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giovedì 27 luglio 2017

Alan Moore su... Arte, identità e normalità

Alan Moore ritratto da Farel Dalrymple.
Nel seguito la traduzione di un estratto da una lettera (datata 2 Febbraio 2017) scritta da Alan Moore e indirizzata a Stewart Lee, noto comico britannico. 
La corrispondenza fa parte di "catena" ideata e curata da Artangel e Longplayer Trust.

La lettera completa può essere letta QUI.

Alan Moore: [...] Ultimamente mi è capitato di riflettere sul rapporto tra Arte e artista, e continua a tornarmi in mente quell’immagine di Escher con le due mani, ognuna con una matita tra le dita, che disegnano e creano a vicenda (EscherSketch?) Sì, da un punto di vista strettamente materiale siamo noi a creare la nostra arte – i nostri scritti, la musica, gli spettacoli comici – ma allo stesso tempo, dato che un artista viene modificato da qualsiasi lavoro significativo a cui da vita, anche l’Arte ci altera e ci crea. E quando iniziamo un progetto di solito lo facciamo sulla spinta di poco più di un ispirato capriccio e con nessuna idea della persona che saremo alla fine del processo. Inevitabilmente, romanziamo noi stessi. Rispetto alla nostra personale psicologia, chiaramente non abbiamo alcuna pianificazione, vero? Perciò abbiamo davvero poco da dire sulla persona che diventeremo. Nessuno può farlo deliberatamente.

A rendere la faccenda ancor più complicata, alcuni di noi, come artisti, tendono a coltivare personalità multiple. La persona che io sono quando scrivo un’introduzione per La Casa sull’Abisso di William Hope Hodgson è diversa dal me stesso ordinario in costante adorazione di un serpente e sempre arrabbiato nei confronti di Batman. La mia identità che scrive introduzioni indossa una giacca da camera Edoardiana e fuma con autocompiacimento la sua pipa Meerschaum. Sono certo che la mia recente infatuazione per David Foster Wallace derivi dalla consapevolezza che l’identità che ha adottato per molti dei suoi saggi e le varie versioni romanzate di David Foster Wallace che appaiono nei suoi romanzi e racconti sono entità differenti da chi era davvero. Mi chiedo come la pensi tu, e anche il comico Stewart Lee? Suppongo che in fin dei conti valga per tutti, no? Voglio dire che non bisogna essere un artista per presentarsi in modo diverso a secondo dell’interlocutore o della situazione. Non parliamo ai nostri genitori nello stesso modo con cui parliamo con nostro partner. E non parliamo al nostro partner come facciamo con le piante da appartamento. Il risultato è che l’identità di ogni essere umano è probabilmente un costrutto, consapevole o meno, e per questa ragione il suo stato predefinito è mutevole e fluido. Quello che sto cercando di dire è che noi potremmo essere normali. […]

La lettera completa può essere letta QUI.

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