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lunedì 14 novembre 2016

Alan Moore parla di Marvelman

Nel seguito un breve estratto dall’intervista ad Alan Moore apparsa sul volume Kimota! – The Miracleman Companion curato da George Khoury, pubblicato nel 2001 da TwoMorrows Publishing  e mai ristampato, probabilmente a seguito della successiva acquisizione dei diritti sul personaggio da parte della Marvel Comics. 
Il testo è stato originariamente tradotto e pubblicata su Ultrazine.org nel novembre 2001.

George Khoury: Ricordi il tuo primo incontro con Marvelman?

Alan Moore:
La prima volta che ho visto un fumetto di Marvelman deve essere stato… vediamo, sono nato nel 1953. Non ricordo quando il primo albo di Marvelman sia stato pubblicato ma probabilmente era il 1954 o qualcosa del genere. All’età di quattro anni ho iniziato a leggere fumetti inglesi, gli albi per ragazzi di quel periodo, spesso di qualità eccellente, come Beano, Dan Dare e quelli della D.C. Thomson. Verso i sette anni credo, il che significa nel 1960, ho visto il mio primo fumetto americano, il primo albo di Flash e gli albi di Superman/Batman che di solito prendevo.

Deve essere stato in quel periodo che ho visto Marvelman. Ma mi è sembrato una debole imitazione. […] Al tempo non conoscevo Capitan Marvel, non sapevo che Marvelman fosse una re-invenzione di Capitan Marvel per questioni di copyright.

Penso d’aver percepito un senso di inferiorità in quel tipo di prodotto. Mi piaceva l’idea di un supereroe inglese, solo non pensavo che quello fosse ben fatto. […]

Devo aver avuto circa undici anni, ed ero andato in vacanza a Yarmouth, una stazione balneare inglese, e cercavo dei fumetti da comprare. Capitava che cambiando città si trovassero fumetti differenti, per via della distribuzione che era molto più imprecisa di adesso. Ricordo che c’erano diversi Marvelman Annual e non c’era nient’altro di meglio da comprare, così li presi e li trovai molto più attraenti di quanto ricordavo. C’era in quegli albi un qualcosa che mi piaceva davvero.

Nello stesso periodo presi una delle ristampe della Ballantine di Mad di Harvey Kurtzman che conteneva la storia "Superduperman" e iniziai subito a pensare - tieni a mente che avevo 11 anni, perciò sarebbe stato un fumetto solo per il mio divertimento – che avrei potuto fare una parodia di Marvelman. […]

Volevo fare una parodia che fosse divertente come "Superduperman" ma pensavo che sarebbe stata meglio se l’avessi fatta su un supereroe inglese. Pensai che sarebbe stato divertente se Marvelman avesse dimenticato la sua parola magica. Penso d’aver fatto qualche disegno, o imitazione delle parodie di Wally Wood, su Marvelman.

E poi dimenticai completamente il progetto; fu solo 10 o 12 anni dopo che iniziai a lavorare nel mondo dei fumetti, e l’idea ritornò a galla di nuovo. Si, sarebbe stato divertente se si fosse potuto ottenere, in qualche modo, i diritti di Marvelman, non per usare quell’idea per scopi comici, ma incominciavo a vedere che l’avrei potuta usare con un effetto drammatico - un qualcosa di sorprendente e intenso … prendere un eroe anni ’50 molto innocente e semplicistico e calarlo in un’ambientazione anni ’80 molto più complessa e oscura. […]

Consideri Miracleman un lavoro revisionista o sperimentale?

Entrambi, non credi? È il tipo di cosa che solitamente preferisco fare. Un esperimento revisionista, insomma. [ride] Stiamo parlando di un personaggio che, al tempo, non era certo una leggenda nel mondo dei fumetti. Sono sicuro che c’era qualche nostalgico entusiasta ma se non avessimo recuperato Marvelman per Warrior nessuno ora lo ricorderebbe, come per molti altri personaggi inglesi dello stesso periodo.

