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sabato 23 febbraio 2019

[Oldies but goldies] MIKE MIGNOLA 2002

Continuano a riemergere tesori dimenticati dall'archivio, che appare sempre più infinito, di Ultrazine.

Questa volta la "gemma" è una lunga intervista a MIKE MIGNOLA realizzata da Dan Epstein, tradotta e pubblicata su Ultrazine, con l'autorizzazione dell'intervistatore, in due parti nel giugno 2002.
L'intervista originale apparve sul sito Slushfactory (non più online) nel marzo 2002. 
Traduzione di smoky man & Silvio Schirru.

Buona lettura!
(Acc, era il 2002! Quanto tempo fa!!! Negli anni successivi ho inutilmente tentato, in diverse occasioni, di intervistare Mignola: non era destino, evidentemente. A little smoky confession!)
DAN EPSTEIN: Hellboy: The Conqueror Worm [Il Verme Conquistatore, miniserie edita dalla Dark Horse nel 2001, N.d.T.], reca una citazione tratta da Edgar Allan Poe. Poe è stato di grande influenza per te?
MIKE MIGNOLA: Non in particolare, è un'influenza importante per chi si occupa di argomenti simili. Era un bel titolo e mi è sempre piaciuto ed è stato un caso felice che rileggendo il poema sembri perfetto per le immagini iniziali del fumetto. Il titolo dà un tocco di classe a quello che altrimenti sarebbe un B-movie alla Roger Corman.

DE: Davvero consideri Hellboy una specie di B-movie?
MM: Gran parte dei lavori su Hellboy lo è. Ho sempre pensato di star facendo delle storie che sarebbero piaciute a Ed Wood. Poi ho cercato di farle come se si trattasse di un film d'autore. Per cui perdi la percezione di quanto la storia sia stupida, e ti attacchi a tutte quelle pretenziosità che non sarebbero necessarie. Se ho una ricetta di come fare le cose è questa.

DE: Saresti interessato a fare un film di serie A o uno che non sia di genere?
MM: Odio dirlo, perché può farmi sembrare una specie di ritardato, ma non ho molto interesse verso film che non siano di genere. Ho sempre voluto disegnare storie di mostri e fantasmi sin da quando, credo, ero nella sesta classe [la scuola elementare americana ha otto classi, N.d.T.]. Avevo letto Dracula e poi mi ero detto: "Ecco, è questo che voglio fare". C'è così tanto materiale su cui lavorare. Voglio fare qualsiasi cosa, dalle storie di fate, a quelle legate alle leggende e alle credenze vittoriane.

DE: Così, non farai mai nulla di autobiografico?
MM: Non credo proprio.

DE: Il personaggio di Lobster Johnson è basato sull'Uomo Mascherato di Lee Falk?
MM: Lobster Johnson è basato su diversi personaggi di quel tipo. Gran parte di quello che faccio si basa sulle letture fatte alla high school. Leggevo Doc Savage e roba simile. Ho sempre amato il periodo delle riviste pulp. Volevo un personaggio che fosse un sentito e tangibile omaggio a quelle produzioni.

DE: Che cosa è nato prima, l'idea grafica del verme o il nome della serie?
MM: Credo che appena ho avuto chiaro il fatto che stavo per fare una storia con un verme gigante quell'immagine era già dentro la mia testa. Quando ho davvero disegnato il verme ho scoperto che quello che avevo in testa era un caterpillar e non un semplice verme.

DE: I vermi non fanno paura.
MM: È esatto, non sono per nulla interessanti.
DE: Come sarà la prima avventura di Hellboy in Africa [The Third Wish, N.d.T.]?
MM: In origine volevo fare una storia breve ambientata in Africa. Poi ho pensato che quella storia era troppo stupida. Perciò la prossima miniserie di Hellboy, di cui sto finendo l'ultima pagina, inizierà in Africa per poi spostarsi sul fondo dell'oceano.

DE: Niente più nazisti, eh?
MM: Niente più nazisti, ne ho fatto fin troppi. Sono dei grandi cattivi, del genere adatto ai pulp di cui parlavo prima. Magari li nominerò strada facendo ma non ho alcun progetto incentrato sui nazisti. Non ho mai pianificato di usare i nazisti se non come un elemento inerente l'origine del personaggio. Però una volta che crei un personaggio che è una testa nazista chiusa in una specie di giara, ti dici: "Questo tizio lo voglio usare di nuovo". The Conqueror worm sembra essere il fumetto in cui ho davvero avuto a che fare con l'argomento dei super-criminali nazisti. Sono apparsi anche in altre miniserie ma quello è il solo caso in cui li ho usati come "veri" cattivi. Una volta fatto non ho nessuna intenzione di ripetermi. Perciò ora mi sto spostando dalle vicende di scienziati pazzi a temi puramente soprannaturali.

DE: Qual è stato il tuo coinvolgimento nello sviluppo del romanzo su Hellboy The Bones of Giants?
MM: Sono stato molto coinvolto da quel volume. Con il primo, The Lost Army, non ho quasi avuto nessun coinvolgimento se non leggerlo e dare qualche input. Ma era una idea di Chris [Golden, lo scrittore del libro, N.d.T.]. Il secondo era un'idea che avevo avuto per una miniserie di Hellboy. Ma era una cosa su cui non pensavo di ritornare per disegnarla. Perciò ho dato a Chris una specie di spunto. Gli ho suggerito la scena iniziale e qualche altro passaggio, qualcosa su dei giganti dei ghiacci e Thor che venivano trovati su una spiaggia da qualche parte e l'idea del martello di Thor saldato alla sua mano. Questo è quello che avevo immaginato, ho passato tutto a Chris che è molto ferrato in mitologia nordica e lui ha aggiunto tutto il resto.

DE: Ho appena finito il romanzo di Neil Gaiman, e anche nel suo libro si parla di mitologia nordica. Questa tematica non è già troppo sfruttata dal fumetto di Thor della Marvel?
MM: Non credo, la mitologia nordica è davvero piena di spunti. Thor era il mio fumetto preferito quando ero piccolo e probabilmente è stato il motivo che mi ha portato ad usare un sacco di quelle leggende nei miei lavori. Perciò se avessi disegnato quella storia invece di fare il romanzo, avrei usato un sacco di riferimenti al Thor di Jack Kirby. La mitologia nordica è così ricca. Non potrà mai essere usata fino ad esaurimento.

DE: Come hai conosciuto Chris Golden?
MM: Credo sia uno dei tizi, ai tempi della prima miniserie di Hellboy, che scrisse una recensione davvero positiva per un giornale. Mi contattò per potere scrivere dei racconti da inserire in appendice agli albi. Ci siamo scambiati idee in proposito per un po'. Lessi i romanzi che aveva scritto e l'idea iniziale dei racconti crebbe fino a diventare un vero e proprio romanzo.
DE: Non hai scritto né disegnato BPRD [la miniserie di 3 intitolata Hollow Earth, incentrata sugli altri agenti del Bureau for Paranormal Research and Defense. Disegni di Ryan Sook, N.d.T.]. Hai però fatto i soggetti?
MM: Ho fatto quasi tutto il soggetto del primo episodio; avevo certe idee su dove alcuni dei personaggi si trovassero. Non avrei mai avuto il tempo di parlarne vista la direzione che Hellboy stava prendendo. Ho contattato Chris e gli ho detto quello che sapevo sui personaggi e l'idea su sui volevo si basasse la storia. Probabilmente gli ho dato circa metà del soggetto. Lui e l'altro scrittore della miniserie, Tom Sniegoski, l'hanno espanso e aggiunto altri elementi. Una volta che loro avevano scritto la sceneggiatura, l'ho ripresa e ho sistemato alcuni degli elementi della storia dell'universo di Hellboy che gli avevo passato. In più ho aggiustato i dialoghi perché solo io so come quei personaggi si esprimono. È difficile per chiunque altro lavorare su personaggi di un altro. E ogni volta che un altro scrittore scrive Hellboy, ci torno sopra e ritocco i dialoghi, la stessa cosa è successa con BPRD.

