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lunedì 9 marzo 2020

[Oldies but goldies] 1997: Igort e... HAYAO MIYAZAKI

Hayao Miyazaki, a destra, durante un incontro promozionale per Mononoke nel 1997.
Per i più audaci, rari frequentatori di queste lande fumose, ecco (direi) un recupero super: un'intervista al Mito HAYAO MIYAZAKI realizzata sul finire dell'altro millennio da... IGORT.

L'intervista è tratta dalla rivista-libro Due. Tenerezza e complessità pubblicata da Phoenix Enterprise nel gennaio 2000. L'intervista, raccolta da Francesco Conversano e Nene Grignaffini, tradotta dal giapponese da Marta Fogato, fu riproposta su Ultrazine.org a giugno 2001 con l’autorizzazione degli autori. Un ultra-ringraziamento allora e ora... a Igort.
INTRODUZIONE DI IGORT

Quando incontrai Hayao Miyazaki, nel maggio del 1997, il mondo dell’animazione in Giappone godeva di notevole fortuna. Cartoni animati dell’ultima generazione come Evangelion stabilivano nuovi record di incassi. I giovani autori, pur dichiarando di ispirarsi alle opere dei maestri classici del cartoon — tra i quali lo stesso Miyazaki — di fatto presentavano un universo narrativo ben più violento. In questo scenario il lavoro Miyazaki rischiava di essere considerato dal pubblico come qualcosa di irrimediabilmente legato al passato. Miyazaki vantava un’esperienza di oltre trent’anni ed era stato l’artefice di titoli passati alla storia dell’animazione giapponese. Nelle sue storie la natura è osservata con uno sguardo ingenuo. I misteri che nasconde sono pacifici, fonte di meraviglia più che di spavento.

Da Nausicaa a Laputa a Kiki a Totoro per poi arrivare a Porco Rosso, in tutti i suoi titoli più noti Miyazaki riesce a raccontare storie credibili, i cui i personaggi, quale che sia la loro stazze, riescono a superare i limiti della forza di gravità. La principessa Mononoke, che Miyazaki stava ultimando altepoca dell’intervista, rappresenta una svolta.

Quando arrivai a Higashi Koganei, alla periferia est di Tokyo, pioveva. Mi aspettavo di trovare un imponente gruppo di edifici come quelli degli studios hollywoodiani e invece gli Studi Ghibli, la casa di produzione di Miyazaki, altro non era che una palazzina a tre piani. Lo spazio sembrava quasi disabitato, solo in un secondo momento mi resi conto che c’erano molti animatori che lavoravano immersi nel silenzio. Ci condussero in un ufficio dalle pareti interamente ricoperte di libri. Su un grande tavolo in legno erano ammucchiati pupazzi in peluche di varia dimensione. C’era un maialone con il casco in pelle da aviatore, era Porco Rosso, e altri pupazzi di tutte le dimensioni. Quando comparve, in quell’uomo minuto e dai capelli bianchi cui si appannavano gli occhiali per il caldo, feci fatica a riconoscere il gigante dell’animazione che tutti noi disegnatori ammiravamo. Ci fu subito un equivoco, che lì per lì non manco di creare una certa tensione: "leggerezza" in giapponese ha una connotazione più negativa che in italiano, e per la sbadataggine della traduttrice in pratica stavamo dando a Miyazaki del superficiale. I lineamenti del maestro si indurirono. Dico questo perché in Giappone, nonostante la cortesia, sembra sempre che una certa dose di violenza sia li, pronta a esplodere quando se ne presenti l’occasione.

Erano i giorni di una scommessa cruciale per Miyazaki: dimostrare al pubblico giapponese che la maniera di raccontare per la quale era diventato celebre non si era appannata, anzi aveva saputo rinnovarsi. Si trattava di dare un vero e proprio colpo di reni, di creare una visione nuova, totalmente differente da quelli che erano stati i motivi del successo, per esempio di Totoro.

