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lunedì 1 giugno 2020

[Oldies but goldies] IGORT 2001

Tavola tratta da 5 è il numero perfetto.
Quest'anno Coconino Press festeggia il suo ventennale: un traguardo prestigioso per una casa editrice che ha fatto, e continua a fare, la storia del Fumetto e del graphic novel in Italia.
Come piccolo omaggio ripesco e ripropongo un'intervista a IGORT, co-fondatore nel 2000 di Coconino insieme a Carlo Barbieri e direttore editoriale fino al 2017, pubblicata a giugno 2001 su Ultrazine. Buona lettura!

IGORT: RACCONTARE A FUMETTI

EVOLUZIONI

smoky man: Mi sembra di capire che sei arrivato ad un punto della tua carriera in cui ti interessa arrivare al cuore del racconto per immagini, sottraendo piuttosto che aggiungendo, cercando il silenzio piuttosto che il clamore, anche a costo di un disegno essenziale e rigoroso che non indulge a spettacolarismi. È solo una mia impressione?  
IGORT: Quando cominciai il mio lavoro ho tracciato e in seguito disegnato una storia lunga, Goodbye Baobab: erano ottanta pagine, il mio primo romanzo a fumetti. Era il 1982. E all'epoca non si lavorava più di tanto in quella direzione. C'erano dei racconti che sviluppavano una cinquantina di pagine, poco meno, quella era la norma. A questa norma facevano eccezione Pratt e Tardi, e Crepax, beninteso. Ma quelli erano dei maestri consacrati, e rappresentavano più che altro l'eccezione.

In quel periodo il racconto era un racconto legato al genere avventuroso. A me interessava il frammento, l'introspezione. Molti anni dopo, quando cominciai a lavorare per il mercato giapponese fui invitato a più riprese a lavorare sulle pause. Bisogna capire che il manga è un linguaggio differente dal fumetto come noi lo abbiamo concepito per tanti anni in Europa. Un linguaggio che ha sviluppato proprie regole che hanno fatto presa nel pubblico orientale. Per un autore europeo essere invitato a lavorare in un mercato così sviluppato rappresenta un occasione unica. Si tratta di aprire la propria testa e avere voglia di mettersi in discussione. Alcuni amici, come Baru, per esempio, hanno voluto cimentarsi in questa sfida (non è una cosa comoda quando si è autori affermati e un editor straniero comincia a mettere in discussione certe parti che tu ritieni la base del tuo modo di procedere) altri invece, come il mio amico Loustal non sono stati forse sufficientemente curiosi o disponibili, così la loro collaborazione si è chiusa quasi subito.

Questa esperienza è durata dieci anni. Io sono il solo che ancora collabora con Kodansha e con il mercato giapponese in generale. Eravamo quasi duecento da tutto il mondo e sono restato solo io.

Stiamo varando una serie che ho concepito (personaggi e trama generale) e che verrà disegnata e scritta da autori giapponesi. Sto disegnando anche una storia breve che verrà pubblicata sul prossimo numero di Brutus.

La dilatazione dunque è un elemento del lavoro che è venuto fuori in maniera spontanea. Una eredità dell'approccio giapponese che ho portato con me nel mio modo di guardare in generale. Siamo permeabili, si dice che siamo fatti di cosa mangiamo e io amo molto il fumetto giapponese, quello americano e il nostro, quello europeo. Quindi è chiaro che il mio approccio, come quello di un caro amico con cui abbiamo esperienze simili, David Mazzucchelli, sia il frutto dell'incrocio di questi diverse visioni.