Si, c’era una certa dose di revisionismo nel progetto. Pensavo, si potrebbe prendere questo vecchio personaggio e rivoltarlo in modo da farlo funzionare come un personaggio sperimentale - un personaggio attraverso il quale spingere i supereroi in aree sperimentali se vuoi, dal punto di vista del modo di raccontare le storie. Non dico però che in Marvelman abbiamo usato la stessa varietà di meccanismi narrativi per esempio di V for Vendetta. […]

Gran parte del mio lavoro si basa sul prendere elementi dal passato e cercare di adattarli al futuro. Cercare d’usarli in un’ottica futuristica. Se preferisci, fondere elementi del passato e del futuro, ma ruotandoli di 90 gradi per inserirli in un contesto differente; e in questo modo raccontare storie che guardino in avanti piuttosto che indietro.

Come la serie arrivò in America? Sei stato coinvolto in qualche modo? E come Marvelman divenne Miracleman?

Penso che originariamente stavamo prendendo accordi - o Dez Skinn stava prendendo accordi - con la Eclipse Comics per fare l’edizione americana. A quel punto, credo, venimmo a sapere che gli avvocati della Marvel dicevano che non avrebbero tollerato una rivista chiamata Marvelman. Non ricordo se scrissi loro o se mi misi solo in contatto con la Marvel U.K. Eravamo abbastanza contenti di prendere la direzione DC/Shazam! e chiamare l’albo semplicemente Kimota! o qualcosa del genere, senza mai usare la parola Marvel in copertina. Abbastanza felici di quella scelta che avrei potuto continuare su quella via. Ma mi sentivo sicuro dal momento che la Marvel Comics nacque circa nel 1961. Marvelman è sotto copyright dal 1954. Scrissi loro una lettera, che credo si potrebbe considerare sarcastica, non so. Ma facevo presente che almeno nella versione del calendario che noi seguivamo, il 1954 veniva qualche anno prima del 1961. C’è solo un tipo di pretesa che la Marvel poteva avere sul nome, non una pretesa morale ma dovuta alla sua potenza. Semplicemente la Marvel aveva avvocati, la Marvel aveva risorse finanziarie immense. La Marvel sapeva bene che prescindendo dalla ragione o dal torto del caso, avrebbero fatto quello che volevano. Per cui a quel punto scrissi una lettera, mi misi in contatto con loro dicendo più o meno: "Sapete d’essere grandi e grossi. Potete di sicuro metterci a terra legalmente, perciò non possiamo chiamare il personaggio Marvelman. State pur certi che in nessun caso nel futuro prenderò in considerazione di lavorare per la Marvel Comics o con la Marvel Comics in nessun modo."

Come accadde che Miracleman #15 divenne uno dei fumetti più violenti mai realizzati?

È come se applichi un po’ della logica ordinaria del mondo reale ad un supereroe e vedi che succede. Voglio dire, mi colpisce il fatto che un super-cattivo, una persona malvagia con poteri che ti aspetti da un personaggio del genere di Superman, farebbe molto più che cercare di schiavizzare la Terra con un qualche raggio o roba del genere. Avevo l’idea, di un … inferno. Inoltre uno scontro tra due supereroi che avveniva ogni mese in un albo Marvel, che cosa era davvero? Sarebbe successo – lo so avendolo visto in sacco di albi di Kirby, che Hulk e Thor si sarebbero pestati in una zona industriale in disuso, così che la totale distruzione di una vasta area della città sarebbe stata senza vittime. Ma è ovviamente una cosa dovuta al Comics Code. Un approccio realistico ad uno scontro di quel tipo avrebbe probabilmente implicato una significativa perdita di vite umane, specialmente se uno dei contendenti avesse l’intenzione di causare, per pura malvagità, quanto più danni alle persone e distruzione fosse possibile. E perciò se le cose stavano così, ho pensato, okay, facciamo un numero in cui mostriamo uno scontro tra supereroi come sarebbe per davvero. Mostriamo come sarebbe disastroso se davvero avessimo Bizarro e Superman che si battono nel centro di Metropolis; che cosa possiamo immaginare che accada, e sviluppiamo la cosa partendo da qui. Lascia solo la tua immaginazione libera e Miracleman #15 è quello che ne uscì.

Non c’era nessuna intenzione di fare il più violento fumetto di tutti i tempi. Non credo che stessimo pensandoci. È solo che avevamo stabilito sin dalla sua prima apparizione che Kid Miracleman sarebbe stato un personaggio di una malvagità furiosa, fisica, violenta. Sapevo che avrebbe fatto ritorno e sentivo che sarebbe stato molto, molto peggio quando fosse tornato. Ecco come la storia si sviluppò, non c’era alcun intento di renderla più violenta di molti altri fumetti. La storia doveva svilupparsi come uno scontro tra Kid Miracleman e Miracleman in pubblico, a Londra, molto più protratto della precedente e molto più devastante, e questo permise al talento di John [Totleben, il disegnatore della storia, N.d.T.] di renderla una visione ancora più apocalittica di quanto avrebbe potuto essere.

