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venerdì 21 dicembre 2012

Glyn Dillon: ritorno al Fumetto

Qualche tempo fa avevo parlato di The Nao of Brown, l'ottimo graphic novel di Glyn Dillon (edito da SelfMadeHero) che segna il ritorno al Fumetto di questo straordinario talento made in UK dopo anni d'assenza dalle scene.
Proprio in questi giorni, Conversazioni sul Fumetto ha annunciato che Bao pubblicherà, il prossimo anno, l'edizione italiana di questo splendido lavoro. Siete avvisati: non perdetevelo!

Considerato che le coincidenze non esistono, ecco che, proprio in questi giorni, lavoravo, con colpevole ritardo, alla traduzione di un ottimo articolo-intervista a Glyn Dillon firmato Paul Gravett (pubblicato il 30 Agosto scorso sul suo sito), tra i massimi esperti mondiali di Fumetto.

Un ringraziamento speciale a Gravett per il permesso accordatomi per la traduzione e la pubblicazione su questo blog. L'articolo originale può essere letto sul sito di Gravett: QUI.
Glyn Dillon: The Nao of Brown
di Paul Gravett

Un po’ di fantasia può essere una cosa pericolosa. Che cosa accadrebbe se spezzassi il collo al tassista? E se piantassi una penna sulla giugulare dell’istruttore di meditazione? Se falciassi con la moto un ragazzino? Oppure, se aprissi il portellone di sicurezza su un aereo lasciando che tutti i passeggeri vengano risucchiati verso la morte?
Nao (pronunciato come “Now”, “ora, adesso” in Italiano) è un “Hafu”', la figlia di una madre inglese e di un assente padre giapponese, e… ha un segreto: idee violente spuntano improvvisamente nella sua mente. Lei stessa confessa: "Ho pensieri terribili… che mi colpiscono… in testa come un martello, cazzo." Per proteggere se stessa e gli altri, dal suo Disturbo Ossessivo-Compulsivo Puro (POCD), Nao si nasconde dietro rituali come ripetere il mantra "Mamma mi ama" o chiudere a chiave il cassetto delle posate. Ci prova anche con la meditazione, anche se è sempre molto dura nel giudicare se stessa mentre idealizza i suoi insegnanti e compagni di studio come persone completamente buone.
Abbagliante e ardito “graphic novel” di oltre 200 pagine, The Nao di Brown segna il ritorno al fumetto di Glyn Dillon dopo 15 anni trascorsi, soprattutto, a realizzare storyboard e concept design, e a lottare per portare sullo schermo progetti per il cinema e proposte per la TV. Questo è anche il suo primo lavoro a fumetti come autore completo. Quello che era iniziato nel 2008 come un’idea da realizzare nel tempo libero si è trasformato nell’ossessione di un anno, riempiendo quasi ogni ora di veglia e richiedendo uno sforzo così intenso che Dillon è finito in ospedale due settimane dopo il completamento del libro.
Dillon non soffre di DOC, ma sua moglie ne ha sofferto da bambina e nella tarda adolescenza. "I rituali mentali che usava per cercare di contrastare i suoi pensieri negativi erano molto simili a quelli di Nao. Mia moglie è stata una formidabile fonte di ascolto e confronto per comprendere un qualcosa che è molto difficile da afferrare. Volevo fare un libro per chi soffre di DOC e non ha bisogno che gli si spieghi che cosa sia."
Per il lettore, così come per Nao stessa, un’idea morbosa può nascere dal nulla, trasmessa da un salto netto tra una vignetta e la successiva, dalla normalità all’incubo, a volte girando pagina, altre volte segnalata da un indizio grafico, come quando, ad esempio, il colore rosso ricopre Nao e poi diventa tutto bianco quando lei letteralmente perde contatto con la realtà. "I suoi vestiti, il viso, i capelli, tutto diventa incolore, per dare quella sensazione che lei non c’è davvero più, che si è ritirata in se stessa."
L’Arte offre qualche conforto a Nao, che si tratti di qualcosa legato alla cultura pop giapponese o le sue stesse illustrazioni. Tutto cambia quando incontra un massiccio e barbuto tecnico riparatore di lavatrici al Peoploids, il negozio di giocattoli di tendenza presso Soho dove Nao lavora. Gregory diventa la sua nuova ossessione, perché assomiglia al personaggio preferito di Nao, The Nothing (il Nulla) da Ichi, il manga e l’anime inventato Dillon. Tra loro si sviluppa uno strano legame, scosso da tensioni poiché entrambi nascondono dei segreti.
Parallelamente a questa trama principale, resa con un segno maggiormente libero e acquerellato, Dillon intreccia una allegorica storia fantasy allegorica, resa con un’inchiostrazione netta e colori piatti dal suo fittizio alter ego artistico, Gil Ichiyama, un altro “Hafu”, metà Moebius, metà Hayao Miyazaki. Usando questi due stili, Charles & Maureen, la storia breve realizzata per Art Review (QUI), offre un altro intrigante sguardo ai salti sinaptici che la mente iperattiva di Nao è in grado di fare.

