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giovedì 31 dicembre 2020

Alan Moore e... 6 Eroi della Musica

A seguire la traduzione di un articolo apparso nel 2019 sul sito della BBC (qui), in cui vengono indicati sei musicisti che Moore apprezza particolarmente
Le dichiarazioni sono state fatte durante la trasmissione Paperback Writers
Buon ascolto... ehm, buona lettura! :) 
BRIAN ENO

Nel 2017, Moore intervistò Brian Eno per Chain Reaction, trasmissione della BBC Radio 4. “Per la maggior parte del tempo, ero come in adorazione ai suoi piedi. Deve essere stato imbarazzante, pover’uomo!”

“Brian Eno è tra le persone che più ammiro nel mondo del pop specialmente per il suo modo di pensare”, dice Moore. “Si può applicare non soltanto in ambito musicale ma può essere usato in qualsiasi disciplina. Incontrarlo è stato incredibile.”

Moore chiese a Eno se usasse ancora le Strategie Oblique, le carte del mazzo creato insieme a Peter Schmidt contenti una regola o una sfida quotidiana da utilizzare come stimolo per gli artisti in cerca di ispirazione. “Mi rispose di sì, le usa ancora tutti i giorni. Prende una carta e si attiene alle sue istruzioni.”

La carta per quel giorno specifico diceva “Non cambiare nulla”, così si presentò per l’intervista vestito esattamente come il giorno prima. “Poco prima di andare in onda, Eno notò che le mie scarpe erano più pulite delle sue. Per cui si inchinò, tirò fuori un fazzoletto e se le pulì. Io dissi: ‘Siamo in radio…’ Mi guardò e disse: ‘Oh, così non credi che alla radio si possano sentire delle scarpe impolverate?’”

“Fu come se il mio mondo venisse completamente ribaltato. Mi resi conto della mia ingenuità: ovviamente è possibile sentire  in radio le scarpe coperte di polvere, se a dirlo è Brian Eno. È una persona adorabile e uno dei più brillanti musicisti e pensatori del nostro tempo.”
PATTI SMITH

Se Moore rimase colpito dall'incontro con Brian Eno, non fu l'unica occasione. Ebbe un'esperienza simile con la leggendaria Patti Smith che lo invitò al Londra al Meltdown Festival da lei curato, nel 2005.
“Il primo album di Patti Smith (Horses del 1975), la prima volta che lo ascoltai, fu uno shock. Non repulsione, ma qualcosa di simile. A volte quando sei così sorpreso da qualcosa non sai bene se ti piace o meno. E poi improvvisamente capisci che ti piace più di tutto.”

“È una donna straordinaria, una musicista straordinaria e una poetessa formidabile.”
ANNETTE PEACOCK
La compositrice di  Brooklyn è una delle più importanti sperimentatrici viventi, capace di fondere la sua voce con uno dei primi sintetizzatori Moog nel suo rivoluzionario album del 1972, I'm the One, che univa, in modo audace, il blues alla musica elettronica.
 
“Quando uscì... ero molto interessato ai sintetizzatori”, ricorda Moore. “Avevo ascoltato diverse cose e avevo scommesso sull'album di Annette Peacock. È un disco, con quella voce, che semplicemente ti risucchia in un meraviglioso vortice vellutato. Trasmette un'emozione incredibile.”

Moore considera l'opera della Peacock sottovalutata. “Qualsiasi opera d'arte o musicale di valore è come se suggerisse un possibile futuro che non si è realizzato. Se la gente avesse prestato maggior attenzione a I'm the one, la canzone che da il titolo all'album, la musica come sarebbe cambiata? È un esperimento mentale che è davvero interessante ma probabilmente è inutile.”
SYD BARRETT
“Sono un grande fan di Syd Barrett. Era lui l’unico motivo del mio interesse per i Pink Floyd.”

Moore crede che la mitologia costruita intorno a Barrett (visto da alcuni come il “pazzo Syd Barrett” quando della sua vita privata si conosceva assai poco) sia stata esagerata.  “Guardando indietro, con una prospettiva odierna, molto del suo atteggiamento sembra essere soltanto integrità artistica o semplicemente non voler essere commerciale. “

Moore cita l'album del 1970,  The Madcap Laughs, come un brutale ma meraviglioso racconto di un viaggio fuori dalla realtà. “C'è una incredibile sensazione, per l'ascoltatore, forse non tanto per Barrett, di qualcosa che va in pezzi, che scivola nell'incoerenza. È un disco così fragile e splendido.”
SLEAFORD MODS
Un riferimento più contemporaneo. Una volta Moore sbagliò il nome della band pensando che fosse “The Sleep of The Mods.” Dice di essere “un vecchio, via via sempre più fuori dal mondo... Credo che stessi pensando al dipinto di Goya, Il sogno della ragione genera mostri”.

