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mercoledì 16 dicembre 2020

Ecco, l'eroe ha partorito una calzamaglia

A seguire, un interessante articolo, firmato dal sempre acuto Giuseppe Pili, apparso sulla solita Ultrazine nel gennaio 2002: un ripescaggio che, nonostante il tempo che passa, mantiene una certa lucidità di analisi e visione. 
Buona lettura!
Ecco, l'eroe ha partorito una calzamaglia
di Giuseppe Pili
 
Fine anni 30. Nasce il super-eroe classico dei fumetti statunitensi, quello in calzamaglia - per intenderci - di Joe Simon, Bill Everett, Jack Kirby. Le storie sono formulate sullo schema del "Cosa succederebbe se…" un essere forte come l'acciaio si precipitasse in soccorso di un treno deragliato, sventasse una rapina etc., con mille variazioni sul tema. L'infrazione delle comuni leggi fisiche provoca stupore e meraviglia. Nei primi '60 la dimensione fantastica è norma per il lettore, e gli autori prendono ad esplorare gli aspetti psicologici del personaggio. Con Stan Lee emergono i problemi connessi all'anormalità dell'eroe: potere e aberrazioni psichiche e corporee, potere e responsabilità. Vengono alla luce i primi dubbi esistenziali, e nel giro di un decennio (in piena New Age) la generazione dei vari Thomas, Gerber, Wolfman, sposta il terreno dello scontro: i problemi non sono più di natura estrinseca (criminalità, invasioni aliene), ma riguardano i delicati meccanismi della società stessa (il razzismo, la droga, il femminismo). Quindi la fase del ripiegamento. L'eroe non si confronta più con la società civile, ma vive all'interno e per la comunità dei super-esseri, una comunità che si nutre di se stessa e fa costantemente autoanalisi (Claremont). Seconda metà degli anni 80: si assiste all'esplosione di un linguaggio adulto, che abbandona avventura e sentimento per sperimentare il realismo disincantato (Moore) e l'hard-boiled (Miller). L'etica si dissolve in modo definitivo nel cinismo, che presto diventa di maniera. Connessa ad una massiccia strategia di marketing che vede gli editori all'assalto del pubblico più giovane, i '90 propongono la brutale esasperazione del corporeo: l'estetica delle enormi e ipertrofiche masse muscolari. Prevale il dinamismo dell'azione (Liefeld, McFarlane) e il racconto viene relegato in secondo piano a favore dell'impatto visivo.

Sembra si sia giunti al capolinea, e la crisi che agita il settore pare confermarlo: il fumetto super-eroistico sta accusando una forte contrazione d'interesse e le fumetterie sono sommerse da valanghe di albi invenduti. Perché?
La risposta più comune è che gli eroi in calzamaglia sono ridicoli. E le storie di personaggi ridicoli che pretendono di essere drammatiche diventano automaticamente cretine. Per loro non c'è più futuro.
Certo, ognuno sospende l'incredulità in base alla capienza della propria immaginazione, tuttavia mi sembra un giudizio eccessivamente liquidatorio. Al lettore abituale la calzamaglia non provoca disturbi da "scarso realismo", forse perché ne ha compreso la vera natura: è un prerequisito, la password per accedere ad una specifica dimensione narrativa. Non ci fa più caso.
Ma se il lettore abituale riesce ad ammettere che esista un "problema calzamaglia", non ammette che si dubiti del personaggio che la indossa. Il vero problema si pone quando sotto la calzamaglia non c'è niente. Allora - ne conviene anche il lettore più acritico - il fumetto di super-eroi diventa cretino. 
SIMBOLO, PRINCIPIO, MODELLO
Tuttavia la calzamaglia è l'elemento chiave dell'ascesa e del declino del super-eroe. Quell'esplosione di colori, mutande, stivali, mantelli e lettere dell'alfabeto è la forma iconica - immediatamente percepibile - di ciò che rappresenta. La calzamaglia racchiude e sintetizza l'uomo che la indossa. E' il suo carattere e la sua ideologia, è una dichiarazione d'intenti, è il suo proclama. Quando l'uomo normale indossa il suo proclama, egli è automaticamente simbolo.
Il lettore disincantato pare averlo dimenticato, ma tutto all'interno di una vignetta è simbolo. Ogni elemento, reso indispensabile dall'astuta sapienza dello sceneggiatore e del disegnatore, è un concetto trasformato in grafismo. Ai fumetti americani non viene perdonato di utilizzare simboli troppo palesi, troppo schietti, di rendere immediatamente comprensibile ciò che un autore europeo s'affanna a mascherare nel tentativo di lusingare l'ego del lettore "maturo". L'autore europeo gioca di chiaroscuri (il colore è per i bambini), non si cura più di distinguere somaticamente i personaggi, elide passaggi-chiave, occulta l'azione principale tra cento simboli nella stessa vignetta. Se paragoniamo la narrazione ad un racconto orale, è come se il narratore di storie "mature" biascicasse le frasi, omettesse dettagli, tossisse durante passaggi importanti, si dimenticasse di distinguere il soggetto dall'oggetto, abbassasse il tono della voce a livelli non percepibili. Fra i suoi ascoltatori chi non s'annoia rimane spiazzato. E in caso di spiazzamento - si sa - chi non capisce spesso grida al capolavoro. L'autore europeo delega i significati al lettore, interprete della narrazione: alla resa dei conti l'essenza della narrazione è la stessa dei colleghi americani (la struttura della fabula: situazione in equilibrio - rottura dell'equilibrio - ripristino dell'equilibrio), ma con un surplus di fatica da parte del destinatario.