Ed eccoci all’intervista che Glyn Dillon ha gentilmente concesso di accordarmi, in cui spero gli eventuali spoiler siano ridotti al minimo.
Paul Gravett: Perché il Giappone? So che questa è una domanda piuttosto generale ma in questo libro ci sono moltissimi elementi giapponesi…
Glyn Dillon: Molto semplicemente Nao, il nome della protagonista ... Un mio amico mi ha presentato la sua nuova ragazza giapponese, si chiamava Nao (pronuncia come “now; in Italiano, “ora”) e ho pensato che era un nome splendido, un gran bel gioco di parole, un ottimo nome per un personaggio.
Io amo il Giappone, qualche tempo fa ci sono stato con mia moglie, quando lei stava lavorando lì, ci sono sempre voluto andare. L’ho trovato affascinante e sono un grande fan dell’Arte e del design giapponese. E poi, dopo aver iniziato a scrivere il libro mi sono immerso nella lettura di qualche manga, una cosa che avevo in mente di fare da tempo. Avevo letto Akira e Appleseed nei primi anni Novanta, ma sapevo poco altro sul fumetto giapponese. L'artista Tonci Zonjic mi ha passato una lista di titoli e piano piano li ho letti: tutti degli ottimi lavori.

Nao è un “Hafu” : hai pensato di parlare di più del padre giapponese o di farlo apparire di più nella storia?
È soprattutto un padre assente e credo che la dinamica che Nao ha con lui, in qualche modo, spieghi le sue difficoltà nelle relazioni interpersonali. Inoltre non essendo io giapponese, ho voluto che Nao si sentisse più inglese che giapponese, così sarei stato capace di comprendere e rappresentare il suo personaggio con maggiore credibilità ... ovviamente avrebbe avuto quest’altra metà di lei con cui lottare nel tentativo di conoscerla… e come me, lei è molto attratta dall'estetica giapponese.

Quali ricerche hai fatto sul tipo di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) di cui Nao soffre?
Ho letto tre libri sull'argomento, ho visto tutti i film che ho trovato che parlavano in qualche modo di DOC (non molti). Ci sono un sacco di validi forum su internet e sono andato ad un incontro di persone e delle loro famiglie che soffrono o hanno sofferto di DOC. E ho anche  E ho anche scoperto lo straordinaria artista/scrittore Justin Green [autore, nel 1972, di Binky Brown Meets the Holy Virgin Mary].

Hai avuto dei legami con qualcuno affetto da questo disturbo?
Mia moglie ne ha sofferto da bambina e poi in tarda adolescenza. Non le stesse ossessioni del personaggio di Nao, ma i rituali mentali che usava per cercare di contrastare i suoi pensieri negativi erano molto simili a quelli di Nao. Mia moglie è stata una formidabile fonte di ascolto e confronto per comprendere un qualcosa che è molto difficile da afferrare. A quanto pare, una persona su cento soffre di un qualche tipo di DOC, ma questa cifra potrebbe essere più elevata, perché molti malati non lo sanno oppure non sono disposti ad ammetterlo.