“Sono inclusi qui per mostrare che ho ascoltato anche della musica che è stata prodotta negli ultimi 10 anni. Ma anche perché sono la band moderna che preferisco.”
La sua spiegazione per la vitalità della loro musica è davvero convincente. Moore ammira le esibizioni dell'irriverente duo. “Fanno dei live fantastici: due tizi, uno di loro fa partire la musica, e poi beve una lattina di birra. Elegante, vero? “, così come la loro genuina e autentica provenienza dalla classe operaia. “Ci sono poche voci proletarie in qualsiasi ambito artistico”, dice.

“Mi pare che quando si parla di classe operaia, generalmente da persone della classe media, di solito si utilizzano due soli registri. 'Oh, questa povera gente... non è terribile quello che gli è accaduto? Ovviamente non possiamo farci nulla ma possiamo simpatizzare per loro.' In questo modo vengono visti come vittime. L'altro modo è quello di considerarli come gentaglia e si starebbe meglio senza. Persone che sono 'sgradevoli', 'sconvenienti' o che 'ci porteranno a fondo con loro'. Ovviamente questo non è il modo in cui la classe operaia vede se stessa. Perché come per chiunque, siamo tutti eroi nelle storie che ci raccontiamo.”

“Voci che provengono dal proletariato come quella dei Sleaford Mods sono intelligenti e taglienti come quella di un qualunque accademico che commenta la situazione sociale contemporanea; è il genere di cose di cui prendere nota. Potresti non volerli ascoltare ma dovresti. Dovresti davvero farlo.”
FRANK ZAPPA
Moore è cresciuto durante il “periodo hippie e psichedelico” e pensa che Frank Zappa abbia portato una satira e un disprezzo "indispensabili" verso le procedure e un'acuta analisi sociale.

“Ha fatto sì che fosse tutto amore, pace, fiori e acido da batteria”, scherza. “Oltre ad essere un musicista brillante aveva un'immaginazione incredibilmente divertente. È come se tenesse uno specchio sugli eccessi della cultura e del movimento degli anni '60.”  

La moglie di Moore, la fumettista  Melinda Gebbie, fu in parte uno dei bersagli dell'ira di Zappa.
“Melinda era una delle ragazze di Haight Street nel 1967. Era la tipica ragazza hippie. Amava San Francisco. E pensava che Who Needs the Peace Corps fosse una delle cose più divertenti che avesse mai ascoltato perché era vera al cento per cento.”

La canzone prende di mira la cultura hippie che ormai si è esaurita e commercializzata. Nella canzone, Zappa canta: "First I'll buy some beads / And then perhaps a leather band to go around my head / Some feathers and bells / And a book of Indian lore."

“Al tempo, in Haight Street, stavano aprendo una pizzeria Peace & Love”, ricorda Moore. “Era evidentemente tutto finito.”
 
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mercoledì 23 dicembre 2020

recensioni in 4 parole [90]

Perdersi, ritrovarsi. Illimitata vertigine.
Familiarità, straniamento e curiosità.
Mutanti indagini sulla morte.
Italia chiama America. Noir.
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Abbiamo detto 4 parole su:
Labirinti
di Charles Burns (testi e disegni)
Editore: Coconino
Prezzo: € 20
Anno di pubblicazione: 2020
Per qualche parola in più: QUI (in English)
 
di Alessandro Bilotta (testi), Sergio Ponchione (disegni)
Editore: Panini Comics
Formato: spillato, 96 pagine, colore
Prezzo: gratis (per il Free Comic Book Day Italia; anteprima del volume)
Anno di pubblicazione: 2020
Per qualche parola in più: QUI
  
X-Factor n.1
di Leah Williams (testi), David Baldeon Carnevale (disegni)
Editore: Panini Comics
Formato: spillato, 48 pagine, colore
Prezzo: € 5
Anno di pubblicazione: 2020
Per qualche parola in più: QUI (in English)
 
