prima volta, mi conosce molto bene e già conosce ogni dettaglio di quello che sta per realizzare e, di conseguenza, quello a cui va incontro.

Questo non mi ha comunque evitato in passato di fare brutte esperienze e la troppa disponibilità è stata trasformata in occasione per approfittarsi e sfruttare il pollo, è questo infatti il primo pericolo a cui si va incontro instaurando questo tipo di relazione. Ma con le brutte esperienze sono diventato molto selettivo e ho imparato che non è importante la storia che si realizza, ma le persone con cui si lavora, parafrasando John Cassavetes.

Una curiosità, ho letto che hai realizzato una sceneggiatura per Martin Mystère, è vero? Di cosa parla? Come è stato lavorare per Bonelli?
Per Martin Mystère ho collaborato alla stesura di un soggetto e poi ho scritto una storia completamente mia, in uscita nel 2002. La differenza rispetto ai lavori che sto facendo ora è stata il fatto di doversi rapportare a dei personaggi con i loro caratteri e i loro schemi che devono essere rispettati completamente e il non avere una collaborazione diretta col disegnatore che io invece, vedi domanda precedente, amo portarmi a letto.

È stata un’esperienza fondamentale perché la rigidità degli schemi mi ha dato la disciplina del lavoro, la lunghezza del formato mi ha permesso di raccontare molti caratteri, situazioni e ambientazioni e ho lavorato su dei personaggi che popolavano il mio immaginario quando ero un po’ più ragazzo, cosa che capita di fare raramente.

Montego allarga i suoi orizzonti, inserendo tra le sue uscite più recenti due proposte veramente importanti: Luca Vannini con il suo Tu che m’hai preso il cuor e la ristampa riveduta e corretta in cartonato di Altai & Jonson delle superstar italiche Sclavi & Cavazzano. Dove vuole arrivare questa banda di pirati d’assalto? Quali saranno le prossime mosse? E mi auguro solo che le avventure di Giulio Maraviglia continuino per anni ;-)
Ti ringrazio, lo spero anch’io. Giulio Maraviglia proseguirà e nel terzo numero, in uscita a Novembre, si accenna già alla prossima miniserie, o meglio i numeri 4, 5 e 6, attualmente in realizzazione. Io e Carmine abbiamo in mente grandi cose e tutti i nostri sforzi sono rivolti a questo personaggio in cui crediamo sempre di più e le storie che abbiamo in serbo le troviamo sempre migliori delle precedenti.

Per quanto riguarda Montego, proseguirà il suo lavoro di unica casa editrice italiana di autori italiani a colori e senza i limiti creativi dei personaggi seriali. Sclavi, Cavazzano e Vannini si inseriscono perfettamente in questo progetto senza snaturarlo, ma portando i loro anni di esperienza che sono superiori a quelli degli autori che fino a oggi avevano lavorato per il Veliero. In particolare Vannini è tornato al lavoro e sta preparando cose davvero grandi. Mauro Uzzeo e Marco Marini, già all’opera su Velo di Maya, stanno ultimando un progetto che li ha coinvolti per due anni, mentre sempre dalla fervida mente di Uzzeo uscirà per Gennaio un volume con ai pennelli una nuova, sconvolgente scoperta di Montego che sicuramente farà parlare di sé e del perché in tutti questi anni nessuno gli abbia mai pubblicato un solo disegno. Carmine di Giandomenico sta lavorando anche a un progetto "solista" e più sotto c’è un magma di produzioni, ancora non ufficializzate, che si sta muovendo… un mare di tesori che aspettano solo di essere scoperti… chi vivrà vedrà!

Che ne pensi del fumetto sul web, inteso sia come critica che come fumetti veri e propri? Io credo che sul web ci sia oggi un forte fermento che forse non porterà a nulla di "commerciabile" ma che mostra la straordinaria vitalità di un medium ancora inesplorato e di una passione tutt’altro che defunta…
Credo che il fumetto sul web sia composto unicamente dai veri appassionati, dallo zoccolo duro di questo medium, giornalisti e fruitori. Purtroppo questo numero di persone, pur essendo le più importanti dell’editoria, non è necessario a far sviluppare economicamente il mercato, né a livello economico quindi, ma neppure a livello pubblicitario. C’è giro economico solo quando un prodotto arriva a persone che non ne fanno comunemente uso, quindi i nuovi fruitori, vedi il caso "Dylan Dog" che nei primi anni ‘90 arrivò a simili tirature non perché tutti i lettori di fumetti lo comprarono, ma perché finì nelle mani di chi il fumetto non sapeva neanche cosa fosse e, questi, erano il maggior numero e questi, ahinòi, erano la moda. Credo che il web possa aiutare un po’ in ciò, far arrivare il fumetto sugli schermi di chi non lo conosce, ma comunque credo sempre sia un piccolo numero di persone.
La cosa più positiva è che il web sarà sempre libero e difficilmente, come invece per la carta stampata, un paio di editori riusciranno ad accaparrarsi i magazine di informazione e controllarli, perché tanti, perché svincolati dagli editori e perché, come dice Warren Ellis: "Sia io, sia la Microsoft possiamo avere un sito web, e non è che sia più difficile accedere all’uno o all’altro. Questo vuol dire, ah ah, che sono sullo stesso livello di quel papero bastardo. In rete si tratta di me contro lui, senza che nessuno dei due abbia dei grandi vantaggi nei confronti dell’altro". E questo è anche il motivo per cui la New Economy non esiste. Ma è un altro discorso.
Progetti futuri?
Oltre al già citato Giulio Maraviglia, io e Carmine stiamo preparando un romanzo a fumetti di cui penso/spero sentiremo parlare presto. Per quanto mi riguarda ho anche un altro paio di cose nel cassetto, ma non posso anticiparle finché le persone coinvolte non danno l’ok.

Immagina d’essere a capo di una grossa struttura editoriale e volessi rilanciare il fumetto, quale sarebbe la tua prima mossa?
Lancerei due serie mensili italiane nuove puntandole sui tre canali distributivi - edicola, libreria di fumetti e libreria generalista - quindi con un formato editoriale di conseguenza. Punterei fondamentalmente sulla formazione dello staff di autori che sarebbero quelli che io ritengo il futuro del fumetto in Italia e che dovrebbero percorrere strade artistiche differenti da quelle battute finora, soprattutto in edicola. Già alla partenza dei due progetti, focalizzerei tutti gli sforzi organizzativi per creare accordi di coproduzione con editori esteri che mirerebbero principalmente alla suddivisione mensile delle spese distributive e di stampa, andando una sola volta in tipografia per tre nazioni diverse con notevole abbattimento dei costi di realizzazione.

In conclusione: può un fumetto cambiarti la vita? A te quale fumetto l’ha fatto?
Nel mio caso sarebbe più giusto chiedere: "può una vita cambiarti il fumetto?" Nel senso che il giornalino di Alessandro Bilotta ogni tanto è stato influenzato dalla mia vita. Non so se ciò possa addirittura portare al cambiamento, bisognerebbe essere predisposti alla pazzia.

Ora domando scusa, ma mi devo congedare. Ho visto il segnale e devo andare nella caverna a cambiarmi.


[intervista pubblicata originariamente su Ultrazine.org nell'ottobre 2001]

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