DE: Come ci si trova a creare l'universo di Hellboy?
MM: Beh, l'aspetto frustrante nel creare questo universo è che penso sempre più velocemente ma disegno sempre più lentamente. Per questo è piacevole avere qualcun altro che mi aiuta. Ho idee su una mezza dozzina di personaggi. Su ognuno si potrebbe fare una miniserie di 100 pagine, ma quando diavolo riuscirei a farle?

DE: A che ritmo disegni?
MM: Molto lento. Se riesco a fare le matite di una pagina in una giornata, è una giornata davvero buona.

DE: Hai detto che stai diventando sempre più lento.
MM: Anche per via di dover gestire l'"impero" legato al personaggio di Hellboy, dover visionare questo, approvare quest'altro, un sacco di cose mi portano via dal disegnare. Per anni mi sono svegliato pensando: "Accidenti, devo passare tutta la giornata al tavolo da disegno". Ora quando c'è un giorno senza interruzioni, quando le mie figlie sono a scuola, sono stupito.

DE: Perché qualche anno fa sei andato via da New York City?
MM: Beh, era nata mia figlia. Vivevamo a Brooklyn e mia moglie voleva smettere di lavorare. Mi è incominciata a piacere l'idea di Portland in Oregon; la Dark Horse si trovava lì. Ho pensato che fosse il momento giusto per spostarmi e stare a contatto con la mia casa editrice. Inoltre lì c'era Powell's Books, la miglior libreria dell'usato d'America. Alla fine abbiamo trovato casa a tre isolati di distanza da lì. Mia figlia è più grande ora, e mia moglie voleva tornare a lavorare, così siamo ritornati.

DE: Portland ha visto crescere un'importante scena fumettistica con la Dark Horse e la Oni Press. Hai legato con altri artisti?
MM: In realtà no, non ce n'era nessuno tra quelli che abitavano vicino. Ho conosciuto qualcuno, non ero distante dalla sede della Dark Horse ma per la maggior parte del tempo stavo da solo nel mio studio.

DE: Che cosa ti ha spinto a proporre Hellboy alla Dark Horse?
MM: Al tempo non c'erano tante case editrici a cui rivolgersi. Ho iniziato Hellboy un paio d'anni prima che la Image rendesse possibile per tutti il concetto di creator-owned. L'Image è stato l'esempio a cui rifarsi. Chiunque stava creando le proprie storie e io ero giunto al punto della mia carriera in cui avevo fatto diverse cose interessanti. L'idea di creare i miei personaggi mi sembrava un evoluzione naturale. Ci furono delle discussioni, non con me, alla Dark Horse su Art Adams, che aveva appena iniziato a lavorare al suo progetto personale. Allora io e lui vivevamo nella stessa zona di San Francisco. Discutevamo insieme e l'Image stava prendendo contatti con lui. Gli mandarono una proposta per andare all' Image e l'offerta fu estesa anche a me. Ma la Dark Horse ci è sempre sembrata una scelta in cui ci riconoscevamo di più. Con i ragazzi dell'Image, era davvero una generazione diversa. La Dark Horse stava pubblicando Sin City di Frank Miller e facendo delle cose con Geoff Darrow. Mi sarebbe piaciuto essere associato con quel tipo di materiale piuttosto che con le produzioni Image.
Insieme [io, Art Adams e John Byrne] costituimmo un piccolo gruppo e dicemmo alla Dark Horse, "Fateci lo stesso contratto che garantite a Frank [Miller] e saremo felici". È stato molto semplice. Infatti, la Dark Horse mi chiese cosa pensavo di fare. Io risposi che avrei fatto Hellboy ma non mi chiesero mai di che cosa si trattasse, non mi chiesero mai di vedere nulla, mi hanno solo detto "va bene". A differenza degli altri del gruppo non avevo dei grandi record personali come quelli di Art Adams, Frank Miller o John Byrne. All'inizio ho beneficiato dalla Legend probabilmente più di chiunque altro. Mi mise nella stessa classe con artisti con i quali non ero mai stato associato.

DE: Che successe poi alla Legend? È stato per quello che Byrne lasciò la Dark Horse?
MM: Non ha niente a che fare con quello. La Legend, per me, non era altro che un simbolo che mettevamo sui nostri albi. Non è mai stata una divisione della Dark Horse. John aveva altre idea su cosa la Legend avrebbe dovuto essere. John [Byrne] e Frank [Miller] possedevano il copyright. John iniziò a dire cose del tipo "bisogna fare così, tu non puoi fare questo né quello". Invece di d'essere liberi di agire ognuno indipendentemente dagli altri, qualcuno iniziò ad immischiarsi negli affari degli altri.
Non penso che la Legend avrebbe mai potuto funzionare se non con ciascuno di noi impegnato a fare i propri progetti. Era previsto di fare un set di card e quell'idea segnò la fine della Legend. Io non volevo farlo. Mi dicevo che se avessimo cercato di fare un qualcosa a cui contribuivamo tutti, qualcuno avrebbe potuto dire: "questo può andare, questo non può andare". Se qualcuno avesse cercato di imporre la propria opinione sarebbe stato un bel problema. Sapevo che avrei passato una settimana a fare quelle card, nessuno le avrebbe viste, e io mi sarei arrabbiato ed è esattamente quello che è successo. Nessuno ha mai visto le mie card e l'intera Legend è saltata in aria per colpa di quelle card. Questo è quello che ricordo. Ero davvero arrabbiato. Degli altri, alcuni smisero di parlarsi.

DE: Ci sono sempre intrighi e controversie in questo piccolo mondo del Fumetto.
MM: Beh, è tutto così stupido. Se potessimo concentrarci solo sui nostri progetti e fare solo quello che sappiamo fare, tutto andrebbe meglio. Non appena qualcuno dice "Penso che questo debba essere così …". Non rifilare la tua idea di come si debbano fare le cose a me!
Così quando la Dark Horse disse che stavano per lanciare la linea Maverick ho pensato: "Oh merda, sta per succedere di nuovo". Fortunatamente Maverick è stato definito semplicemente come la linea creator-owned della Dark Horse. Non c'è nessuna riunione, io non conosco la metà di quelli che stanno lavorandoci, Maverick è solo un titolo che la Dark Horse appiccica su certi albi. La Dark Horse spiega questo con il fatto che stanno pubblicando molti albi diversi, che è il loro modo per dire che sostengono materiali creator-owned, cosa che molti editori non fanno. È certo che se mi soffermo a guardare il lavoro degli artisti che sono sotto l'etichetta Maverick, mi sento onorato dall'essere in compagnia di gente come Craig Russell.