Il calzolaio del re
di Gigi Simeoni (testi) e Alfredo Orlandi (disegni)
Editore: SBE (collana "Le Storie" n.99)
Formato: brossurato, 112 pagine, b/n
Prezzo: € 4,50
Anno di pubblicazione: 2020
Per qualche parola in più: QUI
 
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mercoledì 16 dicembre 2020

Ecco, l'eroe ha partorito una calzamaglia

A seguire, un interessante articolo, firmato dal sempre acuto Giuseppe Pili, apparso sulla solita Ultrazine nel gennaio 2002: un ripescaggio che, nonostante il tempo che passa, mantiene una certa lucidità di analisi e visione. 
Buona lettura!
Ecco, l'eroe ha partorito una calzamaglia
di Giuseppe Pili
 
Fine anni 30. Nasce il super-eroe classico dei fumetti statunitensi, quello in calzamaglia - per intenderci - di Joe Simon, Bill Everett, Jack Kirby. Le storie sono formulate sullo schema del "Cosa succederebbe se…" un essere forte come l'acciaio si precipitasse in soccorso di un treno deragliato, sventasse una rapina etc., con mille variazioni sul tema. L'infrazione delle comuni leggi fisiche provoca stupore e meraviglia. Nei primi '60 la dimensione fantastica è norma per il lettore, e gli autori prendono ad esplorare gli aspetti psicologici del personaggio. Con Stan Lee emergono i problemi connessi all'anormalità dell'eroe: potere e aberrazioni psichiche e corporee, potere e responsabilità. Vengono alla luce i primi dubbi esistenziali, e nel giro di un decennio (in piena New Age) la generazione dei vari Thomas, Gerber, Wolfman, sposta il terreno dello scontro: i problemi non sono più di natura estrinseca (criminalità, invasioni aliene), ma riguardano i delicati meccanismi della società stessa (il razzismo, la droga, il femminismo). Quindi la fase del ripiegamento. L'eroe non si confronta più con la società civile, ma vive all'interno e per la comunità dei super-esseri, una comunità che si nutre di se stessa e fa costantemente autoanalisi (Claremont). Seconda metà degli anni 80: si assiste all'esplosione di un linguaggio adulto, che abbandona avventura e sentimento per sperimentare il realismo disincantato (Moore) e l'hard-boiled (Miller). L'etica si dissolve in modo definitivo nel cinismo, che presto diventa di maniera. Connessa ad una massiccia strategia di marketing che vede gli editori all'assalto del pubblico più giovane, i '90 propongono la brutale esasperazione del corporeo: l'estetica delle enormi e ipertrofiche masse muscolari. Prevale il dinamismo dell'azione (Liefeld, McFarlane) e il racconto viene relegato in secondo piano a favore dell'impatto visivo.