Niente più delicatezza o tenerezza. Il nuovo pubblico apprezzava un linguaggio diretto, fatto di metallo, sangue, catastrofi nucleari e violenza. Era possibile interessare questo pubblico con una storia del 1400? Era possibile inserire la violenza nel mondo di Miyazaki senza tradirne le premesse che lo avevano reso celebre e amato dalle generazioni precedenti? Oggi sappiamo che La principessa Mononoke ha vinto la sfida. È stato il film più visto della storia del cinema giapponese. In tutte le categorie, superando anche i film con attori in carne e ossa. Ma all’epoca su tutto questo gravava un gigantesco punto interrogativo.
Incontro con HAYAO MIYAZAKI

Igort: All’interno delle sue opere, che importanza ha il fatto di volare o di restare sospesi nell’aria?
Hayao Miyazaki: Nel film a cui sto lavorando ora (N.d.T.: si sta riferendo a Mononoke Hime uscito in Giappone nell’ormai lontano 1997!) non si vola per niente... (Miyazaki ride) ...eppure ho l’impressione che questo film diventerà l’opera più importante di tutta la mia produzione. Perciò, si vola solo quando è necessario. 

Nelle sue opere precedenti che importanza ha il fluttuare nell’aria?
Be’... sì, ovviamente è un aspetto importante. Penso che rappresenti per me una specie di liberazione. Liberarsi dalla forza di gravità credo comporti anche una liberazione mentale.

La leggerezza, per esempio il movimento delle penne e delle piume degli uccelli, il "volare lieve come un uccello" se vogliamo dirlo con le parole di Paul Valery, per lei, che significato ha?
Più che la leggerezza a me preme riuscire a descrivere l’aria, cioè l’esistenza di un qualcosa che non si può percepire con la semplice vista.

Qual è la sua definizione di "leggerezza"?
Con "leggerezza" intendo l’essere sballottati. È per questo motivo che la parola, almeno dal mio punto di vista, non ha una connotazione particolarmente positiva.

In Europa la leggerezza, le piume sono viste in modo positivo...
Per me la parola "leggerezza" è insufficiente, da sola, a esprimere tutto questo.

E allora, il senso di liberazione a cui si riferiva prima?
In giapponese non sempre la leggerezza corrisponde a una liberazione. Tutte le parole non sono mai del tutto positive o del tutto negative e ciò vale anche per concetti come il volare e la leggerezza.
Nelle sue opere precedenti perché ha sempre fatto sì che i suoi personaggi volassero?
In giapponese abbiamo anche l’espressione "gli scemi e il fumo amano andare in alto". E io, non essendo fumo... (Miyazaki ride). Per me il mondo non è soltanto la terra, il luogo in cui vivono gli esseri umani. Nel creare le mie opere ho voluto sfruttare tutti i mondi esistenti e liberare gli esseri umani dalla forza di gravità è stata una delle tecniche che ho adottato per raggiungere questo scopo. Il film a cui sto lavorando ora è ambientato in Giappone nel XV secolo, per cui non presenta scene di volo. Usando la magia forse i miei personaggi sarebbero riusciti a volare ma non l’hanno usata così... L’azione si sviluppa con la protagonista e gli altri personaggi che girovagano nella foresta.

Le riformulo la domanda di prima. Che significato ha la leggerezza all’interno di un programma di difesa della natura?
Nel pensiero umano, la leggerezza ha significato anche libertà. Con questa accezione, vale la pena di diventare leggeri. Penso che se gli esseri umani insisteranno a portare avanti il concetto di civiltà materialista creata su questa terra, essi non arriveranno a vedere la nuova era.

La maggior parte dei cartoni animati giapponesi presenta una forte componente di violenza. Le sue opere invece presentano un’atmosfera sognante, "soft". Sarà così anche per il futuro?
La mia prossima opera (N.d.T.: vi riferisce sempre a Mononoke Hime) sarà infarcita di violenza.