DE: Tu e Frank Miller siete ancora in contatto?
MM: È tutto a posto tra me e lui. È divertente, Frank vive a New York City e ora anch'io, ma lo sento meno rispetto a quando vivevo in un altro stato.

DE: Quando hai messo su carta Hellboy per la prima volta?
MM: Nel 1993.
DE: Si trattava di uno dei tanti sketch o volevi davvero creare un personaggio?
MM: Avevo disegnato e co-sceneggiato uno one-shot di Legends of the Dark Knight (il # 54, scritto insieme a Dan Raspler), in cui Batman parla con un morto. Una misteriosa ghost story. Ero molto soddisfatto del modo in cui era venuta fuori. La considero la prima storia di Hellboy. Sentii che volevo fare altre storie come quella. Anziché venirmene fuori con altre storie del genere e provare a farci entrare per forza Wolverine o Batman, capii che preferivo costruire un personaggio da inserire in quelle storie. E doveva essere un personaggio divertente da disegnare.

DE: John Byrne fece lo script della prima mini di Hellboy. Perché avesti bisogno di lui?
MM: Non avevo mai realizzato uno script e non ritenevo di poterlo fare. Essendo spaventato dallo scrivere, la mia idea fu di chiedere a John che volevo fare una roba alla Frankenstein. Prima di passargli la cosa, iniziai a buttar giù qualche idea, poi qualche altra, e mi ritrovai con un intero soggetto. Così scrissi io la storia senza aver mai detto a John di cosa parlasse. Non ho niente contro John, dato che senza di lui non avrei potuto farcela, ma avrebbe cambiato in troppi punti ciò che avevo fatto e io avrei sempre pensato che preferivo la mia versione.
Inoltre, John scrisse la narrazione in prima persona, e credo che fosse stata una mia idea.
Ma non funziona, così la prima miniserie è un esempio di come non volevo che "suonasse". Ma avevo desiderato che John la scrivesse in modo che il tutto somigliasse a un fumetto professionale. Ma alla fine pensai che fosse un po' troppo perfettino e raffinato mentre io volevo qualcosa di più incoerente, che avesse dentro un po' più di me stesso e della mia personalità. Durante tutto il processo John sapeva che avrei finito per scriverla io, questa cosa. Ora, c'è un mucchio di scrittori che mi vengono in mente che avrebbero cercato di renderla una cosa loro o, al massimo, una combinazione tra la mia e la loro.
La bellezza di aver avuto John su quella miniserie è che ha sempre affrontato la cosa come se fosse mia. Mi ha aiutato ma non ha mai cercato di inserire proditoriamente degli elementi suoi. Mentre la miniserie procedeva, iniziai a rivedere quello che John aveva scritto. Aveva scritto moltissime didascalie ma io ne eliminai un bel po'. Non se ne è mai lamentato. E non mi vengono in mente tanti scrittori che l'avrebbero presa così bene. The Wolves of Saint August, che realizzai per Dark Horse Presents [numeri #88-91; in Italia I lupi di Saint August, N.d.T.], fu il mio primo lavoro autonomo. Era spaventoso e rozzo, ma non so se avrebbe potuto essere altrimenti.

DE: Come procede il film di Hellboy?
MM: Mi stupisce che questa non sia stata la seconda domanda. Non ne ho idea. Quello che sanno tutti è quello che so io. Siamo in attesa che qualcuno dia il via libera. Da quello che ho letto ultimamente e a giudicare dalla mia ultima conversazione col regista, Guillermo del Toro, lui vuole davvero che Hellboy sia il suo prossimo film. 

DE: Un eventuale successo di Blade 2 [sempre diretto da Del Toro, per cui Mignola ha realizzato parte della "concept art", N.d.T.] sarebbe d'aiuto?
MM: Già si dice bene di Blade 2 e altrettanto positivamente si è espressa la critica sul suo film The Devil's Backbone. La mia sensazione è che se il film su Hellboy deve essere fatto, questo è il momento giusto. Mi piacerebbe molto che fosse lui a girarlo. Ha l'approccio giusto all'argomento. Quando ci incontrammo la prima volta, fummo subito d'accordo su chi dovesse impersonare Hellboy.

DE: Vi siete trovati d'accordo indipendentemente, però?
MM: Ha raccontato questa storia abbastanza di recente, ed è esattamente il modo in cui la ricordo io. Eravamo a colazione, entrambi avevamo raggiunto indipendentemente un'idea su chi volessimo e fu solo un caso che uno di noi due abbia calato le proprie carte per primo. Dicemmo "Ron Perlman" quasi all'unisono. Era un buon inizio. A un certo punto, Guillermo disse: "Voglio fare di Hellboy l'ultimo imperatore dei B-movie dell'orrore". Era esattamente la mia formula. Perfetto. In un certo senso i suoi processi mentali sono simili ai miei. Vuole fare quel genere di film ma con una autentica mentalità da film d'autore.

DE: Lui stesso è un illustratore.
MM: Ci sono cose che ha fatto per Hellboy che mi hanno fatto dire "Non so...". Ma ho fiducia nella sua visione. Se riesce a tirare fuori ciò che avrei fatto io, adorerò vederglielo fare.

DE: Il personaggio ti apparterrà ancora se il film viene realizzato?
MM: Vorrei conoscere la risposta. Non mi apparterrà più come mi appartiene adesso. Alcuni diritti andranno ceduto allo Studio. Ma non credo che accadrà nulla che mi impedisca di realizzare il fumetto. E questo è ciò che più mi interessa. Se vendo il film e i diritti per l'animazione, va bene, ma solo finché posso continuare a fare ciò che voglio fare: il fumetto. Penso che i miei avvocati lasceranno fuori qualcosa in modo che io possa ancora fare un portfolio in edizione limitata e roba del genere. Ma non ho intenzione di realizzare personalmente un sequel, perciò se desiderano quei diritti, lascerò che li abbiano.
Ho avuto una conversazione molto interessante con Todd McFarlane. Mi contattò perché realizzassi una cover per il numero 100 di Spawn. Disegnai Spawn col mantello strappato e sfilacciato. Todd mi chiese di cambiare il disegno. Mi sono indignato come solo gli artisti sanno fare: "Riprenditi i tuoi soldi e ridammi il disegno!", ma Todd mi spiegò che la New Line detiene i diritti dello Spawn con strappi e sfilacciamenti, mentre lui ha quelli dello Spawn liscio. E' una cosa stupidissima!

DE: Agli avvocati saranno servite 10 ore solo per pensarci.
MM: Una cosa alla quale hanno pensato è di spostare la mano di pietra di Hellboy dal braccio destro a quello sinistro. In un certo senso mi fa piacere perché distingue l'Hellboy di Mignola da quello di Del Toro. Ma è tutto molto complicato. Sono coinvolte intere squadre di avvocati. Questa roba non mi interessa. L'unica cosa che davvero mi piacerebbe sarebbe avere la possibilità di lavorare con Del Toro nel film.