Torniamo all'icona. Quando un personaggio non espone al lettore la propria dichiarazione d'intenti, esso rimane un simbolo ambiguo. E' un significante che può significare tutto e niente, non è modello né principio. Nel terrore di risultare didascalici e didattici come gli americani, gli autori europei non trasmettono significati precisi, non danno lezioni né affermano. Omettendo significati precisi distruggono la caratterizzazione, quindi il personaggio stesso.
Quando narriamo una vicenda con più attori cerchiamo di specificare ai nostri interlocutori chi agisce mediante il suo nome o la sua qualità (il soprannome): "il cinico", "la vamp", "il bruto". Se noi utilizziamo il soprannome, chi ci ascolta afferra al volo l'essenza dell'individuo - il simbolo - e mescola questi principi in una sorta di calderone chimico, in cui le reazioni si attengono a precise regole fissate dai presupposti dell'esperimento e dalle finalità della dimostrazione. Il gusto del nostro interlocutore risiede nel fatto che egli "anticipa" la narrazione facendo reagire gli elementi secondo le leggi della sua chimica: è gratificato quando prevede il risultato, è divertito quando avviene una reazione imprevista ma verosimile. Ma è irritato quando scopre le soluzioni narrative incongrue, ossia le reazioni chimiche gratuite che derivano da mescolanze improbabili.
Se noi utilizziamo il nome e non il soprannome (leggi: quando noi rendiamo ambiguo il soggetto) facciamo sì che l'attore non sia simbolo ma significante polisenso. A quel punto la narrazione perde i connotati di esperimento chimico e diventa un guazzabuglio di elementi in cui il risultato finale è casuale, non previsto né prevedibile. E quando l'arte non dà forma al reale, quando non trasferisce informazioni sul modo in cui le cose avvengono, diventa superflua. Questa operazione artistica può suscitare un bagliore di curiosità, ma nel tempo ci lascia del tutto indifferenti.

Nel fumetto di super-eroi l'ambiguità di senso è ridotta al minimo. I simboli si aggirano per le tavole in tutta la loro nudità e - non abbiamo paura a dirlo - ingenuità. Cosa c'è di più iconico de "La Torcia Umana contro l'Uomo Ghiaccio"? E se i due elementi si scontrano con Tornado? E se interviene Valanga? Fuoco, Acqua, Aria, Terra, questi sono gli elementi con cui il pensiero degli Alchimisti scompone e decodifica il mondo. Imparare a ragionare per simboli è il primo, difficilissimo passo che l'iniziato deve compiere per poter accedere a qualsiasi scuola esoterica. A ognuno trarre le proprie conclusioni sul valore delle cose apparentemente semplici.
Dal punto di vista dell'arte, il rischio è che i simboli nudi diventino cliché logori e consunti, e valanghe di albi seriali ne sono la riprova. Oppure che l'esperimento utilizzi sempre gli stessi principi in una routine meccanica priva di vitalità. Trascendere il "meccanico" è compito dell'artista con la "A" maiuscola, il quale - quando è veramente tale - rivitalizza il principio/simbolo/mito eterno rendendolo ancora una volta attuale. 
VALORI, ETICA, SCISSIONE
Se guardiamo alle origini ci accorgiamo che il super-eroe non era super solamente nei suoi attributi fisici: lo era anche in quanto modello di etica sociale. Garante dei diritti dei più deboli, della legge della comunità, della vita e (discutibilmente) della proprietà.
Il super-eroe aveva smesso d'essere portatore di valori già al termine dei '60, e questo è stato l'inizio della sua fine. I "nevrotici" autori del '68, che hanno vissuto un momento di confusione e disorientamento, hanno scisso l'eroe dalla calzamaglia, l'uomo dal simbolo, il nome dal soprannome, l'individuo dal mito. A loro pareva che la calzamaglia reclamasse un'esistenza indipendente dall'uomo che la indossava. Ma in quelle storie profonde e intense questo era ancora un rapporto drammatico. La scissione ebbe effetti realmente deleteri quando il rapporto tra i due elementi smise di essere dialettico e problematico e diventò cliché, cioè dagli anni 80 in poi.
(Del resto, Watchmen e il Cavaliere Oscuro hanno potuto smembrare un linguaggio perché era ormai ridotto a cliché. Questi capolavori in realtà sono una fase interlocutoria "avulsa" dal filone supereroistico. La calzamaglia qui è un divertimento colto: le storie sono dei "Cosa succederebbe se…" un film di genere venisse interpretato da personaggi in calzamaglia...)