Sembra si sia giunti al capolinea, e la crisi che agita il settore pare confermarlo: il fumetto super-eroistico sta accusando una forte contrazione d'interesse e le fumetterie sono sommerse da valanghe di albi invenduti. Perché?
La risposta più comune è che gli eroi in calzamaglia sono ridicoli. E le storie di personaggi ridicoli che pretendono di essere drammatiche diventano automaticamente cretine. Per loro non c'è più futuro.
Certo, ognuno sospende l'incredulità in base alla capienza della propria immaginazione, tuttavia mi sembra un giudizio eccessivamente liquidatorio. Al lettore abituale la calzamaglia non provoca disturbi da "scarso realismo", forse perché ne ha compreso la vera natura: è un prerequisito, la password per accedere ad una specifica dimensione narrativa. Non ci fa più caso.
Ma se il lettore abituale riesce ad ammettere che esista un "problema calzamaglia", non ammette che si dubiti del personaggio che la indossa. Il vero problema si pone quando sotto la calzamaglia non c'è niente. Allora - ne conviene anche il lettore più acritico - il fumetto di super-eroi diventa cretino. 
SIMBOLO, PRINCIPIO, MODELLO
Tuttavia la calzamaglia è l'elemento chiave dell'ascesa e del declino del super-eroe. Quell'esplosione di colori, mutande, stivali, mantelli e lettere dell'alfabeto è la forma iconica - immediatamente percepibile - di ciò che rappresenta. La calzamaglia racchiude e sintetizza l'uomo che la indossa. E' il suo carattere e la sua ideologia, è una dichiarazione d'intenti, è il suo proclama. Quando l'uomo normale indossa il suo proclama, egli è automaticamente simbolo.
Il lettore disincantato pare averlo dimenticato, ma tutto all'interno di una vignetta è simbolo. Ogni elemento, reso indispensabile dall'astuta sapienza dello sceneggiatore e del disegnatore, è un concetto trasformato in grafismo. Ai fumetti americani non viene perdonato di utilizzare simboli troppo palesi, troppo schietti, di rendere immediatamente comprensibile ciò che un autore europeo s'affanna a mascherare nel tentativo di lusingare l'ego del lettore "maturo". L'autore europeo gioca di chiaroscuri (il colore è per i bambini), non si cura più di distinguere somaticamente i personaggi, elide passaggi-chiave, occulta l'azione principale tra cento simboli nella stessa vignetta. Se paragoniamo la narrazione ad un racconto orale, è come se il narratore di storie "mature" biascicasse le frasi, omettesse dettagli, tossisse durante passaggi importanti, si dimenticasse di distinguere il soggetto dall'oggetto, abbassasse il tono della voce a livelli non percepibili. Fra i suoi ascoltatori chi non s'annoia rimane spiazzato. E in caso di spiazzamento - si sa - chi non capisce spesso grida al capolavoro. L'autore europeo delega i significati al lettore, interprete della narrazione: alla resa dei conti l'essenza della narrazione è la stessa dei colleghi americani (la struttura della fabula: situazione in equilibrio - rottura dell'equilibrio - ripristino dell'equilibrio), ma con un surplus di fatica da parte del destinatario.

Torniamo all'icona. Quando un personaggio non espone al lettore la propria dichiarazione d'intenti, esso rimane un simbolo ambiguo. E' un significante che può significare tutto e niente, non è modello né principio. Nel terrore di risultare didascalici e didattici come gli americani, gli autori europei non trasmettono significati precisi, non danno lezioni né affermano. Omettendo significati precisi distruggono la caratterizzazione, quindi il personaggio stesso.
Quando narriamo una vicenda con più attori cerchiamo di specificare ai nostri interlocutori chi agisce mediante il suo nome o la sua qualità (il soprannome): "il cinico", "la vamp", "il bruto". Se noi utilizziamo il soprannome, chi ci ascolta afferra al volo l'essenza dell'individuo - il simbolo - e mescola questi principi in una sorta di calderone chimico, in cui le reazioni si attengono a precise regole fissate dai presupposti dell'esperimento e dalle finalità della dimostrazione. Il gusto del nostro interlocutore risiede nel fatto che egli "anticipa" la narrazione facendo reagire gli elementi secondo le leggi della sua chimica: è gratificato quando prevede il risultato, è divertito quando avviene una reazione imprevista ma verosimile. Ma è irritato quando scopre le soluzioni narrative incongrue, ossia le reazioni chimiche gratuite che derivano da mescolanze improbabili.
Se noi utilizziamo il nome e non il soprannome (leggi: quando noi rendiamo ambiguo il soggetto) facciamo sì che l'attore non sia simbolo ma significante polisenso. A quel punto la narrazione perde i connotati di esperimento chimico e diventa un guazzabuglio di elementi in cui il risultato finale è casuale, non previsto né prevedibile. E quando l'arte non dà forma al reale, quando non trasferisce informazioni sul modo in cui le cose avvengono, diventa superflua. Questa operazione artistica può suscitare un bagliore di curiosità, ma nel tempo ci lascia del tutto indifferenti.