DE: Se non accadesse, sarebbe la fine del progetto?
MM: Non necessariamente. Lui vuole farlo e io sono d'accordo. Per adesso siamo a questo punto. E' un bravo ragazzo. Ho lavorato con lui su Blade 2 per un paio di mesi e ci siamo divertiti. Sarebbe bello fare Hellboy insieme.
DE: Sei andato a Praga per lavorare a Blade 2?
MM: L'ho fatto, ma non direttamente per il girato. Ho aiutato Del Toro a trovare le locations. Era abbastanza strano. Non sapevo che avrei fatto proprio quello quando mi svegliai al mattino. Pensavo di essere diretto a Los Angeles per lavorare al film e che in seguito avrei lavorato da casa. Quando arrivai a Los Angeles mi dissero che stavo per partire per Praga. Grande!

DE: Cosa facesti esattamente?
MM: Ero praticamente agli ordini di Del Toro. Qualunque cosa gli servisse - costumi, set o altro - si rivolgeva a me e a altri due tizi. Dovevo realizzare disegni che poi sarebbero finiti in mano al costumista o ai designers di produzione. Ero il collegamento tra Guillermo e le persone che dovevano realizzare materialmente questa roba.

DE: Come venisti accreditato?
MM: Nei credits figuravo come "visual consultant". Non ho idea di cosa significhi.

DE: Hai lavorato al design dei Reavers, i vampiri mutati?
MM: Ci lavorammo prima che arrivasse Wayne Barlowe, lo specialista di mostri. Ma lui era lo specialista e se ne venne con il modo in cui esplodevano.

DE: Sono un grande fan di David Cronemberg e la production designer per Blade 2 è Carol Spier (che ha ricoperto lo stesso ruolo in Crash, La mosca e Il pasto nudo). Com'è stato lavorare con lei?
MM: Lei è grande. Anche in questo caso, a me spettava la parte facile. Dovevo disegnare roba senza alcuna restrizione. Poi davo la roba a Carol che chiedeva cose del tipo: "Come diavolo faccio a realizzarlo?". Io avevo immaginato un laboratorio gigante: lei guarda il disegno e mi fa: "C'eri anche tu a Praga e hai visto gli spazi disponibili. Dove diavolo dovrei costruirlo, secondo te?". Il mio compito era di immaginare quelle cose e quello di Carol di venire a patti col mondo reale. Era bravissima a lavorarci e a tener duro.

DE: Cosa disegnasti esattamente per Blade 2?
MM: Uno dei personaggi (Lighthammer, interpretato da Daz Crawford) utilizza un gigantesco martello sormontato da una punta. Io ho disegnato il martello. C'è anche un tavolo da autopsie sul quale Blade è sdraiato che a un tratto si anima e lo tira giù. Anche quello è mio. Anche uno dei laboratori è mio, ma non sono sicuro di quale. Nel sito c'è una cosa molto bella: i miei sketch commentati da Del Toro.

DE: Cosa ne pensi della controversia di Marv Wolfman su Blade? (Quando fu prodotto il primo Blade, Marv Wolfman, che co-creò il personaggio sull'albo Tomb of Dracula nel 1970, citò la Marvel sostenendo di detenere i diritti del personaggio. Perse la causa).
MM: Non ne so molto, dal momento che non ho avuto nulla a che fare col primo film. Non mi sono mai trovato in una situazione in cui personaggi di mia creazione prendessero parte a qualcosa che facesse fare un mucchio di soldi a qualcun altro. Indubbiamente ho lavorato per le majors, ma sapevo quello che facevo. Anche se mi dispiace per chi è posto in una situazione in cui le regole non sono definite chiaramente quanto lo erano quando io iniziai a lavorare.
DE: Perché il videogame per PC di Hellboy non è stato realizzato negli Stati Uniti?
MM: Non ne ho idea. Dev'essere successo qualcosa di veramente bizzarro. Non ho mai avuto una risposta diretta. La gente che ci lavorava faceva, in qualche modo, parte della Dark Horse. Io me ne sono completamente dimenticato perché la creazione del gioco andò avanti per anni. Quando poi mi sono informato sulle sorti del gioco, seppi che la compagnia che se ne occupava era tornata in Francia o era divenuta un'entità separata. Nessuno ne sapeva nulla e nessuno aveva l'aria di volersene occupare.
In effetti il gioco venne realizzato. Ne ho una copia, anche se non l'ho mai usata. I giochi per PC non fanno per me. Non ho mai visto un centesimo per quel progetto, ad eccezione della somma iniziale che mi versarono per i diritti. Ho l'impressione che dietro tutta la faccenda ci sia qualcosa di losco. Realizzarono un mouse-pad e roba del genere, sebbene io non avessi dato loro una specifica autorizzazione. Probabilmente, quando iniziarono, la tecnologia video-ludica era al passo con quanto stavano facendo, ma nel momento in cui terminarono, aveva fatto enormi progressi. Credo che tutti, alla Dark Horse, preferiscano che la cosa venga dimenticata. Speriamo di poter comunque realizzare un gioco per gli Stati Uniti.

DE: Ho visto che hai realizzato una cover per Deadman, questo mese.
MM: Sì, una sequenza di tre cover per Deadman [in realtà sembrerebbero 2 sole cover per Deadman #4 e #5].

DE: Ovviamente hai ancora chiamate con offerte di lavoro dalle grandi case editrici.
MM: Non tanto spesso. E quasi mai dalla Marvel. Più o meno una ogni due o tre anni. La DC mi chiamò per realizzare quelle copertine, e stupidamente pensai si trattasse di Deadman, il fumetto horror, come quello cui lavorò Kelley Jones qualche anno fa. Accettai perché pensai che sarebbe stato divertente. Ma quando vidi come era davvero il fumetto, realizzai che non si trattava dell'albo horror. Non credo che fosse un lavoro adatto a me. E' stato come un caso di pubblicità ingannevole.

DE: Adesso è un supereroe?
MM: Non so nemmeno cosa diavolo sia. Ha l'aspetto di quel genere di fumetti in cui la gente entra ed esce dalle auto e passeggia lungo dei corridoi. Non roba paurosa come case infestate e tombe.

DE: Nessuno ti ha chiesto di realizzare un intero albo?
MM: Ho l'impressione che avrei potuto farlo, se avessi voluto. Ma si sa che non mi interessa fare roba simile. Una volta che hai potuto realizzare personalmente il tuo lavoro, facendo qualunque cosa tu voglia col tuo personaggio, è molto difficile tornare a lavorare per altri, con un sacco di regole. E' più facile dire "Io so cosa è successo!".

DE: E' stato più facile lavorare come "dipendente" nel film Disney Atlantis?
MM: E' stato divertente. Un'esperienza completamente diversa. L'esperienza con la Disney e con Blade sono state così uniche perché ero parte di un team che lavorava a qualcosa. L'idea di essere pagato a ora per stare seduto e tirar fuori idee, senza necessariamente disegnarle.

DE: Com'è stato lavorare con altra gente che la Disney aveva preso per disegnare, esattamente come te?
MM: Non so quante fossero le persone coinvolte. Insegnavano ad alcune persone a disegnare come me, non so con quanto successo. Ciò che mi colpì fu che quando entrai alla Disney c'erano diagrammi appesi sopra le pagine dei miei albi che spiegavano come lavoro e cosa faccio in termini che non ho nemmeno capito. E' stranissimo vederti dissezionato. Ricardo Delgado (Age of Reptiles) era il tizio che avrebbe dovuto insegnare alla classe a disegnare come me. A me non lo chiesero, e francamente un altro lo avrebbe fatto meglio di quanto avrei fatto io. Essendo più o meno autodidatta, non ho idea del perché faccio quello che faccio. Ma per un altro è strano doverlo capire per poter istruire altri.