Hai mai pensato che gli autori inglesi che sono venuti dopo di te avessero un sacco di pressione? Che la gente si aspettasse da loro d’essere Alan Moore, come nel caso di Grant Morrison e di altri?

Prendendo in esame gli scrittori inglesi, di cui leggo e apprezzo i lavori, come per esempio Neil [Gaiman], penso che lui direbbe di sé stesso che quando iniziò è stato molto influenzato da me. Abbastanza influenzato. Le prime due storie che fece … probabilmente aveva un paio di spazzi di Alan Moore nella sua testa e probabilmente era più sicuro della mia voce nella sua testa di quanto fosse di iniziare con la sua. Ma questo non è durato a lungo. Neil non fece un paio di storie che erano rubate da me, ma che avevano una specie di vernice del mio stile o qualcosa del genere. Ma poi Neil trovò molto velocemente la sua voce personale e iniziò a scrivere cose incredibili, cose che io non averi mai potuto fare. Penso che Sandman sia un eccellente lavoro di fantasy moderno, non solo di fumetto moderno. Garth Ennis è un altro per il quale penso che occorrano molti sforzi, se si vuole trovare una mia influenza nel suo lavoro. Ha una propria, meravigliosa e distinta voce personale. Warren Ellis, ancora … quando leggo i suoi lavori non vedo nessun riflesso del mio lavoro nel suo. Naturalmente Warren è venuto un po’ dopo ma credo l’abbia fatto come se stesso. Non vedo una grande influenza, non so se sono stato in grado di dare alla gente ispirazione, di far pensare, "Posso scrivere fumetti".

Se sono stato in grado di far pensare questo a qualcuno in modo che si sia divertito a scrivere fumetti, allora è molto simile a quello che è successo a me leggendo i lavori di John Wagner, Pat Mills e Alan Grant su 2000 A.D. Quando lessi quelle storie, pensai: "Queste sono persone intelligenti con un senso dell’umorismo che scrivono fumetti. Forse c’è un posto per me nel Fumetto". Ecco cosa John, Pat e Alan fecero per me con le loro storie. Aver fatto lo stesso per altre persone mi renderebbe felice. C’è gente che ha preso un sacco di elementi dal mio stile e forse - non so, è solo una supposizione - si sente un po’ nervosa o preoccupata da questo, visto che forse non si è mai evoluta come avrebbe sperato di fare o qualcosa di simile. Sono di più le persone che mi aspetterei di trovare lamentarsi per aver imposto degli standard troppo elevati o di aver steso un’ombra sull’industria fumettistica.

Le persone che ho nominato - Neil, Garth, Warren e ce ne sono un altro paio - non mi hanno mai mostrato alcun segno d’aver avuto il loro lavoro reso più difficile dalla mia presenza. Perciò non penso ci sia un vero problema. La gente che ha talento arriverà in cima. Se sono stato capace di dar loro un lampo d’ispirazione al momento giusto, allora è una gran cosa. Non è certo molto più di quello che ho avuto io da altri. Sarebbe bello pensare che ho dato un po’ di più, ma no … non penso d’aver costituito un problema per gli autori inglesi che sono venuti dopo di me, almeno non per quelli che avevano un talento genuino.

Ripensandoci, quanto importante è stato Miracleman per te?

Moltissimo. Sotto una certa ottica si possono vedere delle idee che iniziano in Miracleman e che raggiungono la piena maturazione in Watchmen, dove Watchmen ha la stessa idea di base di Miracleman ossia applicare la logica del mondo reale ai supereroi fino a portarla alle estreme conseguenze. […] Miracleman è stato un importante passo avanti. È stato uno dei primi momenti in cui ho capito che le storie che volevo raccontare potevano davvero funzionare, che si potevano fare e che erano storie forti capaci d’intrattenere, e che potevano perfino essere più piacevoli di quelle che leggevo al tempo. Riguardo il trovare la mia voce, Miracleman è stato un primo grande passo in avanti, perciò non sottovaluterò mai la sua importanza nella mia opera.

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