Nel fumetto di super-eroi l'ambiguità di senso è ridotta al minimo. I simboli si aggirano per le tavole in tutta la loro nudità e - non abbiamo paura a dirlo - ingenuità. Cosa c'è di più iconico de "La Torcia Umana contro l'Uomo Ghiaccio"? E se i due elementi si scontrano con Tornado? E se interviene Valanga? Fuoco, Acqua, Aria, Terra, questi sono gli elementi con cui il pensiero degli Alchimisti scompone e decodifica il mondo. Imparare a ragionare per simboli è il primo, difficilissimo passo che l'iniziato deve compiere per poter accedere a qualsiasi scuola esoterica. A ognuno trarre le proprie conclusioni sul valore delle cose apparentemente semplici.
Dal punto di vista dell'arte, il rischio è che i simboli nudi diventino cliché logori e consunti, e valanghe di albi seriali ne sono la riprova. Oppure che l'esperimento utilizzi sempre gli stessi principi in una routine meccanica priva di vitalità. Trascendere il "meccanico" è compito dell'artista con la "A" maiuscola, il quale - quando è veramente tale - rivitalizza il principio/simbolo/mito eterno rendendolo ancora una volta attuale. 
VALORI, ETICA, SCISSIONE
Se guardiamo alle origini ci accorgiamo che il super-eroe non era super solamente nei suoi attributi fisici: lo era anche in quanto modello di etica sociale. Garante dei diritti dei più deboli, della legge della comunità, della vita e (discutibilmente) della proprietà.
Il super-eroe aveva smesso d'essere portatore di valori già al termine dei '60, e questo è stato l'inizio della sua fine. I "nevrotici" autori del '68, che hanno vissuto un momento di confusione e disorientamento, hanno scisso l'eroe dalla calzamaglia, l'uomo dal simbolo, il nome dal soprannome, l'individuo dal mito. A loro pareva che la calzamaglia reclamasse un'esistenza indipendente dall'uomo che la indossava. Ma in quelle storie profonde e intense questo era ancora un rapporto drammatico. La scissione ebbe effetti realmente deleteri quando il rapporto tra i due elementi smise di essere dialettico e problematico e diventò cliché, cioè dagli anni 80 in poi.
(Del resto, Watchmen e il Cavaliere Oscuro hanno potuto smembrare un linguaggio perché era ormai ridotto a cliché. Questi capolavori in realtà sono una fase interlocutoria "avulsa" dal filone supereroistico. La calzamaglia qui è un divertimento colto: le storie sono dei "Cosa succederebbe se…" un film di genere venisse interpretato da personaggi in calzamaglia...)

Alla fine degli anni '80 Miller e Moore hanno deflagrato con enorme risonanza, provocando il ripiegamento degli autori seriali su un atteggiamento tipo "quello che c'era da scrivere è stato già scritto". La freddezza, il dubbio, l'indifferenza, il cinismo, il macabro, il grand-guignol dei mille finali proposti dalle storie seguenti (scritte da pessimi cloni) sono riusciti ad intrattenere la nostra mente ma non sono più riusciti a scaldare il nostro cuore.
Al culmine della scissione si è giunti con lo "stile Image" dei '90, che non si curava più di stabilire un rapporto tra uomo e costume. Ormai la calzamaglia andava in giro da sola.
Ma è possibile per un lettore immedesimarsi negli eroi di Liefeld, culturisti decerebrati, senza provare solitudine e angoscia, confusione e inutilità?
Per quanto cerchiamo di apparire adulti, disincantati e cinici, per quanto critichiamo la semplicità e l'ingenuità di certi messaggi, il nostro inconscio cerca nell'arte un'ispirazione e un insegnamento, velato o palese. Quando l'arte smette di fare da modello per essere vuoto simulacro, ci sentiamo persi, alla deriva.
A tutt'oggi, per l'autore di fumetti di super-eroi non si tratta di eliminare i significati a cui i lettori disincantati sembrano refrattari (la tirata moralistica, il culto dei valori comunitari), si tratta di proporre nel modo giusto i valori meno legati ad una cultura particolaristica (nello spazio) o alla moda del momento (nel tempo). Si tratta di trascendere gli interessi nazionalistici e globalizzare i valori umani fondamentali, perché un lettore del futuro possa rispecchiarsi nei sentimenti e nelle azioni di un eroe del presente.
Come sempre, occorre andar oltre l'apparenza e riuscire a percepire l'essenza.
FUTURO O PASSATO REMOTO?
Astro City è un fulgido esempio di narrazione super-eroistica post-Image. Kurt Busiek ci ha mostrato che in realtà attraverso un racconto di super-eroi è possibile parlare di tutto. Naturalmente è fondamentale il modo in cui lo si fa. Fondamentale è il linguaggio utilizzato. Fondamentale è la definizione del contorno sociale in cui si muove il super-eroe e la caratterizzazione dei personaggi secondari. Il racconto può ancora funzionare se si esplora il contrasto tra super-eroe e uomo della strada, tra azione super-eroica e comuni azioni umane, tra l'etica del super-uomo, fallace ma salda, e l'umana fragilità delle nostre scelte. In Busiek, che si ispira al meglio della Silver Age, il rapporto tra eroe e calzamaglia smette d'essere gratuito e torna ad essere problematico. Ritornando problematico per l'autore (e non solo per l'editore) il fumetto di super-eroi smette di tendere oltre ogni limite la sospensione d'incredulità del lettore.
Ciò detto, non sono sicuro che scrivere ottime storie di super-eroi possa risolvere la crisi del settore. Le cause sono tante e complesse. Quello che è certo è che gli eroi mascherati sono sempre esistiti e grande è la fame di modelli a cui i lettori desiderano ispirarsi. Il realismo non è un problema, se si presta attenzione alla sostanza del racconto. Dopo un po' la calzamaglia tende a passare in secondo piano per far emergere il personaggio.