DE: Rimanesti deluso dall'insuccesso di Atlantis?
MM: Sarebbe stato bello che fosse una gigantesca hit. La cosa positiva è che non era il mio film. E' stata un'esperienza divertente. Ci ho lavorato circa un anno. Ma nel momento in cui uscì, cioè circa due anni dopo che la mia collaborazione si era conclusa, per me era così lontano che non potevo far altro che sperare per il meglio. Ma vedere il DVD, che contiene così tanto del mio lavoro, è stata un'emozione. Mi hanno accreditato per un sacco di cose, e mi si mostra mentre lavoro e mentre faccio lo scemo alle riunioni e roba del genere. E' bizzarro essere accreditati per un lavoro del genere. Mi piacerebbe molto rifarlo.

DE: Hai notato il tuo stile in qualche altro film in cui eri coinvolto?
MM: No. Solitamente c'è gente che mi dice: "Quel tizio ti imita", ma io tendo a non accorgermene. Ho sentito che in diversi studi di animazione hanno un sacco di miei lavori appesi alle pareti. Ma io non ho mai visto qualcosa per cui ho detto "Acc, quella roba è troppo simile alla mia!".
DE: Perché il tuo progetto, Joe Golem, è stato accantonato?
MM: Be', il progetto di Joe Golem è rimasto in giro per anni. L'ultima incarnazione doveva essere realizzata a New York. Stavo per partire ma poi sono tornato qui. La splash page sarebbe stata la vista fuori dal mio studio. Nella storia alcuni disastri nel passato trasformano New York in un'area disastrata. Mancava una settimana all'inizio del lavoro, ma poi avvenne l'attentato alle Twin Towers. Non me la sentivo di disegnare una New York disastrata finta in una New York semidistrutta vera. Così mi sono dedicato al nuovo Hellboy. Ma in quella storia ci sono elementi che voglio ancora usare. Forse li utilizzerò per Hellboy o in un'altra incarnazione di Joe Golem. Staremo a vedere.

DE: Attualmente ti inchiostri completamente da solo?
MM: Sì.

DE: Lasceresti che qualcun altro ti inchiostrasse?
MM: Solo come cosa originale. Ad esempio se ci fosse qualcuno con uno stile completamente diverso dal mio e volessimo vedere il risultato della combinazione tra i due stili. Ma dovrei radicalmente cambiare il mio modo di disegnare, perché un eventuale inchiostratore sappia che diavolo deve fare coi miei disegni. Ma la mia roba è talmente facile da inchiostrare che preferisco farlo da me.

DE: Il tuo stile è unico. Quando lo hai trovato e hai iniziato a svilupparlo?
MM: Probabilmente mentre realizzavo Cosmic Odyssey (scritto da Jim Starlin). Forse perché disegnavo un sacco di personaggi di Kirby e per mesi me ne sono rimasto seduto col lavoro di Kirby davanti. Fu una liberazione perché prima avevo cercato di disegnare le cose "correttamente". Avere Jack di fronte a me mi fece comprendere che è più d'effetto disegnare in quel modo esasperato. Guardare ai New Gods di Kirby mi fa ridefinire il concetto di strano. Sebbene non abbia seguito ciò che ha fatto lui, mi ha permesso di sentirmi libero di enfatizzare.

DE: Non mi capita spesso di parlare con fan di Kirby così ben conosciuti quanto te. Che mi dici di Kirby?
MM: Purtroppo, per me è quasi impossibile da spiegare. Ha fatto tantissime cose e tutte bene. Aveva compreso il medium e che un bel disegno è secondario rispetto al raggiungere il tuo obiettivo. L'enfasi e l'espressività sono importanti. Ho attraversato fasi, nella mia carriera, in cui cercavo di realizzare schizzi su schizzi e mi sforzavo di disegnare braccia muscolose e gambe perfette. C'è gente che lo fa magnificamente, ma non aveva lo stesso effetto per la storia che stavo realizzando. Non aveva la potenza che Jack riusciva a infondere nelle pagine. Il fatto è che Jack fece un mucchio di cose e attraversò molte fasi interessanti. Fu davvero unico! Probabilmente nessuno ha definito tante cose sul medium quante lui. Nessuno riuscirà nemmeno a raggiungere la sua mole di lavori. Per me è frustrante avere così tante idee e non avere il tempo di realizzarle. Jack infranse questa barriera temporale. Sembra che disegnasse tanto velocemente quanto poteva pensare. Non vedremo mai più nulla del genere. Ma erano altri tempi, un altro business. L'unica cosa che non ho mai fatto con Hellboy e che mi sarebbe piaciuto fare è una bella storia di mostri alla Kirby.

DE: Non c'erano abbastanza braccia nel Verme Conquistatore perché sembrasse un mostro alla Kirby.
MM: Lo so. Quella era roba mia, ma mi piacerebbe fare una storia di Hellboy, prossimamente, simile a un film della Hammer, un'altra simile alle storie del Dottor Strange e una storia di mostri alla Kirby. Mi piacerebbe offrire il mio piccolo tributo a cose del genere. E' sulla lista delle cose da fare.

DE: Il tuo primo contatto con Hollywood avvenne quando realizzasti l'adattamento del Dracula di Francis Ford Coppola per la Topps Comics. Fu Coppola che ti coinvolse?
MM: Di sicuro non fu lui a reclutarmi. La Topps mi chiamò mentre vivevo a NY e mi propose di fare l'adattamento del film. Sapevo che gli adattamenti di film sono orribili, ma si trattava di Coppola e di Dracula, per cui decisi di vedere di cosa si trattasse. In quel periodo mi trasferii a San Francisco: abitavo proprio vicino alla Zoetrope Pictures, la compagnia di produzione di Coppola. Visitai il set, incontrai Francis e lui diede un'occhiata al mio lavoro. Venne fuori che c'era un modello per il castello di Dracula che non soddisfava Francis al 100%. Sono convinto che mi chiamarono perché avevano il mio numero, perché stavo disegnando l'adattamento e perché abitavo vicino. Fatto sta che mi fecero lavorare su quel modello. Fu un problema interessante perché il modello era già costruito. Suggerii delle modifiche, ma mi dissero che erano troppo dispendiose. Ma in quel modo riuscii a entrare nella sede della Zoetrope e a ottenere materiale di consultazione.
DE: Ti piace il design di Dracula, con le ciambelle in testa?
MM: E' strano e interessante. Non avrei mai potuto immaginare nulla del genere. Quando il film era praticamente concluso, Francis mi chiamò perché visionassi il montaggio provvisorio. Quando arrivai, ad attendermi c'erano solo Francis e George Lucas. Ovviamente fu la notte più bizzarra della mia vita. Cenai con loro, visionai il film e poi sentii loro che ne discutevano.

DE: Hai discusso con Lucas?
MM: No, eravamo in disaccordo su qualche cosa.

DE: Tipo?
MM: Tagliare la testa a Dracula alla fine del film. Come diceva Lucas, la regola dice che se vuoi uccidere un vampiro devi tagliargli la testa. Io questo lo so, ma quella era una bella scena romantica e all'improvviso il personaggio di Winona Ryder prende e gli taglia la testa. Questo toglie romanticismo alla scena. Non ero d'accordo.