Perché hai deciso di non spiegare in modo troppo esplicito il tipo di DOC di cui soffre Nao?
Nao soffre di Disturbo Ossessivo-Compulsivo Puro ed è comune per i malati essere molto reticenti a riguardo, credo soprattutto perché si ha paura e vergogna. E, naturalmente, visto che non hanno degli atteggiamenti ossessivi visibili (come il lavarsi le mani, la mania dell’ordine o di contare, ecc) è molto più facile tenerli nascosti. Quindi, fin dall'inizio ho voluto che Nao rivelasse il meno possibile, anche se questo avrebbe potuto causare che il lettore medio non capisse subito quello che stava succedendo nella storia. Nao è in terapia, fai i suoi "compiti a casa"... ma non volevo comunque svelare troppo. Non volevo che il libro fosse tutto incentrato sul DOC. Uno dei film che ho visto per documentarmi, Filthy Dirty Love interpretato da Michael Sheen e la splendida Shirley Henderson, ha fatto un ottimo lavoro nello spiegare cosa sia il DOC e i suoi effetti sui malati - ma ha anche fatto capire non volevo fare un libro analogo ossia che spiegasse il DOC. Volevo fare un libro per chi soffre di DOC e non ha bisogno che gli si spieghi che cosa sia. 
Pensi che il tuo libro possa essere d’aiuto per le persone che soffrono di DOC o per le persone che li curano/assistono?
Sarebbe bellissimo se fosse d’aiuto o desse un qualsiasi tipo di conforto a qualche malato, o ad un suo familiare o a chi assiste una persona affetta da DOC. Era di certo una mia speranza quando ho iniziato a lavorare al fumetto.

Mi piace il fatto che non avverti il lettore quando Nao ha delle fantasie morbose, nessun bordo traballante delle vignette o cambiamento dello stile di disegno. Avviene senza stacchi e all’improvviso in modo analogo a quello che capita a lei.  Era questa la tua strategia per svelare al lettore quelle improvvise idee morbose?
C'è una frase quando Nao sta spiegando a Gregory come ci si sente... qualcosa del tipo… "semplicemente mi spuntano in testa, cazzo." Per questo dovevano saltar fuori dal nulla, a volte senza alcun preavviso, spesso girando pagina se l’impaginazione lo consentiva. Altre volte ci può essere qualche indicazione di una sensazione di disagio, appena prima.

Ho notato che c'è un momento in cui lei diventa tutta rossa come un campanello d'allarme, e poi l'incubo che segue, i suoi vestiti diventano bianchi.
Non solo il suo vestito, ma il suo viso, i capelli, tutto diventa incolore. È il mio tentativo di dare la sensazione che lei non è davvero lì, lei non è più con Gregory in quel momento: si è ritirata in se stessa (e nel bagno) per cercare di restare “scollegata”.

Il rosso rimanda al sangue e alla perdita di controllo… un po’, forse, come in A Venezia... un dicembre rosso shocking (titolo originale, Don’t Look Now) di Nic Roeg?
Nicolas Roeg è uno dei miei registi preferiti. 
Che cosa si nasconde dietro la scelta dei due approcci molto diversi ma che corrono in parallelo, sia dal punto di vista grafico che narrativo, nel volume: il segno molto “umano”, presumibilmente reso a matita e poi acquerellato (magari con un po’ di Photoshop per rinforzare le linee?) per la vita e i pensieri di Nao, e invece i contorni netti, le linee precise e i colori piatti realizzati digitalmente per l’allegorica favola di Pictor? Che sentimenti contrastanti volevi trasmettere? Mi è piaciuto il modo in cui le due storie convergono a pagina 152, il punto più basso per Nao, che vede se stessa come un mostro, con la testa che è per metà albero e per metà umana, con le fattezze di Pictor.
Fondamentalmente, la storia Pictor doveva sembrare realizzata da un disegnatore diverso, anche lui un “hafu”, metà francese e metà giapponese: il “fittizio” Gil Ichiyama, mangaka e regista di anime. Ichiyama è stato ispirato dai miei due artisti preferiti, Jean Giraud (Moebius) e Hayao Miyazaki. Gil Ichiyama era il mo tentativo di “unirli” insieme e di imitare, in qualche modo, il loro lavoro. Inoltre volevo fare la maggior parte del libro usando uno stile “più libero” a cui ero abituato a quello dopo 15 anni a fare storyboard. Quando facevo professionalmente non mi sono mai sentito a mio agio con il mio stile d’inchiostrazione, mi è sempre sembrato che la mia inchiostrazione inaridisse la vitalità del disegno originale. Ora, con l'aiuto di Photoshop non ho più bisogno di inchiostrare e mi sento davvero meglio per questa libertà. Spero che in questo modo il mio segno mantenga un po’ di spontaneità e freschezza.