E' un luogo comune dire che dopo Miller e Moore il super-eroe è definitivamente tramontato e che non ci sia più niente da dire a riguardo. Loro hanno descritto l'ipotetica Fine dell'Era dei Super-Eroi. Trattandosi di Fumetto, una dimensione in cui le cui coordinate temporali si dilatano all'infinito, questo termine potrebbe non arrivare mai. Lo stesso Moore con Tom Strong ci ha mostrato che in questo "Grande Frattempo", teso tra una Golden Age e una Final Age puramente ipotetiche, ci sono ancora infinite storie da raccontare. 
 
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domenica 6 dicembre 2020

[Oldies but goldies] GIUSEPPE PALUMBO 2000

A seguire ripropongo un'intervista datata 2000 al grandissimo GIUSEPPE PALUMBO, apparsa originariamente sulla rivista Macchie d'Inchiostro (Nuova Serie) n. 1, realizzata dagli amici dell'Associazione Chine Vaganti. L'intervista fu poi pubblicata anche sulle pagine digitali di Ultrazine
PALUMBO a fumetti
a cura di smoky man
GIUSEPPE PALUMBO è un artista tra i più noti e apprezzati in Italia. Nato a Matera il 24/7/1964, ha esordito nel 1986 sulle pagine del quotidiano Reporter e sulla rivista Tempi Supplementari. In quasi 15 anni di attività ha collaborato con tutti i principali editori italiani creando personaggi di culto come Ramarro e Tosca la Mosca. Ha inoltre pubblicato per alcune prestigiose case editrici estere: la giapponese Kodansha e l’americana Dc Comics.

ULTRAzine: Cosa è per te il Fumetto?
PALUMBO:
Croce e delizia. Non mi attarderò in definizioni da Accademia della Crusca, né in "integralismi" di vario genere. Woody Allen in "Manhattan" si chiedeva perché amava New York e si rispondeva: amavo New York, perché era la mia città e lo sarebbe sempre stata. Quando ami qualcosa è sempre meglio non chiedersi perché... Per gli accademici, invece, rimando alle definizioni di Scott McCloud (sempre valide...).