DE: Ma alla fine rimase nel film.
MM: C'è una scena in cui Anthony Hopkins uccide tre donne vampiro. Originariamente non si sarebbe dovuto vedere che lo faceva. Winona Ryder si sveglia, si guarda intorno e Hopkins esce fuori dal castello con le teste delle tre vampire in mano. Ha un grande coltello in mano, sangue dappertutto e le teste. Io pensai che fosse una bella immagine. George pensò che il pubblico sarebbe stato confuso perché non aveva visto Hopkins uccidere le donne. Io replicai: "Cosa dovrebbero pensare? Che le ha trovate sul pavimento di cucina? E' insanguinato e ha un coltello in mano!". Ma prevalse la tesi di George, che si dovesse cioè mostrare Hopkins che tagliava loro la testa.

DE: E così non lavorasti mai a un fumetto di Guerre Stellari [ride].
MM: No, non c'entra nulla. Fu davvero interessante essere nella stessa stanza con loro due. Come c'ero finito? Non avevo mai lavorato per il cinema e all'improvviso mi ritrovavo a guardare un film tra il tizio che aveva girato Guerre Stellari e quello del Padrino. Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere. Conosco diversa gente del campo cinematografico: a loro non è mai capitata una simile occasione. Sono entrato nel mondo del cinema dalla porta principale. Ho lavorato su storyboards di scene che loro hanno discusso. Il mio coinvolgimento in Dracula è stato sopravvalutato. Fu molto breve. C'è un castello che si vede in un flashback, ed io l'ho parzialmente disegnato. Tutto qui.

DE: Hai scritto ma non disegnato The Doom That Came to Gotham, con un Batman vittoriano. Com'è non disegnare le tue storie?
MM: Molto più difficile perché so cosa ho in testa ma è difficilissimo scriverlo per qualcun altro. sto facendo la stessa cosa anche adesso. Sto scrivendo per Troy Nixey, ed è molto più difficile che prendere l'idea dalla tua testa e realizzarla da te.

DE: Tua figlia legge fumetti?
MM: Li conosce ma non li legge. Adesso ne sta scrivendo uno insieme a me. Ho promesso a Diana Schutz [senior editor alla Dark Horse] una storia di 6 pagine per un'antologia Maverick.
Non avevo idee e mia figlia ne ha tirato fuori una. Ho pensato "wow!". C'era qualcosa di straordinario impatto visivo, in quelle immagini. Ho voluto vedere se fosse possibile prendere quell'idea e trasformarla in un fumetto. E' molto particolare.

DE: Disegnasti il primo Elseworld perfino prima che gli Elseworld esistessero (Batman: Gotham By Gaslight). Sapevi che in quel momento aprivi una frontiera?
MM: Forse lo sapevo in quel momento. Non ricordo molto di quel progetto. Per me era importante perché avevo appena terminato Cosmic Odyssey, piena di supereroi, ed io non volevo diventare un disegnatore di supereroi. Mi piace la roba soprannaturale, oscura. Quando mi proposero Gotham By Gaslight pensai che quel progetto poteva garantirmi una reputazione nell'ambiente.
DE: Vorrei parlare di The Amazing Screw-On Head [un one-shot di recente pubblicazione, N.d.T.]. L'ho appena letto in bianco e nero. E' pazzesco. Sembra il delirio di un febbricitante. Vuoi parlarmene?
MM: Qualcuno, dopo averlo letto, mi ha detto che la cosa bella è che, diversamente da quanto accade con Hellboy, in cui il risultato finale è meno folle di quello che racconto a voce, in Screw-On Head mantengo la stessa forza del racconto orale. E' tanto pazzesco quanto avevo detto che sarebbe stato. E' stato un esperimento divertente.

DE: La maggior parte dei tuoi lavori creator-owned sono umoristici, ma il tuo stile non lo è. C'è un netto contrasto.
MM: Quello che avevo originariamente in mente per Screw-On Head era di realizzarlo con uno stile da cartone animato. Di sicuro sarebbe stato disegnato più in fretta. Spero di aver comunque conservato l'humor e il ritmo.

DE: Una cosa che ho notato, dei tuoi fumetti, è che la gente non apre la bocca quando parla. Lo sapevi?
MM: Probabilmente non lo fanno. Hellboy qualche volta sì, ma la sua bocca è solo una fessura.

DE: Oppure digrignano i denti.
MM: Non sono tipo da espressioni facciali. Alcuni lo sono. Se guardi alla scuola di Adam Hughes, ad esempio, noti meravigliose e sottili espressioni facciali. Non è quello che faccio io. E, in un certo senso, Hellboy è stato creato per essere il mio personaggio definitivo. Praticamente non ha espressioni facciali. Ma possono esprimere qualunque cosa voglio attraverso il modo in cui è costruito il personaggio. In BPRD di Ryan Sook c'è molta più sottigliezza del segno. Io esprimo la sottigliezza in altri modi, come vignette che esprimono l'atmosfera e roba così. Ma lui può fare molto di più con una sola vignetta. Non ho mai preteso di disegnare così bene.

DE: Molti artisti con cui ho parlato hanno una visione molto pessimistica del loro ruolo nell'industria. Come autore di successo e acclamato dalla critica, come consideri il tuo ruolo nell'industria?
MM: Di sicuro non sono disilluso. Sono eccitato da morire. Faccio esattamente quello che voglio fare e riesco a trarne di che vivere. Non ho nulla di cui lamentarmi. O meglio lo faccio, ma so quanto sono fortunato. Sto realizzando molto più di quanto mi aspettassi nel mondo dei comics. Per non parlare dei contatti con Hollywood, in cui mi sono imbattuto per pura fortuna. Pensavo che avrei fatto l'inchiostratore, nel mondo dei fumetti. L'ultimo obiettivo consapevole che ho avuto mentre facevo l'inchiostratore fu di realizzare, un giorno, prima di morire, le matite di una storia di 10 tavole, tanto per poter dire di aver disegnato un fumetto.

DE: Grazie tante, Mike.
MM: A te, Dan.

giovedì 14 febbraio 2019

recensioni in 4 parole [62]

La Storia. L'Avventura.
Calvin & Hobbes: sempre!
Il crimine non paga!
Fumetto bagnato, fumetto fortunato?
********
Abbiamo detto 4 parole su: 
La corsa del Lupo N. 1: Tre pietre nere
di Gigi Simeoni (soggetto, sceneggiatura, disegni)
Copertina: Aldo Di Gennaro
Editore: Sergio Bonelli (collana Le Storie N.76)
Formato: brossurato, 112 pagine, b/n
Prezzo: € 4
Anno di pubblicazione: 2019
Per qualche parola in più: QUI 

Linus - Febbraio 2019
di AA.VV
Copertina: Paolo Bacilieri
Editore: Baldini & Castoldi
Formato: brossurato, 122 pagine, colore
Prezzo: € 6
Anno di pubblicazione: 2019
Per qualche parola in più: QUI

di Lee Allred (testi), Mike Allred (testi, chine, cover), Rich Tommaso (disegni), Laura Allred (colori)
Editore: IDW
Formato: spillato, 32 pagine, colore
Prezzo: $ 3.99
Anno di pubblicazione: 2018
Per qualche parola in più: QUI (English)

Le voci dell'acqua
di Tiziano Sclavi (testi), Werther Dell'Edera (disegni)
Editore: Feltrinelli Comics
Formato: brossurato, 96 pagine, b/n
Prezzo: € 16
Anno di pubblicazione: 2019
Per qualche parola in più: QUI e QUI

domenica 10 febbraio 2019

[Oldies but goldies] WARREN ELLIS 2002

Ladies and gentlemen... Warren Ellis!
Non smettono di emergere piccole gemme dall'archivio di Ultrazine.
A seguire un'interessante intervista, risalente all'ormai lontano 2002, in cinque domande (che ricordo ci costò molta fatica), a WARREN ELLIS, fondamentale autore britannico di comics e molto altro. 