A proposito del lavoro che stai facendo per la Kodansha puoi darci qualche anticipazione sulla storia e sui disegnatori coinvolti. Il loro stile sarà fedele al tuo? Quale sarà il tuo grado di coinvolgimento nell’effettiva realizzazione? Supervisionerai tutto o quello lo farà l’editor, figura molto importante nel meccanismo produttivo dei manga?
Il lavoro della serie che si chiamerà COMPARE è un lavoro di cui ho dato lo spunto generale, ho scritto una sceneggiatura di sessanta pagine che doveva essere disegnata da un disegnatore orientale. Poi Tamiya San, l'editor che ha lanciato Akira e che è un amico con cui parliamo di cinema tutte le volte che ci incontriamo a Tokyo o in Italia, mi ha detto che era entusiasta del soggetto e mi ha chiesto"possiamo trarne una serie?". Io ero molto occupato con i miei nuovi progetti, tra cui l'animazione, che richiede un lavoro lunghissimo e ho dato il permesso di utilizzare il soggetto e tutti i personaggi per farne una serie di più volumi. Un pochino, se vogliamo trovare una esperienza simile, a come Lynch a fatto con Twin Peaks, la serie televisiva.

E' un modo che non ho mai utilizzato; in genere se scrivo qualcosa la disegno personalmente o la sceneggio in maniera dettagliata. in questo caso si utilizza il plot. Io non ho nessun interesse ad avere "il controllo". Ho piena fiducia, sarò il primo lettore in un certo senso. Sono molto curioso io stesso.
Tavola tratta da 5 è il numero perfetto.
Di cosa tratta Compare? È ancora un noir – come le tue ultime produzioni - o qualcosa di completamente diverso?
Si tratta della storia di una amicizia tra un aspirante mafioso e uno Yakuza giapponese, entrambi innamorati della stessa donna. Una storia che amo molto e di cui è possibile, un giorno forse, che ne disegni io stesso una versione europea. Scriverlo è stata una esperienza particolare perché, per la prima volta, sapendo che non lo avrei disegnato personalmente non ho visualizzato le fisionomie dei personaggi. A parte, forse, la donna, che mi è apparsa chiaramente mentre ne scrivevo i dialoghi. In genere quando lavoro alla stesura di una storia capita che certe caratteristiche e certi atteggiamenti appaiano spontaneamente.

Parlavi del fatto che tra i tuoi nuovi progetti c'è l’animazione. Tempo fa mi dicevi di che ti sarebbe piaciuto mettere in piedi una scuola d’animazione per fare dei cartoni diversi e innovativi. Può dirci qualcosa su questi progetti e sulla tua fascinazione per i cartoni?
Per quanto riguarda l’animazione in questo periodo, da un anno e più sto lavorando a due progetti. E’ un tipo di lavoro diverso, con una dimensione che riguarda il disegno in sequenza e il rapporto con i suoni, che essendo anche musicista, è per me piuttosto importante. Il cartone animato è il linguaggio che unisce, nel vero senso del termine, il fumetto e il cinema. Lavoro con persone che stimo molto e che mi aiutano a capire come possiamo rendere questa o quella situazione e il tipo di tensione narrativa che viene suggerita nello storyboard o nel fumetto da cui si parte. Uno dei due progetti riguarda Sinatra, il mio ultimo libro ambientato a New york. Con Maurizio de Bellis, Roberto Baldassari e Michele Bernardi stiamo lavorando per reinventare la materia del libro in film. Per ora il risultato mi ha sorpreso, un cartone animato con una serie di dialoghi drammatici acquista la tensione di un film vero e proprio. Questo uso "non per bambini" del linguaggio dell’animazione è qualcosa che i giapponesi conoscono bene. Una dimensione preziosa e meravigliosa che nessuno, o quasi, in Europa, si preoccupa di esplorare. E non sto parlando di uno sperimentare fine a sé stesso perché si tratta di una semplice strada del raccontare. Una strada che ha già portato a dei risultati profondi e davvero impareggiabili (Jin Roh, o Otaru no haka, Una tomba per le lucciole, tanto per fare due titoli.) 