Ho appena letto sul tuo blog il post sulla meditazione: molto interessante. Mi chiedo come hai capito che ti era d’aiuto nella creazione di The Nao di Brown? E come abbia influito sulla storia e dei personaggi? Certamente è d’aiuto per Nao, piuttosto che utilizzare farmaci o altre cure?
Da tempo ero interessato alla meditazione, ne avevo sempre letto ma non ero mai arrivato al punto di praticarla. Alla fine sono andato in un centro buddista e ho fatto un corso. Il tempo che ho passato lì ha ispirato molti momenti della storia e alcuni dei personaggi. La mia pratica della meditazione è variata mentre lavoravo al libro e verso la fine, negli ultimi sei mesi, ho smesso del tutto: non c’era tempo. Sono appena tornare a una volta al giorno per 15 minuti ora.

Pensi che i fumetti siano troppo serrati e necessitino di un lasso d’attenzione breve per essere mediativi? O per essere strumenti di meditazione? Forse si potrebbe meditare concentrando la mente su un disegno di una specifica sequenza di Moebius, per esempio?
Su questa questione credo dovremo riparlarne. Come artista di sicuro guardo e riguardo certi autori e certe opere e rimiro pagine e pagine, ma non sono sicuro che questo sia il comportamento tipico di un lettore che legger un fumetto. Il “dato certo”di cui ho sentito parlare in giro molte volte è che il lettore medio spenderà un solo secondo a guardare una singola vignetta. Se dovessi meditare su questo fatto troppo a lungo potrebbe diventare una cosa piuttosto deprimente.

Cosa si nasconde dietro il boom dei toy o degli oggetti di design (ho riconosciuto il negozio Playlounge di Londra)? Sono simili ai giapponesi yokai? Pensi che il loro fascino sia essere dei talismani, dei famigli, dei tulpa oppure sono semplicemente degli oggetti da collezione di moda?
Penso che la loro caratteristica migliore è che possono essere cose diverse per persone diverse, ma mi piace l'idea che alcuni avere un senso al di là della loro apparenza. Mi piace che li abbia paragonati agli yokai o ai tulpa. E la somiglianza tra loro e le popolari riproduzioni a buon mercato di icone religiose è un altro aspetto che mi interessa. Sul mio scaffale ho un piccolo Ganesh seduto accanto ad un giocattolo della Amos e stanno davvero bene insieme. 
Il problema con l'alcol di Gregory e la rivelazione successiva della sua “vergogna repressa”, fanno crescere l’empatia nei suoi confronti, ma chiamano anche in causa la posizione di vantaggio che un maestro ha sull’allievo. Eri intenzionato a mostrare la vulnerabilità di chi è alla ricerca d’illuminazione spirituale e la realtà che non ci si può fidare di qualsiasi scuola o maestro?
Sì, per Nao il centro buddista rimane un santuario, nel suo modo di pensare in termini di “bianco e nero” vede tutti quelli del centro come “buoni” o per lo meno come delle persone che cercano d’essere buone e questo è un aspetto molto importante per lei. Anche se la meditazione è una buona cosa per chi soffre di DOC, la frequentazione del centro è parte del suo DOC: Nao è alla ricerca di rassicurazione, è una delle sue compulsioni. Suppongo che non volessi toglierlo a Nao ma avevo bisogno di mostrare che, ovviamente, le cose non sono mai così semplici, quindi sì, era un elemento sensato per il passato di Gregory. In qualsiasi luogo in cui ci sono giochi di potere, non importa di quale scala, vi è sempre la possibilità di abusi.