L'intervista fu da me realizzata con l'aiuto di Silvio Schirru e Omar Martini; condotta via e-mail il 15 Luglio 2002 e pubblicata lo stesso mese su Ultrazine.
Buona lettura.
Ultrazine: Penso a Transmetropolitan, Superidol [leggi qui] e all'imminente Global Frequency [1]. Nell'introduzione all'edizione italiana di Superidol, Silvio Schirru ha scritto: "Warren Ellis è convinto di essere uno scrittore di fumetti. Si sbaglia. Warren Ellis è un antropologo".
Sembra che tu stia utilizzando la "maschera" della fantascienza come uno strumento per analizzare la società contemporanea. Ricordo che qualche tempo fa hai dichiarato: "Se c'è una cosa che odio è la gente". Qual è l'esigenza che ti spinge a scegliere un tema o un approccio particolare per le storie che scrivi? Sei un po' disilluso dall'umanità?
Warren Ellis: Non lo siamo un po' tutti?
La fantascienza, per quanto mi riguarda, è qualcosa pensata specificatamente come uno strumento con cui analizzare il mondo contemporaneo. Esistono in realtà solo due tipi di fantascienza: quella di Mary Shelley, in cui si considerano le implicazioni etiche di una nuova idea, e quella di HG Wells, in cui la nostra condizione attuale viene esaminata da un punto di vista distaccato dato dall'ambientazione nel futuro. Come scrittore ondeggio tra le due posizioni, ma tendo verso quella di Wells, soprattutto per quanto riguarda Transmetropolitan. La fantascienza come romanzo sociale.

Sei uno dei pochi autori di comics che parla apertamente e con chiarezza della necessità di trovare nuovi modi per attrarre chi generalmente non legge fumetti, per convincerli che il fumetto è una forma artistica valida, che i fumetti possono essere piacevoli quanto un film, una canzone o un videogioco. Per questo dici "no" alla dittatura dei supereroi (nel Quinto Punto del tuo grandioso The Old Bastard's Manifesto [2]), "no" alla serializzazione e "sì" alle graphic novel e alla diversità dei generi fumettistici. Quale pensi sia il futuro dei comics?
Molto dipenderà dagli editori e dal fatto che mettano in moto per i fumetti un'efficiente distribuzione nelle librerie di varia. Ci stiamo muovendo (sembra) inesorabilmente verso la graphic novel come formato standard per i comics, sia che si tratti di lavori che escono direttamente in volume o di un serial costituito da un numero finito di albi che esce poi in raccolta.
I fumetti che si vendono nelle librerie di varia sono, in larga parte, estranei al genere supereroistico. Penso che stiamo entrando in una fase… e potrebbe essere solo una fase, un periodo transitorio… in cui le fumetterie esistono solo per accontentare i fan dei supereroi o i nostalgici, e che il vero movimento sia altrove. Ci sono in giro 135 mila copie di From Hell, non penserai che le abbiano vendute tutte in fumetteria?
La tua parola definitiva sul genere supereroistico è Planetary. Che cosa significa questa serie per te? Perché hai scelto l'approccio di compilare una sorta di enciclopedia del genere supereroistico?
L'ho fatto per togliermi dalla testa cinque anni di ricerche. C'è stato un periodo nel fumetto americano, che fortunatamente sta finendo, in cui, per far conoscere alla gente le cose che fai in altro genere, dovevi passare del tempo a scrivere fumetti di supereroi. Non sono mai stato un grande lettore di supereroi, perciò ho dovuto fare delle ricerche piuttosto approfondite sull'argomento per scriverli bene. E ora ho la testa piena di questa robaccia, unita ad una stridente consapevolezza che i fattori che avevano originariamente attratto la gente verso quel genere ora sono del tutto assenti. Perciò Planetary è il modo di far uscire tutta quella spazzatura dalla mia testa e farla finire sulla pagina, e anche per mostrare ai lettori perché il genere supereroistico sia durato così a lungo. "Queste sono le glorie che hanno originariamente attratto i lettori. Vedi cosa ti sei perso per colpa di tutti i successivi incroci? Vedi cosa si nasconde dietro questa ridicola e abnorme estensione di un singolo sottogenere? Vedi che cosa ne è rimasto?"

Warren Ellis e Internet: il tuo sito, il tuo famoso Warren Ellis Forum (che incredibile ma vero chiuderai molto presto) e Artbomb.net (il tuo modo diretto di appoggiare e promuovere i romanzi a fumetti). Quanto importante e strategica nella tua idea di Fumetto è stata, e continua ad essere, la Rete?
Ho iniziato ad usare Internet come strumento di promozione personale. Vivendo in Inghilterra, non essendo nel circuito delle convention, non apparendo regolarmente su Wizard, promuovere i miei lavori era davvero difficile. E, francamente, mi piace vivere in Inghilterra e non dover trascorre tutte le estate invischiato in fiere e mostre. Perciò ho cercato di utilizzare il Web come un modo per viaggiare senza dovermi muovere. A cinque o sei anni di distanza secondo alcuni sono "il guru del Fumetto su Internet" e oggi le tecniche che ho utilizzato sembrano costituire almeno la metà di quelle usate da un qualunque PR.
Molte iniziative sono partite dal Warren Ellis Forum, compresa l'idea base di Artbomb.net. [L'idea era] che (ottimisticamente) metà delle fumetterie non hanno i fumetti che potrebbero piacere ad un numero significativo di persone, e un'elevata percentuale di queste stesse persone non entrerebbe in ogni caso in una fumetteria. E una maggiore diffusione dei punti vendita non cambierebbe questo fatto. Ed è qui che il web interviene in favore del fumetto. Il web non è una cosa per fanatici del fumetto. Le connessioni internet sono ovunque. E con la considerazione per i fumetti seri che cresce di mese in mese, c'è un sacco di gente che legge di questi nuovi interessanti fumetti sul web ma non sa dove trovarli, o che vorrebbe saperne di più. È questo che Artbomb.net fa, ed è in questo modo che il Web è davvero utile al medium fumettistico.
Una strana domanda finale. Proprio in questo momento il cielo della tua città è oscurato da una flotta di astronavi aliene apparse dal nulla. Non c'è tempo. Devi correre e scappare di casa. Puoi portare con te solo 3 fumetti, 3 CD musicali, 3 film, 3 romanzi. Quali salverai dalla distruzione e perché?
FROM HELL [di Alan Moore e Eddie Campbell], LE AVVENTURE DI LUTHER ARKWRIGHT [di Brian Talbot], ALEC: THE KING CANUTE CROWD [di Eddie Campbell]. Gli ultimi due sono delle importanti fonti d'ispirazione, il primo è il capolavoro di Alan.