Alla fine degli anni '80 Miller e Moore hanno deflagrato con enorme risonanza, provocando il ripiegamento degli autori seriali su un atteggiamento tipo "quello che c'era da scrivere è stato già scritto". La freddezza, il dubbio, l'indifferenza, il cinismo, il macabro, il grand-guignol dei mille finali proposti dalle storie seguenti (scritte da pessimi cloni) sono riusciti ad intrattenere la nostra mente ma non sono più riusciti a scaldare il nostro cuore.
Al culmine della scissione si è giunti con lo "stile Image" dei '90, che non si curava più di stabilire un rapporto tra uomo e costume. Ormai la calzamaglia andava in giro da sola.
Ma è possibile per un lettore immedesimarsi negli eroi di Liefeld, culturisti decerebrati, senza provare solitudine e angoscia, confusione e inutilità?
Per quanto cerchiamo di apparire adulti, disincantati e cinici, per quanto critichiamo la semplicità e l'ingenuità di certi messaggi, il nostro inconscio cerca nell'arte un'ispirazione e un insegnamento, velato o palese. Quando l'arte smette di fare da modello per essere vuoto simulacro, ci sentiamo persi, alla deriva.
A tutt'oggi, per l'autore di fumetti di super-eroi non si tratta di eliminare i significati a cui i lettori disincantati sembrano refrattari (la tirata moralistica, il culto dei valori comunitari), si tratta di proporre nel modo giusto i valori meno legati ad una cultura particolaristica (nello spazio) o alla moda del momento (nel tempo). Si tratta di trascendere gli interessi nazionalistici e globalizzare i valori umani fondamentali, perché un lettore del futuro possa rispecchiarsi nei sentimenti e nelle azioni di un eroe del presente.
Come sempre, occorre andar oltre l'apparenza e riuscire a percepire l'essenza.
FUTURO O PASSATO REMOTO?
Astro City è un fulgido esempio di narrazione super-eroistica post-Image. Kurt Busiek ci ha mostrato che in realtà attraverso un racconto di super-eroi è possibile parlare di tutto. Naturalmente è fondamentale il modo in cui lo si fa. Fondamentale è il linguaggio utilizzato. Fondamentale è la definizione del contorno sociale in cui si muove il super-eroe e la caratterizzazione dei personaggi secondari. Il racconto può ancora funzionare se si esplora il contrasto tra super-eroe e uomo della strada, tra azione super-eroica e comuni azioni umane, tra l'etica del super-uomo, fallace ma salda, e l'umana fragilità delle nostre scelte. In Busiek, che si ispira al meglio della Silver Age, il rapporto tra eroe e calzamaglia smette d'essere gratuito e torna ad essere problematico. Ritornando problematico per l'autore (e non solo per l'editore) il fumetto di super-eroi smette di tendere oltre ogni limite la sospensione d'incredulità del lettore.
Ciò detto, non sono sicuro che scrivere ottime storie di super-eroi possa risolvere la crisi del settore. Le cause sono tante e complesse. Quello che è certo è che gli eroi mascherati sono sempre esistiti e grande è la fame di modelli a cui i lettori desiderano ispirarsi. Il realismo non è un problema, se si presta attenzione alla sostanza del racconto. Dopo un po' la calzamaglia tende a passare in secondo piano per far emergere il personaggio.

E' un luogo comune dire che dopo Miller e Moore il super-eroe è definitivamente tramontato e che non ci sia più niente da dire a riguardo. Loro hanno descritto l'ipotetica Fine dell'Era dei Super-Eroi. Trattandosi di Fumetto, una dimensione in cui le cui coordinate temporali si dilatano all'infinito, questo termine potrebbe non arrivare mai. Lo stesso Moore con Tom Strong ci ha mostrato che in questo "Grande Frattempo", teso tra una Golden Age e una Final Age puramente ipotetiche, ci sono ancora infinite storie da raccontare. 
 
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