Le ultime parole di Gregory, dopo la discussione con Nao, sono un po’ criptiche: “Ea se vidit”. Il mio latino arrugginito mi è stato d’aiuto: significa “Lei vide se stessa”, giusto? Che cosa c’è dietro questa frase?
Beh, so quello che penso Gregory volesse dire… ma preferisco che il lettore dia la propria versione, perché ci potrebbe essere più di una interpretazione. Ma la tua traduzione è sicuramente corretta. Non so, potrei spiegarlo, sono tentato, ma penso che forse alcune cose è meglio che sia il lettore a deciderle/interpretarle.

Che cosa ti ha spinto a tornare al Fumetto? Che cosa ti piace - e che cosa non ti piace – del fare fumetti rispetto alla tua esperienza di illustratore e storyboarder per cinema/tv e pubblicità?
Ho iniziato a fare storyboard perché avevo ambizioni di regia, cosa che un po’ ho fatto. Ma come per molte cose che ci si sforza di realizzare, una volta ottenute, spesso ci si rende conto che non erano come ci si aspettava. Ho provato moltissima frustrazione cercando di realizzare dei progetti per il cinema o per la TV, anche quando ho collaborato con un talento riconosciuto, per il suo appeal commerciale, come Jamie Hewlett. Se si vuole fare un fumetto non hai bisogno di una grande squadra di persone e di un mucchio di soldi, basta un’idea, una matita, della carta e un po’ di tempo. Così è stata questa semplicità che mi ha fatto tornare al fumetto e ho iniziato a lavorare a Nao senza avere un contratto con un editore, era solo una cosa che volevo fare nel mio tempo libero.

La cosa buona del fare storyboard era che si trattava di un vero e proprio “centro d’addestramento” per il disegno. Ammetto d’aver disegnato molto di più di quanto avrei fatto se avessi continuato con i fumetti. E la cosa davvero bella, la cosa che mi ha liberato da tutto, è che quasi nessuno ha visto i miei disegni, giusto il regista, il direttore della fotografia, alcuni membri della troupe, e poi venivano cestinati. Ero solo un ingranaggio nella grande macchina del cinema. In questo modo non c’era alcun problema di ego o la preoccupazione d’essere all’altezza, ero concentrato sul disegno e sullo storytelling senza la preoccupazione di venire giudicato. Penso che sia stato a causa di questa mancanza di ego che ho sviluppato uno “stile” di cui sono, per la prima volta in assoluto, contento. Quindi sono molto consapevole del fatto che tornare a fare fumetti è un “gioco” diverso, soprattutto non avendo mai scritto niente prima... quindi sto cercando di fare del mio meglio e di godermi l’esperienza. Ormai è fatta. 
Hai scoperto dei rituali che funzionano? E, prego, sei riuscito a far sì che fosse finanziariamente sostenibile, dovendo dire “no” ad altre offerte economicamente più importanti?
Lavorare per il cinema, per la TV e per la pubblicità garantisce dei compensi che il fumetto purtroppo non può garantire. Ho dovuto lavorare al libro e al contempo fare storyboard, tranne gli ultimi quattro mesi in cui ho lavorato solo al fumetto. Non ho iniziato Nao per diventare ricco. Anche se voglio dire che la mai collaborazione con SelfMadeHero è stata ottima. Quando ho firmato con loro non erano ancora l’importante editore indipendente che sono diventati nel corso degli ultimi anni, per cui credo d’essere stato davvero fortunato. La casa editrice non è composta da molte persone ma compensano con la loro passione. Mi sono stati vicino durante la lavorazione e mi hanno coinvolto in tutti gli aspetti della produzione, in modo che il libro, come oggetto, è davvero come volevo che fosse.