AVVENTURE 

Con la tua avventura editoriale della Coconino Press, in un certo senso, ti proponi con un ruolo di "ambasciatore" del fumetto: ci sono ottime storie a fumetti, capolavori forse, che bisognava pubblicare e far conoscere al pubblico italiano. Un atto d'amore per il Fumetto?
Faccio questo lavoro perché mi piace. Ho avuto diverse altre occasioni, una carriera possibile nel mondo dell'arte visiva (anche in seguito alla mie mostra alla biennale di Venezia o a New York) ma ho preferito privilegiare lo storytelling e il fumetto in generale. Amo il fumetto e le sue possibilità, anche se la stragrande maggioranza delle opere pubblicate non mi interessa per nulla. Le mie scelte come direttore artistico della Coconino Press sono una logica conseguenza di quello che mi affascina e che scopro durante i miei viaggi. Si trattava di portare in Italia, con un programma coerente, se possibile, ciò che in Italia, per un motivo o per un altro, non arriva. Ora sono passati degli anni e il lavoro di Taniguchi è stato pubblicato, ma quando ho conosciuto Jiro, a Tokyo nei primi anni novanta questo autore non lo aveva pubblicato nessuno in occidente. Mi sembrava incredibile, data la sua qualità.

Ne parlai con la Feltrinelli, per cui facevo delle copertine. E loro, che volevano aprire una collana di fumetti, sembravano disponibili, lo sono ancora probabilmente, ma le cose sono cambiate, non si può essere così lenti. Non è accaduto nulla per degli anni. Poi qualcosa si è mosso. La Marvel Italia ha pubblicato L'uomo che cammina, anche se trovo che la confezione e il lettering lascino a desiderare. Era una apertura interessante e qualcuno, tra lettori e addetti ai lavori si è accorto che il mondo dei manga era vario e che non esistevano solamente i classici titoli che ci vengono in mente. Ci sono ancora tantissimi autori del tutto sconosciuti in occidente che varrebbe la pena di leggere. E spero di riuscire a introdurre queste perle nel nostro panorama. Quanto prima.

Un po' di tempo fa chiacchierando di fumetti, un amico mi diceva che nonostante riconoscesse la qualità delle proposte Coconino sia per le scelte che per la confezione, si meravigliava di come un artista come te si fosse trasformato in editore, soprattutto di materiale estero, mentre secondo lui sarebbe stato meglio se ti fossi impegnato – bilanciando in un certo modo le tribolazioni che all’inizio della tua avventura nel fumetto hai inevitabilmente avuto prima di pubblicare – dando spazio a giovani e validi autori italiani. Si parla tanto di crisi del mercato italiano e poi chi può fare non fa, concludeva.
La Coconino è una piccola casa editrice. Ha una sua linea di proposta. Si muove in un mercato composto da regole e pregiudizi molteplici. Fare libri purtroppo è una pratica appassionante ma molto costosa. E nel nostro mercato si vendono sopratutto i prodotti stranieri. Inoltre ci sono moltissimi libri di alta qualità che a me interessa vedere pubblicati. Pubblichiamo anche autori italiani, consiglia al tuo amico l'acquisto di Black. Troverà molto materiale in cantiere per una collana di volumi Made in Italy.

Il problema è, se permetti, il contrario, non riesco a trovare dei racconti italiani di pari livello. E gli italiani poi, sono molto bravi a lamentarsi.
Secondo te quindi i nuovi autori italiani mancano e hanno poco da dire? O poco coraggio? Oppure, non trovano chi offra loro uno spazio per pubblicare le loro storie?
Ho ricevuto molte proposte di autori italiani. E diversi di questi sono impegnati attivamente alla produzione di storie per la Coconino. Quindi ci sono cose belle, nuove e interessanti. Ma la difficoltà sussiste, inutile negarlo. Quello che cerco sono storie e non scimmiottature di quello che viene dall’estero. Ricevo perlopiù materiale pretenzioso e senza una direzione precisa. Storie che non fanno che ripetere le solite due o tre idee già viste e consumate. Ci sono incomprensibili difficoltà a raccontare storie con personaggi che somiglino alle persone come noi le vediamo nella nostra vita, con una minima complessità, delle contraddizioni, per dirne una.