Davvero?
Si. Penso che il mondo sia fatto di violenza e di gentilezza, e quando ne vale la pena è bene saper esprimere anche entrambe la cose nella stessa opera senza farsi troppi problemi.

Questa violenza è fisica o mentale?
Quest’opera parla di un’antica foresta del Giappone, degli antichi dei che la abitavano (un gigantesco cinghiale e un enorme lupo) e della loro lotta contro gli esseri umani. La lotta è tra la foresta e gli esseri umani che vorrebbero appropriarsi di essa ad è una lotta inevitabile. Prima di riflettere sul loro rapporto con la natura e raggiungere la conclusione che dovrebbero rispettarla, gli uomini la sfruttano totalmente. Si è verificato in passato e deve essere ammesso oggi affinché gli uomini ritornino a dialogare con la natura. Ho deciso di fare quest’ultimo film con questo intento. Ecco perché le parti violente sono inevitabili: violenza da parte degli esseri umani e violenza da parte della foresta.

Parliamo ora di ricordi. Che importanza hanno nella sua vita e nelle sue opere?
Non do molta importanza al passato. Ho dimenticato quasi tutto dalla mia infanzia. I miei vent’anni sono stati orribili. Nello sforzo di cancellarli dalla mia memoria ho finito per dimenticare quasi tutto. (Miyazaki ride). Anche se me ne ricordassi, più che provare nostalgia di quel periodo, ne risentirei l’amarezza e la sofferenza. So che ci sono ricordi che non si devono dimenticare, ma io non amo dare loro molto spazio. Non do nemmeno importanza ai miei oggetti e alle mie foto, alle cose che ho disegnato. Sono un uomo senza ricordi. Mi sono già dimenticato di ciò che ho fatto e non guardo mai una mia creazione dopo averla terminata. (Miyazaki ride).
Come determina gli scenari dei suoi film?
Un tempo pensavo che avrai dovuto ambientare la mia opera solo in Giappone ma dopo averne create alcune sono arrivato alla conclusione che l’ambientazione non era così importante, che le persone, gli esseri umani vivevano ovunque e che avrai fatto meglio ad ambientare le mie storie dove ritenevo fosse più necessario. E anche dal punto di vista temporale, e cioè presente, passato e futuro non mi sono parsi più così importanti. Un’opera fantastica a cui sto lavorando ora è ambientata in Giappone nel XV secolo ma la prossima opera vorrei che fosse legata all’oggi. Per andare avanti qualche volta bisogna liberarsi del passato. (Miyazaki ride.) Ho l’impressione di non essere riuscito a soddisfare appieno la vostra curiosità. Avrò risposto in modo adeguato alla vostre domande? Ho voluto creare questo film senza scena di volo perché tutti ormai continuavano a dire che mi piaceva far volare le cosa e per mettere un freno a tutta le domanda che mi fanno sulla leggerezza. Ma a metà del film mi era venuta una gran voglia di far volare qualcuno o qualcosa... beh, alla fine ho visto che non era possibile a mi sono arreso.

Allora, alla fin fine le piace volare, eh?!
Sì, è logico! Dal punto di vista degli esseri umani, il mondo è piccolo. Dal punto di vista delle creature minuscole però il mondo appare enorme. Gli uomini pensano che il mondo sia piccolo ma in realtà questo mondo è molto grande, profondo, vario, gigantesco. Per gli uomini un’altezza di 100 metri è notevole eppure ci sono anche esseri viventi per cui 1 solo metro è un’altezza impressionante. Queste creature condividono il mondo. Quando ne avrò l’occasione mi piacerebbe riuscire a mostrare questi mondi diversi. Per esempio, quando piove, una goccia d’acqua è tutto o niente: vorrei riuscire a rendere questa differenza di punti di vista in un nuovo film.

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