Quando hai iniziato e quando hai completare il libro?
L'idea è nata nel 2008, ma ho firmato con SMH dopo aver fatto le prime undici tavole e una o due sinossi. Ho firmato il contratto circa a maggio 2010. E ho finito il 7 di Maggio di quest’anno. Ma in quel periodo ho comunque continuato a fare storyboard.

Hai lavorato al fumetto consecutivamente, pagina per pagina, o senza seguire un ordine? Hai scritto una sceneggiatura dettagliata prima di iniziare a disegnarlo? Quali sono i pro e i contro del tuo metodo?
Inizialmente l’ho scritto come una sceneggiatura per il cinema, in parte perché era quello a cui ero abituato per fare gli storyboard partendo da uno script di terzi, in parte perché avevo Final Draft con cui avevo scritto una sceneggiatura per il cinema (ancora ferma lì). Ma anche perché volevo avere la prima bozza il più rapidamente possibile. Non mi considero uno sceneggiatore, per cui non ero per nulla sicuro e quella prima bozza mi era costata molta fatica, mi sembrava una cosa troppo grande e difficile da gestire. Ma come dicono tutti, una volta fatta la prima stesura, il lavoro diventa molto più facile. Dopo aver firmato per SMH credo aver avuto tre mesi per consegnare la sceneggiatura. Ho fatto circa sei stesure, la settima è quella relativa alle modifiche che ho fatto nella fase di lettering sui disegni finali. Essere in grado di modificare e spostare i balloon in vignette diverse è una libertà a cui non mi piacerebbe rinunciare facilmente.

Credo che per un’opera lunga come Nao, con una scadenza prefissata, scrivere la sceneggiatura sia stato il metodo migliore, ma su progetti più brevi penso abbia più senso una scrittura più “grafica”, usando i thumbnail e poi finalizzarli, fare i dialoghi, ecc. Ho scelto di disegnare le tavole in ordine, ho voluto vedere di persona come le cose possano cambiare in un periodo di tempo così lungo. Così ho disegnato tutto in sequenza poi, una volta finito, sono tornato indietro e dipinto tutto, ancora in ordine, tavola dopo tavola. Infine, sono tornato all’inizio e ho messo i balloon e le didascalie. Il lettering era stato fatto in fase di layout ma c’era bisogno di editing e di spostare qualcosa di qua e là in quell’ultimo passaggio. Dal punto di vista del disegno, sono tornato indietro e ho cambiato poche cose, al massimo cinque vignette che non riuscivo più a guardare. Ma nel complesso è stato disegnato nello stesso ordine in cui il lettore lo leggerà. 
C'è poi la grande sfida della vita di ritagliarsi il tempo per creare in solitaria un’opera simile e al contempo essere presente come compagno, come padre e come persona. Come ci sei riuscito?
Beh, negli ultimi 5-6 mesi ho lavorato sette giorni su sette, dalle nove del mattino alle tre di notte, fermandomi solo per mangiare e mettere a letto i miei figli. Prima, ci lavoravo sei giorni a settimana, ma non tutte le sere. Per cui, di certo, si son fatti dei sacrifici: mia moglie e la famiglia sono stati molto, molto pazienti e mi hanno sostenuto. È stato bello poter passare di nuovo i fine settimana insieme a loro. Poi, circa due settimane dopo aver terminato il libro, sono finito in ospedale per cinque giorni per un problema alla colonna vertebrale e un senso di stanchezza di cui tutti erano un po’ preoccupati, a cui subito dopo è seguito un brutto ascesso. Quindi penso di non sbagliare se dico d'aver richiesto molto al mio fisico per completare il fumetto e poi ho dovuto pagarne le conseguenze. Sarò un po’ più attento in futuro.

Tutti i disegni © Glyn Dillon
Un ringraziamento ancora a Paul Gravett.

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