E non parlo di realismo, dico qualcosa che permetta di uscire dalla bidimensionalità narrativa. Un personaggio è qualcosa di diverso da una macchietta. Oppure, quando sono autori che credono di avere capito, la proposta grafica sovrasta la narrazione e le storie diventano un mero pretesto per il narcisismo del disegnatore. E allora dico, sarebbe meglio darsi all’illustrazione, il fumetto (Moore docet) è racconto. A me interessa moltissimo anche il racconto fatto di silenzi, ma che sia racconto. Invece in italia credo che si sia perso il senso del narrare in profondità.

Quando ho cominciato a disegnare dei fumetti sono passato, anche io, per la strada dell'autoproduzione. Questa è pratica notevolmente poco cara rispetto a venti anni fa grazie alle nuove tecnologie. Quello che mi interessava era l’opportunità di misurarsi con il pubblico, per meglio capire cosa rimaneva, piaceva o dispiaceva a chi si dava la pena di trascorrere qualche manciata di minuti sui miei racconti. Oggi i miei amici Seth o Tomine mi mandano delle pubblicazioni fatte con fotocopie spillate a mano da loro stessi. È una cosa che trovo meravigliosa e umile: degli autori pubblicati in diverse nazioni che, per amore del fare e farsi leggere usano i mezzi, anche i più poveri. Questa umiltà qui da noi latita. Siamo il paese dalla chiacchiera facile. In cui ognuno di noi si sveglia al mattino e schiudendo gli occhietti si scopre esperto di calcio, navigazione o editoria (a piacere). Misurarsi con le cose, con la pratica del fare è altra cosa. In Giappone, per esempio ho imparato molte delle cose più belle di questi ultimi anni. Ho imparato che pulire un’idea per portarla alla luce del sole aiuta anche a disegnarla meglio: a questo serve il lavoro degli editor che lavorano fianco a fianco dei mangaka.

Visto che lo conosci, dici un po’ che paradiso per il fumetto è la Francia...
In Francia c'è una attenzione molto forte a una proposta autoctona. Il contrario esatto, come abitudine, della nostra tradizione. Da noi quello che è italiano è già svalutato e quello che è straniero è "bello per definizione". Un atteggiamento provinciale e penoso che determina la migrazione dei talenti. In Francia inoltre la tradizione del fumetto è legata alla libreria mentre da noi il fumetto ha avuto una storia gloriosa sopratutto nelle edicole. Questo spiega anche molte differenze di "peso" da un punto di vista dell'idea culturale che ci si è fatti del linguaggio fumetto.

E in Giappone, come va?
Sarebbe molto complessa una indagine di un mercato tanto vasto. Comunque in Giappone c'è una tradizione diversa e di dimensioni gigantesche. in comune con la Francia c'è l'abitudine a valorizzare i fumetti prodotti in casa loro. L'Italia, da questo punto di vista è una eccezione. una piccola, piccola, colonia culturale.

IMMERSIONI

Tornando a parlare di aspetti artistici: qual è secondo Igort la qualità più importante che un autore di fumetto deve avere?
Parlare di cose (intendo di cose vere, di cose che interessino un essere vivente). Uscire dalle autostrade della banalità, come ho già detto. Ma gli autori di fumetti li leggono i giornali? Per esempio una cosa tipica del mondo dei manga è che gli editor giapponesi hanno l’obbligo, all’interno del loro orario di lavoro, di leggere i quotidiani. Da una lettura attenta dei quotidiani nascono molte proposte per le storie che vediamo pubblicate. Il sorgere di numerosi manga a carattere sportivo? E’ il risultato del crescente successo dello sport presso la società giapponese. Nuove storie a carattere noir o poliziesco? E’ il risultato della crescente criminalità e delinquenza minorile. E via dicendo. Non parlo di cronaca, ma è un fatto che se i fumetti da noi sono considerati come un linguaggio per adolescenti è perché piuttosto di rado ci si occupa di cose che affondano le loro radici nella società. E’ un pianeta Otaku (il pianeta degli ultrafan).