ULTRAzine: Puoi parlarci dei tuoi riferimenti grafici? Ci sono dei disegnatori che segui tuttora con particolare attenzione?
PALUMBO:
Andiamo per ordine. I miei modelli sono fin troppo evidenti, Magnus sopra tutti. La mia naturale curiosità (nasco prima come lettore e poi come autore, ovvio) mi porta a cercare un po' dovunque la materia prima per la mia materia grigia. Ma una cosa è certa: i miei riferimenti grafici li cerco un po' oltre l'orto fumettistico; sarebbe un peccato altrimenti. Nutrirsi solo della stessa passione alla fine ti rende sterile. La colpa più grande di un esordiente, per quanto mi riguarda, è quella di fare un fumetto "con" i fumetti di altri e basta, senza altro aggiungere di proprio, né contaminare con differenti spunti o linguaggi: sono parti incestuosi. A chi ama il mio disegno a china, consiglierei la visione delle opere di Duilio Cambellotti, artista del periodo fascista, o Felix Vallotton, sommo genio del disegno art nouveau. Cosa leggo? Chris Ware, Charles Burns, Daniel Clowes ma anche Tezuka, Mignola, Munoz... 
ULTRAzine: Tu hai partecipato a riviste come Frigidare, Dolce Vita e Cyborg. Perché lo spazio per pubblicazioni simili non esiste più? Sono semplicemente cambiati gli scenari? E ancora, dov’è finito il fumetto d’autore? O forse, dove sono finiti gli autori?
PALUMBO:
Dove sono finiti autori e riviste? Ci sarebbe da chiedersi dove è finito il pubblico che quelle riviste acquistava. Forse legge altro, forse i fumetti li va a cercare in libreria. Ci sarebbe poi da chiedersi perché grossi editori di riviste, modello Espresso-Panorama, quando c’è da parlare di fumetto fanno tanto di cappello (il fumetto che si è emancipato di qua, il fumetto che si è emancipato di là) ma poi non pubblicano più come in passato opere a fumetti sulle loro pagine. Eccezion fatta per Manara o per brevi comparse di Altan o Staino o Silver... E poi sarebbe ora di farla finita con la lagna del fumetto d'autore. Quello che è sempre mancato al cosiddetto fumetto d'autore è stata la figura dell'editor, colui che avrebbe dovuto aiutare a dare una rotta produttiva e un argine di controllo alla pletora di cazzate che per anni sono state strapagate e "straincensate" in quanto fumetto d'autore. Se non ci sono più le riviste che hai citato, la colpa è un po' di tutti: editori, distributori, autori, pubblico (nel caso di Frigo ci aggiungerei una certa commissione per l'editoria che bloccando certi congrui sgravi fiscali, bloccò lo slancio di una rivista fondamentale... sic transeat gloria mundi). Quelle furono riviste volute da gruppi di fumettari e di intellettuali insieme, ma soprattutto da fumettari che volevano dare nuova dignità al fumetto italiano e portare aria nuova nel panorama di idee e di immagini italiano; questo livello dello scontro così volutamente alto ha dato grossi risultati: dove sono ora autori capaci di questo? Ma anche dove sono intellettuali capaci di dialogare con i fumettari al fine di compiere imprese simili? E gli editori? Eccetera ecc...

ULTRAzine: Che cosa diresti ad un giovane esordiente che ti chiedesse consiglio su cosa fare per pubblicare?
PALUMBO:
Scegliere l'editore che gli è più vicino, come idee, come immaginario e con lui edificare... Altrimenti fare il prezzolato per il miglior offerente ma è un gioco che alla lunga forse non vale la candela ed è sicuramente meno divertente!
ULTRAzine: Palumbo e la Kodansha, come è successo? Che cosa pensi ci abbiano insegnato i manga? Qual è la tua spiegazione del loro grande successo presso i giovani?
PALUMBO:
"Palumbo sei bravo, facce ride". Fatto. Vi rimando alla lettura del mio catalogo "Jumbo" per ulteriori informazioni. Cosa "mi" hanno insegnato i manga? Il gusto di sezionare, smontare, ricomporre e sviluppare una sequenza con il solo uso delle immagini; la velocità e il ritmo; il gusto del dettaglio. Credo che tutto questo, unito a una immaginazione e a una sensibilità dettate da una tradizione culturale radicalmente diversa dalle nostre, porti a un livello di empatia altissima e che questo sia alla radice del loro successo.

ULTRAzine: Come è stata la tua esperienza americana? Se non ricordo male hai chinato Sal Velluto su un albo DC. Avendo creato Ramarro, pensi che l’icona del supereroe abbia ancora un senso?
PALUMBO:
L'esperienza DC Comics è stata una esperienza sfortunata, a causa soprattutto della situazione logistica in cui si è svolta, ma anche a causa della cattiva organizzazione del lavoro da parte della casa editrice. A parte questo, lavorare con Sal per me è stato importante, perché mi ha portato a ragionare diversamente, in maniera più professionale al mio modo di inchiostrare; peccato che l'impresa non sia andata avanti, anche perché mi faceva piacere lavorare con una persona amica come Sal con un oceano di mezzo...Ramarro: è sempre stato un supereroe atipico, bizzarro, per definizione. Questo tipo di supereroe è il supereroe che avrà sempre senso.

ULTRAzine: Un ricordo dell’esperienza in casa Bonelli. Dopo Martin Mystere ti piacerebbe disegnare qualche altro personaggio bonelliano?
PALUMBO:
No. Disegnare Martin Mystere significa disegnare tutto contemporaneamente. Finora ho al mio attivo ho: Milano nel '400 e oggigiorno, Matera oggigiorno e nel Neolitico, Australia, Egitto, Firenze, Twin Peaks e la base di Altrove nell'800, dimensioni parallele e via così. C'è un bel po' da divertirsi, non vi pare? Confesso che un numero o due di Napoleone mi piacerebbe farli, ma il BVZM mi va bene.