CD? AGAETIS BYRJUN dei Sigur Ros. DOOLITTLE/COME ON PILGRIM dei Pixies. THE VELVET UNDERGROUND AND NICO. Non potrei vivere senza.

La scelta dei film è difficile, perciò barerò. La serie televisiva della BBC EDGE OF DARKNESS su DVD: la sceneggiatura è davvero magistrale. NETWORK, che è perfetto per la sua rabbia e perversione. E forse qualcosa di John Woo, per la forza dei suoi film… direi l'operistico HARD BOILED.

Leggo soprattutto saggistica, perciò prenderei EASY RIDERS, RAGING BULLS di Peter Biskind (la storia della nuova Hollywood), ALL THE PRESIDENT'S MEN di Woodward e Bernstein, e BARROW'S BOYS, la pazza cronaca dell'esplorazione inglese al Polo, bisogna leggere per crederci.

**** Note ***
Ci sono 1001 persone su Global Frequency.
Una organizzazione indipendente di difesa estesa su scala planetaria costituita da 1001 agenti sparsi in tutto il mondo. Qualcuno che conosci potrebbe essere uno di loro. […] Potresti stare seduto a guardare il telegiornale e d'improvviso sentire uno strano squillo telefonico, e poco dopo potresti vedere il tuo vicino uscire in tutta fretta di casa, indossando una giacca o una camicia con un distintivo con il simbolo di Global Frequency ... o, accidenti, la tua ragazza potrebbe rispondere lei al telefono, e mettersi il cartellino di Global Frequency e prometterti che ti spiegherà più tardi […] chiunque potrebbe essere su Global Frequency e non lo saprai mai finché loro non ti chiameranno… da Aleph, la sede centrale di Global Frequency, dove gli ordini vengono dati da Miranda Zero, ideatrice e operatrice dell'organizzazione. Non è certo il suo vero nome, ma è l'unico che avrai. […] Global Frequency esiste grazie al denaro che ha fatto compiendo delle brute azioni negli anni '90 e dai finanziamenti occulti che le nazioni industrializzate del G-8 passano a Global Frequency per fare... quello che fa. […] Tenere un occhio aperto sulle brutte cose che l'opinione pubblica non deve mai venire a conoscenza. Tutti i "black project", le aberrazioni della scienza, i terrorizzanti incontri con l'ignoto, le trappole della Guerra Fredda … sono tutti lì, come mine sparse sul terreno. Alla fine qualcuno ci finirà sopra. Global Frequency è lì per evitare questo e per disinnescare la mina prima che esploda nella coscienza popolare e causi danni maggiori di quanto ne abbia già fatto.
Sei anche tu su Global Frequency?
12 storie. 12 albi. Pubblicato da DC Wildstorm, a partire da Ottobre 2002. 

[2] Tratto da The Old Bastard's Manifesto di Warren Ellis (2000)
QUINTO PUNTO
In tutta franchezza, fanculo ai supereroi. L'idea che quella roba domini un intero genere è assurda. È come se tutte le librerie del mondo avessero gli scaffali pieni di romanzi sulle infermiere. Immagina la scena. Vuoi un nuovo libro, ma devi farti largo attraverso trecento nuovi romanzi rosa in esposizione prima di poter trovare qualsiasi altro genere. Un medium in cui la proporzione di romanzi sulle infermiere sovrasta il resto della produzione di libri con rapporto 100 a 1. I fumetti di supereroi sono come dei maledetti funghi che soffocano tutto quello che c'è intorno.

Ultimamente c'è stata la tendenza di dire che i supereroi tutto sommato sono ok. E se sono fatti bene non posso che essere d'accordo. C'è spazio per qualsiasi tipo di fumetto ben fatto, non importa quale sia il genere.

Ma questo non esenta nessuno dall'andare in giro e bruciare con le torce tutti i brutti fumetti fino a ridurli in cenere. Non è una scusa per tutta quella roba insulsa con cui DC, Marvel, Image e tutti gli altri inondano il mercato ogni mese.
Se vuoi leggere 300 albi di supereroi al mese allora sei malato e hai bisogno di farti curare.

Strappa dal cadavere fumante del genere supereroistico gli elementi che l'hanno portato a dominare il medium - la folle energia, l'incredibile ricchezza grafica, il feticismo, qualsiasi cosa - e utilizzali per raccontare storie di genere differente. Questo è quello che hanno fatto per MATRIX, dopotutto.

[Intervista pubblicata a Luglio 2002 su Ultrazine.org]

martedì 5 febbraio 2019

Alessandro Bilotta e la fine di Mercurio Loi

Nei giorni scorsi è giunta - un po' a ciel sereno, un po' stranamente prevedibile - la notizia che Mercurio Loi chiuderà con il n.16, in edicola a Marzo.

Per chi non lo sapesse Mercurio Loi è l'acclamata e pluri-premiata serie Bonelli, ideata da Alessandro Bilotta e concretizzata nelle copertine di Manuele Fior, nei disegni, in ordine di apparizione, di Matteo Mosca, Giampiero Casertano, Onofrio Catacchio, Sergio Gerasi, Andrea Borgioli, Sergio Ponchione, Massimiliano Bergamo e Francesco Cattani e nei colori di Francesca Piscitelli, Stefano Simeone, Erika Bendazzoli, Andrea Meloni e Nicola Righi.

Appena ho appreso la notizia ho prontamente buttato giù tre-domande-tre per Alessandro: nel seguito potete leggerle unitamente alle risposte del buon Bilotta (che sentitamente ringrazio), giunte con i dovuti e giusti tempi, degni del Professor Loi.
smoky man: Mercurio Loi chiude/muore. Lunga vita a Mercurio Loi! 
Hai/avete detto tutto oppure c'era qualcos'altro da dire e rimarrà non detto?
Alessandro Bilotta: Non c’è niente che rimarrà non detto, seppure Mercurio Loi non è una serie che scioglie i nodi in modo rassicurante e manda a letto con le idee chiare.
 
Mercurio, a mio parere, è stato (soprattutto) un concreto, meraviglioso luogo di sperimentazione sulla serialità. Un giocoso rompicapo anche per chi legge fumetti da tempo. Una lettura che ci sfiderà anche e soprattutto nel futuro. Quanto hai dato a Mercurio e quanto ti resta?
Alessandro Bilotta: Gli ho dato tutto quello che conoscevo e che contava per me nel momento in cui l’ho realizzato. È presto per me per dire cosa mi resta. A differenza del modo in cui corrono oggi le informazioni, io cammino ancora a passo d’uomo.

E ora si attende Eternity. Già nel titolo una stridente dissonanza rispetto alla "conclusione" di Mercurio. Puoi anticiparci qualcosa in merito, anche per alleviare il dolore per la "perdita" del professore e delle sue camminate per Roma (sempre eterne sulle pagine)?
Alessandro Bilotta: A proposito della stridente dissonanza, il termine eternità per me è già di per sé ironico. Per fortuna non l’ho inventato io, ma qualcuno che doveva convincersi e dare un nome a qualcosa che non esiste. Ecco, ti sto già dicendo troppo. Non ha senso dire molto di più, così in anticipo.