Mi stupisce sempre vedere che molti aspiranti fumettisti ambientano le loro storie in un luogo che non esiste e che è il frutto di suggestioni, fumetti amati, idee astratte. Manca una osservazione diretta del reale e l'incapacità di rendere mitico ciò che si ha sotto gli occhi, pratica che invece i francesi, gli americani o i giapponesi, per esempio hanno sviluppato sino a divenire dei maestri.
Tavola tratta da Sinatra.
Da autore completo, le tue storie nascono prima come immagini o come racconto? Ossia butti giù degli schizzi o parti diretto con una sceneggiatura minuziosa, o che altro? Sono sempre stato interessato ai meccanismi creativi...
E' un processo che si basa su metodi diversi, di volta in volta. Mi piace cambiare. Comunque di solito accade così. Prendo degli appunti, schizzi e annotazioni. Poi comincio a lavorare sulla documentazione e scrivo una sceneggiatura. La sceneggiatura ha dialoghi precisi che definiscono un ritmo. Stendo uno storyboard, poi un altro più preciso. Disegno le tavole e riscrivo i dialoghi. A volte la sceneggiatura ha più stesure e quindi l'ultima riscrittura può essere la quarta, la quinta. Dipende...

Quando lavori quanto c’è di improvvisazione, ossia quanto la storia si scrive da sé e i personaggi parlano da soli e tu li stai solo ad ascoltare?
Questa per me non è improvvisazione ma il semplice processo di creazione. Avviene così più o meno per tutti. L'improvvisazione è qualcosa che mi interessa molto, anche da un punto di vista grafico. Il lavoro legato a Sinatra e a 5 è il numero perfetto contiene una serie di elementi di questo tipo. molte scene sono disegnate direttamente a penna e pennello senza traccia di matita.

Alan Moore dice che nello scrivere c'è qualcosa di magico e che la scrittura crea sempre una nuova realtà, le da vita.
Concordo perfettamente e sottoscrivo.

Spesso parli di fumetto come "forma contemporanea di romanzo", che cosa intendi esattamente? Molti pensano al fumetto come più vicino al cinema, invece secondo me è più vicino alla letteratura. Che ne pensi?
Io penso che il fumetto abbia una grammatica propria. Quello che constato e che ci sono molti autori che stanno lavorando su una forma di racconto lungo. Questo da più parti, Asia, America, Europa. Non si sono passati la voce, sembra essere una esigenza comune, uno spirito generalizzato che io apprezzo particolarmente. Per questo la definizione romanzo. Ma non intendo affermare che esista una sudditanza intellettuale del fumetto con il romanzo né con il cinema. D'altra parte ti potrei raccontare un aneddoto giapponese. Alcuni autori occidentali parlavano con Tsutsumi, l'editor con cui lavoro io e Tanaka o Taniguchi, e gli dicevano delle parentele del fumetto con il cinema. lui scuote la testa e spiega che, a suo avviso, il manga ha a che fare sopratutto con il teatro più che con il cinema. E sai perché? perché segue le regole auree del teatro: unità di tempo, luogo e azione. In effetti se andiamo a vedere la maggior parte dei manga applicano, per essere più semplici da seguire, questa regola.

Secondo te c’è ancora spazio per sperimentare con i fumetti?
Secondo me c’è spazio per dire qualcosa di personale. Non mi interessa lo sperimentare fine a sé stesso come non mi interessa il computer in quanto computer. Il linguaggio serve per dire e l’autore può cominciare a porsi la prima domanda: cosa voglio raccontare? Basta questo per essere al centro del mestiere di affabulatore. Però occorre una cosa che Chandler chiamava "atteggiamento onesto". Vale a dire mettersi nella condizione di dire cose che si conoscono per potere il più possibile allontanarsi dalla superficie. Naturalmente è necessario leggere, essere curiosi, e conoscere le cose che vanno oltre allo strato banale dei successi da classifica. È perfino inutile dirlo però chi non possiede questa spinta è meglio che smetta. Sarebbe come un navigatore che soffre il mal di mare o un cuoco cui da fastidio l’odore del cibo. 

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