ULTRAzine: Tu e Brolli un sodalizio di ferro. Come è lavorarci insieme? Quanto conta la passione nel mestiere del fumettista?
PALUMBO:
Brolli oltre che un vero amico è l'editor di cui parlavo prima. Se mi chiede di correggere qualcosa, l'80% delle volte non sbaglia. Certo nessuno è perfetto, ma ce ne fossero...Daniele è anche l'editore con cui ho costruito il maggior e il miglior numero di imprese personali e alcune tra le migliori in "team". Scusate se è poco. La passione? L'ho già detto: è tutto!

ULTRAzine: Fumetto e Internet, qual è la tua opinione?
PALUMBO:
La Kodansha ha utilizzato alcune delle storie di Cut (che sono in uscita nella collana NoWords della Phoenix) per la rivista Morning OnLine. Anche lì il mio editor, Yasuyuki Shin, ha fatto un gran lavoro: effetti sonori, colonna sonora, montaggio serrato delle singole vignette... Con editor simili e investimenti seri anche Internet può essere un buon terreno di caccia per il fumetto. 
ULTRAzine: Qualche tempo fa Sergio Toppi ha dichiarato: “Molte volte fare l’artista è più facile… Uno dice “Sono un’artista” e quindi… Mentre il fumettista se disegna una cosa che non funziona, un aeroplano un po’ approssimativo o un’auto fatta male, non se lo può permettere. L’artista può anche cospargersi di vernice e mettersi su un piedistallo e dire: “Io sono la statua di me stesso!”.  Se io o gli altri miei colleghi facciamo delle cose che non corrispondono a una precisa cosa, siamo dei pessimi professionisti!”. Cosa ne pensi?
PALUMBO:
Vorrei capire meglio il contesto in cui il maestro ha espresso questo concetto che detto così mi lascia un po' perplesso. Sono due contesti assolutamente non paragonabili l'elaborazione di un'opera di arte contemporanea e la professionalità richiesta a un illustratore o a un fumettista. Non capisco....

ULTRAzine: Per concludere puoi svelarci qualcosa sui tuoi progetti futuri? Hai un “sogno” fumettistico che vorresti realizzare?
PALUMBO:
I miei progetti futuri mi portano sempre più verso la multimedialità (sto lavorando a un opera colossale in CD-Rom sulla Divina Commedia) e verso l'illustrazione (sono copertinista della collana Junior Gialli della Mondadori). Per i fumetti: Phoenix a tutta birra, Altrove per la Bonelli, un tentativo in territorio francese e poi un progettone segreto con un altro colosso del fumetto italiano... Per quanto riguarda i sogni, ne ho fatto giusto uno che vorrei fare tanto a fumetti... E poi sicuramente ho dimenticato qualcosa...
 
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martedì 1 dicembre 2020

recensioni in 4 parole [89]

Nel verde la meraviglia.
Che ritmo l'Avventura!
Noir tutto da ridere.
Nel tritatutto dell'e-commerce.
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Abbiamo detto 4 parole su:
Swamp Thing: Child of God
di Jesse Jacobs (testi e disegni)
Editore: auto-produzione
Prezzo: free online - Part 1 - Part 2 - Part 3
Anno di pubblicazione: 2020
Per qualche parola in più: QUI (un'intervista all'autore, in Italiano)
 
di Gianni Barbieri (testi), Cristian Canfailla (disegni), Alan d'Amico (colori)
Editore: Panini Comics
Formato: cartonato, 96 pagine, colore
Prezzo:  € 15
Anno di pubblicazione: 2020
Per qualche parola in più: QUI
  
Klaus Maranza
di Lorenzo Bartoli (testi) e Massimo Carnevale (disegni)
Editore:Editoriale Cosmo (collana "I Grandi Maestri Special: Carnevale" n.4)
Formato: brossurato, 128 pagine, b/n e colore
Prezzo: € 5,90
Anno di pubblicazione: 2020
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Carne da cartone
di Jean-Baptiste Malet (testi) e Benjamin Adam (disegni)
Editore: La Revue Dessinee Italia
Prezzo: free online, QUI
Anno di pubblicazione: 2020
Per qualche parola in più: QUI
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